Un assassino a Belem

“Un assassino a Belem” di Leonardo Floriani

Ricordo come in un film degli anni ‘50 quella mattina a Belem (era il mio compleanno), il sole era un lenzuolo abbagliante che ricopriva ogni cosa e leccava la pelle, sensuale, per poi incontrarsi con il Tejo, incendiandolo di riflessi e facendone un mare disteso sul futuro e sul passato, mentre la famosa torre calmissima, sdraiata, sorridendo con il braccio molle sollevato a fatica, indicava in lontananza i Mori pronti all’invasione o le immense petroliere che scorrevano lentissime e nere guardandosi attorno con occhi torvi e arroganti. Ricordo la pasticceria di Belem, ti ricordo seduta al mio tavolo addossato al muro di azulejos, ricordo le tue labbra su cui s’arrampicavano frenetiche le mosche di cui era piena Lisbona. Ricordo la tua presenza e il tuo sguardo – sempre lo stesso -, ti ricordo bene, eppure tu non eri lì e non ci saresti mai stata assieme a me.

Spolveravo cannella su quei pasticcini gonfi di crema; la cannella sapeva di te o viceversa; il caffè portoghese in quelle tazzine alte e strette accompagnava tutto scivolando lento proprio come il Tejo e mischiando i sapori e gli sguardi, mischiando i giorni con altri giorni e plasmandoli in una palla di gomma gialla con cui giocava un bambino appena fuori della pasticceria, nella luce d’oro senza tregua. Che foto sarebbe stata se scattandola non avessi rovinato ogni cosa disturbando il mondo con il click dei miei occhi.

Pronto?

Pronto? Sei tu? Auguri Tesoro! Come stai oggi principe azzurro? Voce appena metallica che mi sorrise dal telefono a gettoni e mi stordì.

Ho mangiato crema e cannella. Le tue ciglia tra le mie labbra.

Allora guarda il Tejo di fronte a te.

Ti somiglia.

È perché scivolo via, disse.

E separi sponde.

Ma ci sei tu che ti getti in archi.

Io sono ogni ponte.

Auguri tesoro; devi essere felice, è per questo che respiri.

Lo sono. E i miei polmoni sono pieni di sogni. Poi riagganciai.

Stringo nella mano il coltello che tu mi hai dato. La notte va di corsa. Sarà tra poco, e nel buio traccerò un arco brillante di metallo, come il salto di un pesciolino d’argento che righerà la gola e l’aprirà disegnando un filo rosso nella pelle. Tra poco sarò io il Tejo, separerò sponde e non ci saranno più ponti possibili e nessuno oserà anche solo pensarne. Sarà il mio miglior verso. La mia unica poesia.

Racconto di Leonardo Floriani

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