Il principe Shakyamuni e il viandante

“Il principe Shakyamuni e il viandante” di Leonardo Floriani

Guardando senza una filosofia, vedresti la pelle come un sacco sempre più lasco che a stento tiene assieme la vita per gli anni che le sono concessi.
Una carezza sulla fronte che ne ignorasse il calore e la curva che compie verso il naso, come la spiaggia che cauta scende al mare, lascerebbe sulle tue dita solo la sabbia dei battiti del cuore sulle tempie e l’istante di pausa tra l’uno e il prossimo, che pure diamo per scontato, l’idea di quel battito che potrebbe non arrivare.
Sempre se tu non avessi alcuna filosofia a guida della tua mano, quella pausa tra i battiti resterebbe a tormentarti, perché sentiresti che, inevitabilmente, dovrà arrivare il momento in cui si pietrificherà, dopo l’ennesimo granello, che è uguale a tutti gli altri, con l’eccezione commovente, d’essere l’ultimo.
E senza una filosofia, la domanda del quando la morte, si farebbe irrilevante, calpestata da un pensiero che crescendo diverrebbe sensazione, come un dolore impastato già alla paura di un dolore più sordo: il non poter più sentir dolore.
Avvertiresti nello stomaco espandersi la fiamma di una certezza imperdonabile e paradossale; il desiderio primordiale e disperato di poter fuggire al cerchio, di scamparne, uscire dal cammino che porta all’inevitabile inesistenza.
E senza una filosofia, l’unico modo di fuggire, rimarrebbe scegliere la fine volontariamente strappandosi dal tempo che porta alla morte, rinunciando al tempo stesso, proprio con l’aiuto di quel che più temi: la morte.
Il risultato senza una filosofia? Sempre lo stesso. Il tempo senza affrettarsi cancellerà ogni gioco inestimabile, ogni pensiero miracoloso, ogni scintilla di grazia, cancellerà perfino la paura che avresti voluto cancellare.
Questo disse, poi prese il sentiero che portava al cancello con passo deciso e in poche falcate fu sulla soglia.
Stette, come d’improvviso sognante, poi si voltò verso il suo interlocutore accovacciato sull’erba come un fagotto scoraggiato.
Che il tempo abbia avuto un’origine, aggiunse come senza guardare da nessuna parte, o non l’abbia avuta, che il tempo sia nato o permanga increato, eterno sin dal principio o prima dello stesso, il tempo resta il solo nostro interlocutore; è con lui che parleremo tutta la vita, in ogni nostro istante, in qualsiasi frangente, con nessun altro, perfino all’ultimo.

Il principe Shakyamuni, disteso su di un fianco, lo guardò come assorto e continuò per molto ancora dopo che il viandante era ormai scomparso oltre il giardino, avendo ripreso, com’era giusto, il suo andare.

Racconto di Leonardo Floriani

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