L’Intervista a Biagio Vitale del 27 giugno 2023, a cura di Antonello Costa, avuta in sede dell’evento dell’associazione culturale Il piccolo principe “aperitivi culturali”
Antonello Costa: Io non sono un genitore, però la raccolta di versi, Poesie da camera (Transeuropa Edizioni, 2023) di Biagio Vitale, dedicata alla figlia, Mariasole, mi ha fatto capire quali possano essere le emozioni che può provare un genitore. Biagio ha costruito, infatti, nella raccolta una camera poetica: quando si inizia a leggere, si entra all’interno di questa cameretta, si riescono a vedere il papà e la mamma che guardano la loro figlia con tutto quanto il proprio amore, la propria speranza, le proprie paure, i propri desideri, la propria tristezza. Com’è nata la silloge?
Biagio Vitale: La raccolta di versi, Poesie da camera, è nata per caso. Non scrivevo poesie da almeno dieci anni. Nel 2011, era finito un ciclo poetico, un ciclo esistenziale e non avevo nulla da dire. Mezz’ora prima della nascita di mia figlia, nell’ottobre del 2021, in ospedale ho scritto la prima poesia che sarebbe la poesia d’apertura, e durante la stesura, che in realtà è durata soltanto un mese, ho pensato di strutturare la raccolta come se fosse musica da camera, quindi con simmetrie, fughe, ripetizioni. Infatti, durante quel mese ascoltavo tanto Mozart e Schubert.
Antonello Costa: Come ti ho detto, ho immaginato questa raccolta come se fosse una camera. Ci sono entrato all’interno e ho visto subito questo arco di luce, un simbolo tra le tue prime poesie. In una lirica successiva, presenti questa porta su cui hai inciso il nome di Mariasole. La porta diventa un portale d’amore; la raccolta diventa un augurio a tua figlia. Mi hai confidato, precedentemente, che vedi Poesie da camera come un testamento poetico per tua figlia. Ti chiedo: più che un testamento, potrebbe essere considerato un augurio poetico?
Biagio Vitale: In realtà, oltre a essere un testamento d’amore, è anche un testamento di lotta. La lotta è un termine novecentesco, però per me è una lotta di tipo spirituale e artistico. Ed è anche un augurio, perché quello che io propongo in questa raccolta è una sorta di immaginario, nutrito di letteratura, di arte, di cinema, di musica, da donare a mia figlia. È quel poco che mi è concesso nella mia vita; solo questo, oltre all’amore.
Antonello Costa: Tanti artisti e tanti poeti sono citati nella tua raccolta. Mi hai fatto venire in mente una lettera di Nicolò Machiavelli; dentro questa lettera, Machiavelli parla dei classici, dei suoi idoli come se fossero persone vere, come se fossero persone in carne e ossa con cui dialoga e si confronta. Ti ho associato a Machiavelli, leggendo la tua opera: tu scrivi dei tuoi poeti e dei tuoi artisti come se fossero persone vere, anime di cui ti appropri, e attraverso loro parli e racconti a tua figlia. Quindi, com’è il tuo rapporto con questi tuoi classici e questi tuoi idoli? E cosa speri per tua figlia: che anche lei si affacci a questo mondo da scrittrice?
Biagio Vitale: Rispondo subito alla tua seconda domanda: No, meglio che non faccia la scrittrice, per un motivo molto semplice: non è facile scrivere, almeno per me, ecco. È molto faticoso, ci vuole solitudine, dolcezza, serenità. Non è facile scrivere, c’è una componente faticosa durante la stesura, a tratti anche entusiasmante, ma è faticosissimo per me. Impiego tanto tempo, non sono mai soddisfatto di una frase, addirittura di una virgola, quindi spero che faccia altro. Quando ero ragazzino, ero invaso da una sorta di furia mimetica. Mi sono innamorato prestissimo di Pasolini, che è uno scrittore, un poeta che adoro, e le prime prove poetiche erano alla Pasolini. Ora il mio rapporto con gli scrittori è di stupore, di attesa, di amore. Credo, inoltre, che gli scrittori e le scrittrici, quelli veri, siano fratelli. Credo che non ci sia invidia tra loro, almeno tra quelli grandi.
