Costa gialla, con in alto una piccola sagoma con grandi orecchie; un formato libretto per essere portato ovunque, topi e paperi in copertina: come non riconoscere Topolino, il settimanale che ha accompagnato generazioni di italiani, passando da mani rugose a manine avide di conoscenza?
Prima del calo di tiratura subito negli ultimi anni – i social e le nuove forme di intrattenimento sono un nemico duro da battere –Topolino faceva registrare cifre da capogiro per un albo a fumetti. Nel 1993, il n. 1963 – uno di quelli del mitico Topowalkie –superò addirittura il milione di copie vendute: erano gli anni del direttore Gaudenzio Capelli, e la testata aveva da poco cambiato proprietà.
LA NASCITA DI TOPOLINO
Ma per parlare della rivista dobbiamo fare un paio di passi indietro, e cominciare dall’inizio: era il 1928 e negli Stati Uniti uscì un cortometraggio animato di nome Steambot Willie, segnò la nascita di Mickey Mouse e dell’intero universo Disney. Dal cinema alla stampa il passo fu breve, e nel 1930 apparvero le prime strisce a fumetti nei quotidiani, per mano di Walt Disney stesso (testi) e Ub Iwers (disegni).
Sempre nel 1930 inizia anche la storia editoriale italiana del topo con le orecchie a padella, quando il settimanale Illustrazione del Popolo ripubblica la prima striscia disegnata da Ub Iwerks.
Striscia dopo striscia, Topolino resiste a lungo alla censura fascista (i diritti sono stati acquistati da Mondadori, con cui il regime aveva rapporti cordiali); purtroppo, a seguito dell’entrata in guerra degli Stati Uniti contro l’Asse, cede sotto la scure del regime e viene provvisoriamente sostituito dall’italiano Tuffolino. Si dovrà attendere il 1949 perché, sempre sotto la guida di Mondadori, il giornalino possa non solo tornare, ma addirittura assumere una forma propria, che è poi – più o meno – quella che tutti conosciamo.
Inizialmente a cadenza mensile, poi bisettimanale, quindi settimanale, il Topo inizia così a insinuarsi in tutte le case d’Italia, infilandosi nei portariviste, tra gli scaffali delle librerie, sui tavolini da tè, nelle case di nonne e zie, addirittura tra le riviste conservate in bagno. Ci riesce grazie alle penne e alle matite di giovani artisti talentuosi, che danno a paperi e topi uno spessore e un’espressività senza eguali: Guido Martina, Giulio Chierchini, Giovan Battista Carpi e Romano Scarpa (ritenuto uno dei più grandi autori Disney di sempre) donano ai personaggi Disney una vita piena e in cui chiunque si possa in qualche modo immedesimare. È fatta: il Topo è pronto a scrivere la storia d’Italia mentre ne diventa parte integrante.
UN’EDUCAZIONE PAPEROPOLESE: DIZIONARIO SENTIMENTALE DELLA NOSTRA INFANZIA
È di questo che tratta Un’educazione paperopolese, un viaggio sentimentale nel nostro passato di bambini in cui Valentina De Poli fa da Virgilio. De Poli, come lei stessa racconta, ha trascorso trent’anni della sua vita tra quack, zampe palmate e nasi tartufati. Prima avida lettrice, negli anni ’80 entra a lavorare al Topo come redattrice; assiste al passaggio da Mondadori a Disney Italia, e da Disney a Panini, per poi diventarne direttore per svariati anni. Attraverso i suoi ricordi e i racconti di chi c’era prima di lei, De Poli prova a ricostruire l’impatto del settimanale (che per un periodo è uscito a cadenza mensile, poi quindicinale) su settant’anni di italiani: che Italia è stata quella cresciuta tra orecchie e becchi, onomatopee e neologismi, imparando a parlare, scrivere e perfino a conoscere il mondo attraverso gli occhi dei propri personaggi preferiti?
GLI ANNI ’60 E IL CLUB DI TOPOLINO
Topolino ha sempre portato con sé un senso di appartenenza, quasi che i lettori fossero tutti parte di un misterioso club segreto con un linguaggio tutto suo. E in realtà, negli anni ’60 era davvero un po’ così: il giornale, infatti, promosse una sorta di raccolta punti, la raccolta di bollini del Club di Topolino che dava la possibilità di accedere all’esclusivo gruppo. Con un appropriato numero di bollini si aveva diritto alla tessera di socio a vita, al diploma, alla spilla, ma soprattutto a un preziosissimo vademecum che i soci teneva in tasca come una pregiata reliquia. “Non si sa mai che qualcuno ti chieda a bruciapelo la distanza tra Milano e Roma o il nome dei presidenti della Repubblica”, racconta De Poli.
