Io Incendio: Le invasioni barbariche – Tempo

Caro lettore,

cara lettrice,

623.

Sono le ore che ho passato da piccolo a giocare a “Pokémon Perla” sulla Nintendo Ds, così come segnala la console; 623 ore che sono equivalenti a circa 26 giorni.

I molti che mi conoscono, lo sanno, sono da sempre un appassionato dei Pocket Monster, ho consumato due console per giocarci ininterrottamente, aspettavo che i miei si addormentassero per accenderla e stare sveglio fino a tardi, spendendo ore e ore per cercare di catturare quei maledetti Pokémon erranti. “Da piccolo, hai sprecato tempo quindi! Potevi riempirlo in un altro modo!” mi potrai rimproverare, caro lettore o cara lettrice. Ma sono qui per dirti che ti sbagli, rendendo utili e funzionali quelle 623 ore: devi sapere, infatti, che la serie di videogiochi Pokémon non è solamente un gioco per bambini; gli sviluppatori sono attentissimi alla narrazione, affrontando dietrologie che sono ben lontane dal mondo dei piccoli. E nel lontano 2006, vennero pubblicati questi due titoli, uno lo specchio dell’altro, “Pokemon Perla”, con il leggendario in copertina Palkia, mostriciattolo dello “spazio”, e “Pokemon Diamante”, con il leggendario in copertina Dialga, Pokémon del tempo. L’esistenza dei due dava senso e armonia alla “materia”: senza spazio né tempo gli esseri umani del gioco non avrebbero potuto esistere, sarebbero stati estranei a quegli atomi di Lucrezio racconti nel “De Rerum Natura”. E se la filosofia pokemoniana vi sembra fin da subito complessa ed esaustiva, qualche anno dopo Game Freak complicò nuovamente le poste in gioco: nel 2008 viene lanciato sul mercato “Pokemon Platino” che va a chiudere il percorso lanciato dai due titoli precedenti; e il mostro in copertina, brutale, irrazionale e ribelle è “Giratina”, il Pokemon dell’antimateria; lo spazio e il tempo, le parti della materia, possono esistere solamente se sotto c’è l’antimareria; e la vita con la morte; e il razionale con l’irrazionale; e la luce con l’oscurità.

È un complesso gioco delle tre carte, caro lettore o cara lettrice; è una catartica discesa nella camera oscura: il positivo di una fotografia esiste solo grazie al suo negativo. Voglio applicare oggi con voi, per genio, la filosofia dei giochi alla nostra sfera umana: se spazio e tempo sono la nostra materia, qual è la nostra antimateria?

Partiamo dalle nostre menti: passiamo troppo tempo a razionalizzare, a raccontare e a raccontarci, a imporci interminati spazi e sovrumani tempi, ma a volte, caro lettore o cara lettrice, “come te lo spiego?”, alcune cose non hanno senso: il tepore di un temporale estivo; le buone vibrazioni per un’incognita; i battiti del cuore in gola. È la nostra antimateria, al di fuori dello spazio e del tempo; e se devo darci un nome oggi, riesco solo a chiamarla amore.

Risali, infatti, sulla macchina del tempo, e torniamo ancora più indietro: tredicesimo secolo, Richard de Fournival scrive il “Bestiaire d’amours”, “Il bestiario d’amore”. L’essere umano, ragionevolmente perfetto, secondo lo scrittore smette di essere ragionevole quando si innamora: spegne la sua razionalità ed è sempre più simile a una bestia. È la vittoria, pertanto dell’antimateria sulla materia, Giratina su Palkia e Dialga, l’amore su spazio e tempo. De Fournival va a comparare, così, nel bestiario gli amori degli esseri umani con i comportamenti degli animali, e fa sorridere la sua descrizione del gallo, il primo animale del testo, vicino a quanto scritto da noi: “[…] più vicina è la sera o il mattino più spesso canta; e quanto più ci si approssima alla mezzanotte, tanto più forte esso canta e tanto più amplifica la sua voce.

La sera e il mattino, che possiedono la natura del giorno e della notte mescolate insieme, significano l’amore del quale non si spera né si dispera interamente, e la mezzanotte significa l’amore del tutto disperato.”

Il gallo, pertanto, canta, comprendendo la natura innaturale, speranzosa e disperata insieme, dell’amore: canta in un momento in cui lo spazio e il tempo sono labili, all’alba, al tramonto, sull’uscio tra giorno e notte, a mezzanotte, il confine tra oggi e ieri. La bestia canta, senza ragione, scegliendo istintivamente i suoi episodi d’amore: ché l’amore non è un “dove sei?”; ché l’amore non è in ritardo; ché l’amore esiste, anche se non ha alcun senso d’esistere.

De Fournival, caro lettore e cara lettrice, dà così senso a quelle 623 ore, togliendo la maschera al nostro invasore barbarico, a Giratina, al sicario antimaterico della nostra ragione: quel sacro e maledetto mostro, l’amore.

E mentre cerchiamo di difenderci inutilmente da questo, vi scrivo che sarà questo il criterio con cui pubblicheremo regolarmente sull’Incendiario: non avremmo né spazio né tempo, condivideremo con voi solo ciò che è stato scritto, da noi o da altri, con amore; vincerà solamente la passione per la scrittura, svincolata da qualsiasi logica di mercato o di pubblicità. Che sia questa, grazie a quelle 623 ore, la nostra nuova formula:

L’amor che move il sole e l’altre stelle.

Antonello Costa per L’Incendiaeio

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