Antonello Costa: Nell’opera, tutti gli scrittori sono, appunto, dei fratelli, che utilizzi per il tuo canto. E canti di questo mondo luminoso, delle luci del cinema, per esempio, sperando che Mariasole possa vederlo. Ti faccio un’altra domanda: cosa vorresti che tua figlia scoprisse dell’arte? Da cosa vorresti che lei traesse luce e stupore, per quanto riguarda sempre i poeti e gli artisti, anche del mondo del cinema?
Biagio Vitale: Ci sono due poesie in cui scrivo del cinema: cito Truffaut, Fellini, Chaplin, Rossellini, Bertolucci. Penso che il cinema, ma non solo il cinema, anche l’arte siano un atto d’amore nei confronti delle persone. Nel momento in cui le persone si accostano all’arte, alla letteratura, tendono ad essere più buone o addirittura possono inquietarsi. L’arte ha uno scopo molto semplice: esplorare tutte le possibilità umane. Ci sono alcuni campi scientifici che danno una soluzione; l’arte non dà mai una soluzione, almeno la grande arte. I grandi poeti, i grandi romanzieri, i grandi scrittori non forniscono mai una risposta; pongono, invece, delle domande. Auguro a mia figlia, pertanto, di accostarsi al mondo dell’arte e al mondo della letteratura con ardore, con un furore quasi liturgico, con estrema pazienza, e anche con estrema umiltà.
Antonello Costa: Aggiungerei: avvicinarsi all’arte con un riverbero di luce. Lo dico perché all’interno della raccolta è molto presente, infatti, la luce; è come se ci fosse un continuo gioco fra luci e ombre. All’interno della seguente poesia, nella seconda metà del verso finale, si condensa tutta la luce della tua poesia. Vorrei che me ne parlassi un po’: questa poesia come nasce? Quando la scrivi? E cos’è per te la poesia?
Quando sbadigli
e il cielo oscura
i tetti della città,
ascolto Mozart.
Il Quintetto
è per te, mi chiedo.
Chissà.
Intanto i biberon
sono pronti: li
ho sterilizzati prima.
Un re maggiore
s’insinua
nella culla:
ti porti una mano
all’occhio sinistro,
abbozzi un sorriso.
Il brusio della città
S’attenua. Mi guardi.
Biagio Vitale: È un problema rispondere a questa domanda. Per me la poesia è principalmente respiro, unione di senso e di suono in balia della visione. I più grandi poeti hanno imposto una visione, un’idea-forza, un’immagine, un simbolo. La poesia è anche raffigurazione del sacro. Questa poesia è nata in un momento particolarissimo (tutti i versi della raccolta sono stati scritti in una camera da letto, dove mia figlia dormiva, oppure mi guardava o sorrideva), tre giorni dopo la nascita di Mariasole. Stava scendendo la sera; la luce era di taglio, per cui investiva la tenda che copriva la finestra e s’irradiava sul pavimento, su una parte del letto. C’era mia figlia nella culla; io ero accanto a lei e ho scritto questa poesia.
Antonello Costa: Che valore ha la luce, quindi, all’interno di tutta quanta la raccolta e che valore ha anche la musica, pensando al significato del titolo, Poesie da camera?
Biagio Vitale: La luce è un simbolo antichissimo, che appartiene non soltanto alla religione. Se pensiamo alla parola “verità”, dal greco “alétheia”, con alpha privativo, vuol dire: manifestarsi attraverso il nascondimento; la verità è quindi la manifestazione attraverso qualcosa che è nascosto. La luce, pertanto, che è presente in questa raccolta, è una luce sicuramente religiosa, ma è anche una luce che proviene dall’arte. Per quanto riguarda la musica, essa ha una funzione formale: la raccolta è strutturata come musica da camera. Tuttavia, ti confesso che io ascolto tutte le mattine una canzone di Eric Clapton. L’ascolto da una decina di anni ogni mattina, appena mi sveglio e mia moglie, immancabilmente, mi dice: “Basta, non puoi ascoltare la stessa canzone! Ci conosciamo da dieci anni, ascolti sempre la stessa canzone!”. Ma in quella ripetizione, trovo qualcosa di sacro, quasi mitico: tutto ciò che è presente, tutto ciò che è reale, non è legato a un divenire, ma è legato a un inizio. Quindi, per me la musica è una sorta di esplorazione dell’uomo primigenio.