C’erano poi dei gradi da scalare, continuando a raccogliere i bollini: da socio semplice (con distintivo di Qui, Quo e Qua), a ispettore (distintivo di Paperino), a ispettore generale (distintivo di Paperone). C’era infine l’ambitissimo grado di Governatore, che dava diritto a un distintivo di Topolino in metallo. E il diploma? Lo firmava direttamente Walt Disney; dopo la sua morte, fu Arnoldo Mondadori a prenderne il posto vergando la pergamena che conferiva il titolo di leale e fedele Amico di Topolino.
UN TOPO PER OGNI ETÁ
Per i ragazzini degli anni ’60 non c’è dubbio che il Topolino migliore fosse il loro, con il club e i valori che diffondeva. Ma qualunque persona cresciuta con quel giornalino, a prescindere dalla sua età, vi dirà esattamente la stessa cosa: per ciascuno, il suo Topo era il migliore di sempre, come non se ne fanno più. Ha il sapore dell’infanzia, dell’innocenza, della spensieratezza: di cose belle e di pomeriggi estivi passati su un tappeto erboso. E mantiene lo stesso sapore anche quando affronta le cose della vita, che non sono sempre semplice. Anzi, non lo sono mai.
Io sono una Millennial, per cui il mio Topolino ha nel mio cuore un posto sicuramente speciale: le avventure di Indiana Pipps, i viaggi nel tempo con i professori Marlin e Zapotec, Paperone che insulta Paperino con parole che ancora oggi ricordo, sono tutti pezzi della mia storia personale che conservo gelosamente e con amore. Ricordo ancora la storia di Paperino e il tamburo batavo (che tra l’altro, ho di recente recuperato) e il suo apostrofare una nobildonna come vecchia megera incartapecorita: non ho mai dimenticato quel termine, e ne conosco il significato solo grazie a quella storia. Ecco, il Topo per me ha fatto anche questo, mi ha insegnato la bellezza della lingua italiana attraverso termini che mai avrei sentito, altrimenti. E ancora, mi ha insegnato il senso delle onomatopee – che a volte uso per esprimermi anche a voce, lo confesso – e mi ha avvicinato a storie che poi ho amato. Una fra tante? I promessi topi, che tra le altre cose è da poco uscito in una nuova edizione per i 150 anni dalla morte di Manzoni, insieme a I promessi paperi. Avrei amato lo stesso l’originale, senza l’intercessione dei topi con le orecchie a padella? Credo di no.
UN PONTE TRA PASSATO E FUTURO
Nel tracciare la storia della rivista e gli intrecci che questa ha avuto con la storia del Paese, De Poli racconta come nel dopoguerra il Topo sia stato
un ponte verso la possibilità di leggere, l’intrattenimento a disposizione di tutti, ma anche un mezzo attraverso il quale portare attenzione sulla lingua e la sua grammatica, un po’ come ha fatto la Rai con il maestro Manzi, e infatti quel rapporto con gli insegnanti […] ha potuto far ritrovare al Topo il suo ruolo di antidoto contro la povertà linguistica, una sfida per il futuro.
E il futuro è il punto di arrivo di questo viaggio nel dizionario sentimentale della nostra infanzia, un viaggio che in realtà non finisce mai e si rinnova, una generazione di lettrici e lettori dopo l’altra.
Nel mio caso, il viaggio continua ogni volta che mi fermo a una bancarella per recuperare qualche vecchio numero ingiallito e un po’ strappato; quando leggo le strisce ripescate chissà dove e pubblicate da Ventenni Paperoni (meno male che ci sono loro!); quando compro le grandi parodie in versione deluxe – tra cuiPaperino e il vento del sud (Via col Vento), il già citato I promessi topi, Dracula di Bram Topker e Moby Dick); quando uso uno qualunque dei termini che ho imparato in tanti anni di topolinitudine.
Dal canto suo, la rivista continua il suo viaggio sfruttando le ali della fantasia, senza dimenticare scienza e progresso: è sempre avanti, lo è sempre stata, e ci riesce solo grazie all’immaginazione e al lavoro di illustratori e sceneggiatori che si documentano, cercano e ri-cercano costantemente il giusto registro per il Topolino. Perché scrivere e disegnare per il Topo non è per tutti: si può avere talento ma non essere in grado di mantenere intatta la voce e la personalità di topi e paperi, dandogli al tempo stesso nuova linfa narrativa.
Del resto, non tutti i giorni nascono autori e disegnatori come Giorgio Cavazzano (già illustratore di Romano Scarpa), Silvia Ziche, Massimo De Vita, Giorgio Pezzin, Tito Faraci, Guido Martina, che hanno reso Topolinia e Paperopoli più vicine e umane che mai. Chissà cosa ne sarà di quelli che sono bambini oggi: saranno più topi o più paperi? E sapranno amare quelle pagine come le abbiamo amate noi? Se lo faranno, di sicuro sarà per sempre: Topolino è casa, e a casa si ritorna sempre.
Articolo a cura di Lorella Bernardo
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