Recensione di “Dove non mi hai portata” (Mondadori, 2022) di Maria Grazia Calandrone, romanzo in cinquina del Premio Strega 2023
Titolo: Dove non mi hai portata
Autrice: Maria Grazia Calandrone
Tre aggettivi per descriverlo: Famigliare, Vitale, Impegnativo
Fuochi assegnati: 🔥🔥(2 su 5)
Recensione incendiata:
Che giri intricati che fanno due vite

Non posso negare di aver avuto difficoltà nella lettura di “Dove non mi hai portata”: non me ne voglia l’autrice, questa recensione è puramente soggettiva, e probabilmente sono in un periodo della mia vita in cui non riesco a incontrarmi con questo romanzo, per quanto sia nobile il fine dell’opera, ovvero ricostruire le tracce storiche della propria madre.
Una mamma, Lucia, che ha compiuto il suo gesto più arduo, ha rinunciato a se stessa per donare una vita alla propria figlia nata da una relazione al di fuori di un matrimonio violento, una mamma di cui forse si era perso il filo nei vari nascondigli della storia, ma le vite continuano a girare, portando l’autrice e sua madre a scoprirsi in questo romanzo. Purtroppo, la parola “Vita” è tanto il gioiello di questo romanzo (nell’intento di ricostruirne una, di riallacciare il cordone materno in un presente che corre troppo veloce), quanto la sua condanna: il confronto con “Vita” di Melania G. Mazzucco è inevitabile, vincitore del Premio Strega venti anni fa, nel 2003, in cui si rintracciano i fili della lunga storia d’amore, tra Italia e Stati Uniti, di sua nonno Diamante e la meravigliosa Vita.
E se in “Vita” l’elemento storico, l’immaginato, la testimonianza, il passato e il presente vengono raccontati in maniera lineare ma non banale, in “Dove non mi hai portata” questi si ingarbugliano, un gomitolo arrotolato, sfidando il lettore a trovare coesione: con ago e filo, tanti filoni diversi del romanzo sembrano forzatamente cuciti; le digressioni storiche mal si uniscono, per esempio, alla storia intima di una grande madre, come anche la profondità delle liriche inserite comunicano poco con la rigidità dei dati storici. Queste riflessioni, mi fanno sorgere un dubbio: forse sarebbe stato meglio concedere più tempo al romanzo, avere premura della sua coesione, per un testo tanto importante quanto è la storia della propria madre?
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