Antonello Costa: Ma voglio tornare a Poesie da camera. C’è un altro personaggio dentro questa camera: ci sei tu, c’è tua figlia e c’è tua moglie, che hai nominato adesso. In una poesia, scrivi di una fotografia che ritrae Mariasole sonnacchiosa su sua madre:
I primi vagiti furono
quelli di tua madre.
Davvero. L’ascoltavi?
Chissà. Ti guardava,
e intanto mugolava
vocali dorate.
C’è una foto che
vi ritrae: tu
sonnacchiosa,
la mano sinistra
sul capo; lei
stordita dal dolore.
Io, in quanto lettore, mi sono sentito come un fantasma: entro dentro il tuo spazio e vedo Mariasole, vedo te che le fai ascoltare la tua musica, e vedo tua moglie. Il lettore vede da lontano una neo-famiglia, con tutti i suoi dubbi, le preoccupazioni e le gioie. Hai costruito un po’ Poesie da camera come un ritratto/fotografia in versi della tua famiglia?
Biagio Vitale: No. Tutto è proiettato verso il futuro, non c’è una stasi. Tutto è proiettato sull’esistere. Ci sono due poesie in cui compare la parola esistere. “Esistere” deriva dal latino “exsistere”, che vuol dire costituirsi attraverso qualcosa che viene dall’esterno, e lo scopo principale dell’esistere è la scelta o la possibilità umana. Noi ci muoviamo nel nostro divenire e ci manifestiamo attraverso una scelta. Facciamo delle scelte costantemente e ci manifestiamo attraverso delle possibilità. L’unica possibilità che volevo esprimere era quella di proiettare mia figlia verso il futuro, quindi, di proporle un caleidoscopio esistenziale. La famiglia è preesistente all’opera. Durante la stesura, non pensavo al nucleo familiare, era già esistente prima della nascita di Mariasole: la famiglia già c’era, non c’era una bambina, ma preesisteva a lei.
Antonello Costa: Capisco benissimo, ho avvertito anch’io questa tensione verso il futuro che c’è nei confronti di tua figlia. Le luci e le oscurità si avvertono tantissimo, e quindi ti chiedo: quanto hanno avuto peso nella scrittura questa paura e questa speranza per il futuro di Mariasole?
Biagio Vitale: Allora, ti leggo una mia poesia, così ti rispondo attraverso questa:
Un filosofo parlò a lungo
dell’esistenza, dell’essere
gettati nel mondo.
Sei davvero stata
gettata nel mondo,
preda dell’esistere?
Chissà. L’ho pensato
a lungo anch’io.
Le scelte d’amore
e di rabbia
ti aiuteranno a non mentire,
quelle di vita
a rinunciare a te stessa.
Un rivolo di sangue
ti rivelerà
il peso dell’amore.
Qui cito, tra le righe, un filosofo a me molto caro, Martin Heidegger. L’unica tensione presente è legata, ovviamente, alla paura: prima che Mariasole nascesse, mi impauriva la possibilità di diventare padre. Sono una persona molto sola; con l’amore di mia moglie e l’arrivo di Mariasole è cambiato tutto. C’è stato proprio una sorta di spartiacque. Nei vari cicli storici si sono verificati dei cambiamenti, delle rivoluzioni, e la nascita di Mariasole è il mio spartiacque, il mio cambiamento esistenziale.
Antonello Costa: Biagio, una curiosità. Come mai ha disposto le liriche al centro?
