Io Incendio: Le invasioni barbariche – Spazio

Cara lettrice,

Caro lettore,

Finisco il mio giro del mondo attorno a un’isola; è una fine che sa un po’ di inizio, per me e per l’Incendiario.
Ne porto tesoro, le sue ricchezze son tutte le sue lezioni; l’ultima, la più importante. Ho capito di aver confuso il mio corpo con una casa:

il mio cervello, un ufficio, uno studio, uno scaffale con un macchinario gigante, per provare a capire il sistema per essere impeccabile con i miei studenti;

i miei polmoni, una cucina, la fucina, una stanza colma di fumo, il fiato che perdevo tutte le volte che accompagnavo mia mamma al cimitero, respiravo il suo dolore, mi premeva sul petto quell’insaziabile domanda: perché si muore?;

la mia schiena, i miei scudi, la scala verso il mio paradiso, un tetto lucente con vista che offrivo alla persona che amavo, spazio spontaneo in cui avevo scritto: io e te, tu e io, sempre;

e poi il mio cuore; forse l’organo di cui mi ero principalmente dimenticato; l’ho reso uscio della mia casa, consumato accesso aperto per tutti, arteria usurata, batteva per te, cara lettrice, per te, caro lettore, per te, per te e per te e per tanti altri… ma quando per me, caro lettore o cara lettrice?

Mi è capitato di trasferirmi, allora, allontanarmi dal mio abitudinario corpo e vivere in una una residenza invernale. E in quell’altro spazio, ho ritrovato il mio:

il mio cervello;

i miei polmoni;

la mia schiena;

soprattutto, il mio cuore.

Ho preso coscienza di tutto: se il mio corpo era una casa, abitata dagli altri, lo spazio per me era nei corridoi;

e non volevo più starci, ne avevo bisogno, da quegli angoli è cresciuta la rabbia, cardiopalmo, un desiderio e possesso di amor proprio. Non mi restava che fare altrimenti: diventare il mio invasore barbarico. L’ho fatto male, sicuramente, nel modo peggiore: silenzi inattesi, discorsi sbagliati, notte insonni a pensare agli ideali delle mie perfezioni, fino a raggiungere il limite per poi esplodere. Ho strappato la carta da tutte le mie maledetti pareti, ho spezzato ogni singolo specchio, ho invitato poi tutti a uscire, con odio. Sono rimasto dentro solo io. Finalmente io, con il rullo di tamburi, il tum, il tum, il tum… eccolo, il mio cuore, a cui avevo concesso di sbagliare dopo tanto nel modo giusto; e dopo tutti gli errori e le imperfezioni, cara lettrice e caro lettore, mi sono sentito finalmente protagonista della mia storia. Mi sono sentito così vivo, per un attimo, al centro, il fuoco… ma quanto è difficile abitare il proprio spazio. Ci rifletto ora, a posteriori, dopo aver rotto tutto: ci si guarda attorno, e manca qualcosa: un mobile, una cornice, la tazza perfetta, da colazione, per farmi felice, le pile di libri, e, aggiustarne le altezze e le copertine, una vena, una spalla, una finestra per i miei polmoni. E giunge l’ineffabile consapevolezza: se si passa troppo tempo per i corridoi, può capitare questo: non si riesce a essere più al centro del proprio spazio; se tutti gli altri erano lampadine di casa, ci si dimentica di esserne il fuoco, ed è complicato ritornare a esserlo.

Mentre continuo, caro lettore o cara lettrice, ad arredarmi, a mettere apposto, a imparare di nuovo a essere al centro, inizio ad aprirvi le porte: dopo aver percorso il sentiero dorato, aver incontrato leoni, spaventapasseri, persone di latta, dopo aver invaso illusioni e Città di Smeraldo, sento di ripartire da me, sbatto tre volte le mie scarpe, e ritorno qui:

caro lettore o cara lettrice, seppur con meno frequenza, ricominciamo a scriverci.

Eccoci di nuovo qui, sull’Incendiario,

eccomi di nuovo qui.

Bentornati,

bentornato a casa.

Antonello Costa per L’Incendiario

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