La teoria del diverso

L’altro giorno una mia collega (che forse si riconoscerà in questa descrizione) mi ha parlato di un libro che sta leggendo: Flatlandia. Il racconto è fantascientifico, risale al 1884 e l’autore è Edwin Abbott Abbott. Questo testo è stato definito dalla critica come un testo satirico, che attacca la società vittoriana contestando filosoficamente il riduzionismo positivista. Il romanzo è particolarmente amato dai matematici e dagli studiosi di scienza in generale, e ora vi dico perché. Praticamente i protagonisti della storia vivono in un ipotetico mondo bidimensionale, ovvero a due dimensioni: se immaginate di vivere sull’asse delle ascisse e delle ordinate, ciò che vedreste sarebbe solo una linea continua. Riconoscere i propri amici sembrerebbe impossibile, eppure la mia amica ha assicurato che loro sanno come fare. L’intreccio della storia subisce poi un classico impedimento: un giorno arriva un abitante “extraterrestre” che afferma di venire da un altro universo, un universo tridimensionale. Questo naturalmente mette in discussione tutte le certezze degli abitanti a due dimensioni.

Immaginate di sentirvi dire da un giorno all’altro che tutto quello che conoscete è sbagliato. O meglio, non è sbagliato, ma è solo una visione molto limitata di tutto un altro mondo esistente, molto più ampio e pieno di nuove possibilità. Durante quella serata si scherzava sul fatto che questa dev’essere la sensazione dei terrapiattisti mentre discutono con chi non la pensa come loro. Eppure mi sono chiesta cosa proverei se mi succedesse la stessa cosa: farei fatica ad accettare la visione altra, mettiamo pure migliore, decostruendo tutte le mie certezze? So per certo che molti, tra cui includo me stessa, si autodefiniscono aperti mentalmente e pronti ad affrontare ogni sfida ontologica. Sebbene sia certa della vostra autopercezione, tuttavia vorrei che pensaste a un momento in cui avete fatto fatica ad accettare un pensiero opposto al vostro.

Per quanto mi riguarda, mi sono già venuti in mente tre esempi. Vorrei però lasciare una riflessione: premettendo che non ho letto il libro (ma me lo farò decisamente prestare), la sola idea dietro la storia può alimentare il fuoco della curiosità insito in ognuno di noi. Non c’è bisogno che arrivi un extraterrestre per distruggere dialetticamente le nostre certezze sul mondo per capire, ogni tanto, che fare un passo indietro e mettersi nei famosi panni dell’altro/a può trasformarci da cerchio a sfera.

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