Biagio Vitale: La collocazione al centro rimanda all’epitaffio, che è un’iscrizione sepolcrale. Nella raccolta, invece, la disposizione dei versi contiene la vita.
Antonello Costa: In questa chiacchierata, abbiamo parlato anche di solitudine, e mi dai l’occasione per ricordare il tuo romanzo, precedente a questa raccolta, Il mare ti allontana da tutto. Il libro è un giallo, potremmo dire, ambientato a Ventotene, isola in cui hai insegnato per anni. È stato bello, innanzitutto, raccontare e scrivere di Ventotene? E poi: che “Biagio” ci sono all’interno dei due testi? Ti sei evoluto come scrittore?
Biagio Vitale: Allora, ho scritto di Ventotene solo dopo l’abbandono dall’isola. Non riesco a scrivere, infatti, di un luogo quando mi trovo in quel luogo. Mi devo allontanare, e questo avviene anche per le persone: mi devo allontanare per percepirne la presenza. C’è un verso molto bello di Attilio Bertolucci: Assenza più acuta presenza. Ed è verissimo. Quel romanzo l’ho scritto in un periodo particolarissimo: non avevo un lavoro, aspettavo una convocazione da qualche scuola. Mentre mia moglie andava a lavorare a Latina, ho iniziato a scrivere questo romanzo su un taccuino, tra Formia e Napoli. E così è nato, insomma, Il mare ti allontana da tutto. È piuttosto un racconto lungo; è un giallo, ma è un giallo quasi metafisico o irriverente. Il genere narrativo è soltanto un pretesto per esplorare alcune categorie esistenziali, quali la solitudine, l’abbandono, la fuga, l’estraneità. È la storia di una ragazzina che vive da sola su un’isola, perché è stata abbandonata dalla madre. Alla fine, il suo corpo verrà trovato senza vita sulla spiaggia, e da lì parte il plot. Paradossalmente, c’è un legame tra Il mare ti allontana da tutto e Poesie da camera: Il mare ti allontana da tutto è nutrito di squarci lirici, mentre in Poesie da camera ci sono alcuni stilemi narrativi. Bella la parola “evoluzione” di cui parlavi prima, per un motivo molto semplice: la raccolta è nata nel 2021, esattamente tra ottobre/novembre 2021. Sono passati due anni e sto parlando ora di questa silloge. E non è piacevole parlare di una raccolta di poesie scritta due anni fa, perché è una raccolta ormai terminata, ecco. Ora sono già proiettato verso un’altra stesura. Non spetta a me, poi, dire se ci sia stata un’evoluzione. Poesie da camera ha sicuramente un valore documentario per me e per mia figlia, ma per il valore letterario spetta ad altri dirlo. Certo, quando uno scrive riesce a percepire un cambiamento di voce, una proiezione verso l’esterno, verso il futuro, verso il passato. Quello che posso dire è che la raccolta Poesie da camera è nata quando non avevo alle spalle alcun poeta, e questo mi rallegra tanto; infatti non leggevo poesie, non scrivevo poesie da dieci anni. Quello che c’è qui dentro, quindi, è il frutto della mia voce, è quello che cercavo e penso che ogni artista cerchi la propria voce.
Antonello Costa: Mi sono segnato tutti i riferimenti letterari presenti nella raccolta: Dickinson, Plath, Valduga, Pasolini, Dostoevskij, Woolf, Bertolucci, Merini, Rossellini, Fellini, Chagall, Vermeer, Mozart, Heidegger, e tanti altri. Voglio fare riferimento al tuo lavoro, in quanto docente di lettere: cosa consiglieresti a un ragazzo di oggi, che forse è un po’ in dubbio, circondato dal caos dei social e non sa orientarsi all’interno del mondo della letteratura? Tu dove lo indirizzeresti?
Biagio Vitale: La parola “insegnare” deriva dal latino “insignare”, che significa incidere, e per me insegnare è un’attività che si configura come un processo carsico. Un docente dovrebbe innanzitutto ampliare la coscienza dei ragazzi. Tuttavia, oggi è molto difficile insegnare letteratura per un motivo molto semplice: per circa centocinquanta/duecento anni, l’insegnamento della letteratura è stato accostato a una sorta di storicismo progressivo. Con De Sanctis, Muscetta, Petronio e Sapegno, c’è stata una sorta di associazione tra letteratura e identità nazionale. Oggi, invece, i ragazzi – non solo loro – non hanno alcuna visione dell’identità nazionale. Ci troviamo in un momento storico in cui la storia non ha alcun valore: ci troviamo in un processo esistenziale e socio-politico molto delicato, in cui la storia – ripeto – non ha alcun valore. Il presentismo e il voyerismo, dilaganti nella società, non soltanto italiana ma soprattutto europea, hanno disancorato l’uomo da tutto. In questo contesto politico e sociale, abbiamo una rivoluzione digitale che è in atto da trent’anni. Tra l’altro, la parola digitale deriva dal latino “digitus”, che significa dito. Paradossalmente, i ragazzi sono legati a una tastiera o a uno schermo e, quindi, veicolare messaggi di letteratura a una studentessa o a uno studente è difficilissimo, in quanto per loro l’identità nazionale, di cui parlavo prima, non esiste, la storia non esiste, non ha valore. L’unica cosa che posso fare durante le lezioni è quello di veicolare messaggi in maniera empatica, emotiva. La letteratura ha, perciò, uno scopo molto preciso: ampliare la conoscenza di noi stessi. Per uno studente o studentessa della scuola secondaria di primo grado, consiglierei Italo Calvino, Il barone rampante: il personaggio principale, Cosimo Piovasco di Rondò, incarna il grande rifiuto della loro età, in cui i ragazzi si rifiutano di seguire le indicazioni di chiunque e non accettano i consigli degli adulti e dei genitori. Per il momento storico in cui ci troviamo, soprattutto politico, io consiglierei ai ragazzi più grandi altri libri. Partirei da Guicciardini, Storia d’Italia, in quanto è evidente l’individualismo italiano, che è ancora imperante. I promessi sposi di Alessandro Manzoni che è, per me, un melodramma sulla pietà italiana. Proporrei, oltre alla lettura di un romanzo, di andare a vedere un dipinto di Caravaggio, che si trova a Roma nella chiesa di Sant’Agostino, La Madonna dei Pellegrini. In primo piano, ci sono i piedi sporchi dei pellegrini che sono inginocchiati alla Madonna, e i piedi di quei pellegrini li ritrovo in tanti africani che vengono qui in Italia, oppure li ritrovo nei nonni che hanno lavorato la terra o in altri ambienti – fa lo stesso –, e avevano legami profondissimi con la terra. Mi viene in mente Auerbach, il quale scrisse un’opera magistrale a Istanbul, lontano dalle biblioteche, e scrisse: “La casa filologica non è più la nazione ma è la terra”.
Antonello Costa: Cosa stai leggendo in questo momento?
Biagio Vitale: Dopo la nascita di mia figlia, leggo poco e male. Di recente, però, ho letto un saggio molto bello sul rapporto tra Pasolini e il sacro e un testo di Bernardo Bertolucci, un regista che adoro. Vedere un film di Bertolucci vuol dire amare la vita; la sua macchina da presa non è mai ferma, non ci sono mai i primi piani come nei film di Dreyer, ad esempio “La passione di Giovanna D’Arco”. I film di Bertolucci sono delle danze o dei valzer, sono un inno alla vita, Voglio riportarti due poesie in cui scrivo di cinema:
*
Forse solo nei film
di Bertolucci
scoprirai la danza,
la nostalgia
d’una terra eletta,
lo scontro
con un padre poeta.
Forse solo
quando vedrai
sfilare i treni
del Novecento
in una lunga carrellata
scoprirai l’amore
per l’Italia.
*
Vedrai sfilare
le madri di Rossellini
per le strade di Roma,
Jules e Jim
fissare una statua:
sarai tu da grande.
Forse i sogni di
Fellini
t’incuteranno paura.
Chissà. Ieri è
venuto a trovarti
Chaplin, coi suoi
passi buffi e insolenti:
ti ha portato una rosa.
Ma dormivi. La
vedrai domani.
Antonello Costa: È proprio quello che volevo dirti prima: si leggono queste poesie e riesco a immaginarti che canti le tue liriche a Mariasole. Si leggono, molto spesso, le poesie dei poeti ipercontemporanei, e si avvertono distanti, quasi autoreferenziali. Sono come fili ingarbugliati, mentre nella tua camera è tutto perfettamente chiaro, con le tue immagini, con le tue allitterazioni, con le tue metafore che diventano mie. Durante la lettura, entro in punta di piedi nella tua poesia, e tu, poeta, tranquillamente mi accogli, mi fai vedere la tua scena creata.
Biagio Vitale: Hai detto una cosa molto bella. Per molto tempo, anche nel Novecento con le avanguardie, la poesia è stata considerata una sorta di forma irrazionalistica. Gli studenti la percepiscono in questo modo, come qualcosa di distante. La poesia, invece, è un atto puramente logico, che nasconde la parte intuitiva o irrazionalistica. Per quanto concerne l’intuizione formale – per me non esiste l’ispirazione: è un concetto romantico –, ho pensato di strutturare l’opera come se fosse una musica da camera, quindi, come ti ho detto prima, con simmetrie, fughe, ripetizioni. Tuttavia, penso che in ogni scrittore ci sia una forma di autocompiacimento quando scrive. Ora sto pensando a Proust: la sua prosa potrebbe nascondere una forma di autocompiacimento. Leggere la sua opera potrebbe anche dissuadere uno scrittore – lettore dal proposito di scrivere, ecco. Un critico francese, Roland Barthes, ha scritto un saggio molto bello su Proust. In un passo, scrive: Alla ricerca del tempo perduto narra dell’impossibilità di scrivere; Proust scrive quest’opera perché non si ritiene in grado di scrivere un romanzo. Al termine dell’opera, si dice: ora posso scrivere.
Ritorno alle Poesie da camera. Ti confesso che, quando è nata mia figlia, i medici le diagnosticarono un problema agli occhi. Durante il primo mese di vita, eravamo impauriti; alla fine, non era nulla di grave, era soltanto una sciocchezza, un abbaglio da parte di alcuni medici. Lo dico, nonostante nutra una profonda ammirazione per loro. Questa poesia è nata dopo alcuni giorni quella notizia:
Le bende per gli occhi
sono pronte: ti oscureranno
a tratti la visione
del mondo.
Durerà poco, poi
le feritoie
accoglieranno la luce
della stanza.
La tenda di mussola
si gonfierà, le lettere
del tuo nome
si poseranno sulle
tue guance, e non saprai
altro: l’attesa
è nel guardarti
benedire l’esistenza.
Antonello Costa: Al termine delle mie interviste, io domando: chi è il tuo incendiario? Qual è il libro, e il suo autore, che ti ha incendiato durante la lettura, e che consiglieresti di leggere a un lettore esordiente?
Biagio Vitale: Sono tantissimi, è impossibile sceglierne uno. Quando ero ragazzo sono stato folgorato da alcuni scrittori, che sono Dostoevskij, Proust, Kafka, Pasolini, Garcia Lorca e Ginsberg. Per quanto riguarda Pasolini, l’ho conosciuto quando ero ragazzino. A quindici o sedici anni, una mattina non andai a scuola per uno sciopero. All’epoca avevo un motorino, quindi decisi insieme a Raffaele, un mio fraterno amico, di andare a Napoli. Facemmo una passeggiata in via Caracciolo. Poi, andammo a Via San Biagio dei librai. C’erano tanti libri, e tra quelli che mi incuriosivano c’erano Poesia in forma di rosa nel ’64 e Trasumanar e organizzar del ’71 di Pasolini. Scelsi Poesie forma di rosa e fu la rivelazione: grazie a lui ho conosciuto l’arte, il cinema, la poesia; mi sono avvicinato al vivente.
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