Morte e Tempo

È un nuovo giorno all’ufficio del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Per me non c’è pausa, stacco dal turno, attacco il mio turno, sempre qui, alla mia scrivania, la mia tomba, il mio personale tempo indeterminato da un’eternità. Non ho pause pranzo, sono tutt’ossa per quanto son magra, nascondo il mio funebre volto con la mia divisa, il mio mantello nero.

“Mi dia il curriculum?” incalzo il primo candidato del giorno, che, timoroso e spaesato, è titubante. 

“Allora è questo? Ce l’ho fatta? Sono qui in”… è incredulo “in paradiso?”, “Ma quale paradiso!” rispondo irritata “Senta, prima anima del giorno, non  è qui per fare domande. Mi dia il curriculum!”. 

Lo spirito si tinge di rosso, imbarazzato e incantato nello stesso momento. “Sì, sono in paradiso” estasiato “sono nella spiaggia del paradiso!”. 

Alzo la voce “Ma le pare che in paradiso ci sia la sabbia. Avanti, forza, si muova, io non ho tempo da perdere, a differenza sua, che glie ne è rimasto poco” e per sorprenderlo, con la mia penna a forma di falce, faccio tintinnare la clessidra che ho qui al centro della mia scrivania. 

“Che cos’è?” rimane stupita dal suono angelico “È un orologio?”. 

“Lo vede!” lo rimprovero “mi fa anche le domande sbagliate”, do una rapida occhiata alle spalle del candidato, non ci sono anime in fila. Posso concedermi un po’ di chiacchiere: “Questa, prima anima del giorno,  è la clessidra del tempo” e la sabbia, alle mie parole, si illumina nelle sue sfumature dorate. “Bella vero? Lo so, in terra mi hanno raffigurato con uno strumento diverso: la banale Morte con cappuccio nero e falce. E invece no: il mio Superiore (non si nomina il suo nome invano) mi ha concesso questa invenzione. Deve sapere, mia cara anima, che, secondo le regole armoniche, non esiste un solo tempo. Ve lo facciamo semplicemente credere”. Allo spirito brillano gli occhi, come li avessi incendiati. “Il tempo concesso in terra è quello esperito: è una linea, che ha un inizio e una fine, che voi scandite con le vostre futili lancette” e faccio tintinnare nuovamente la clessidra con la mia penna. “La sabbia qui dentro corrisponde, invece, al tempo vissuto. Quando venite creati dal Superiore, mia cara anima, la clessidra è piena. Crescendo, più riempite il vostro tempo di vita, quella vera, e più la sabbia scorre e scompare: costruite i vostri castelli, perseguite i buoni propositi, inseguite il quando dimenticando il dove, respirate i momenti come fossero ultimi. Vivete secondo questa sacra legge, consumando pertanto la sabbia, e sarete degni della grazia del nostro Signore. È il dono più bello che ci potesse fare: il Tempo.”  La mia voce è cristallina ogni volta che racconto della mia clessidra; ne vado fiera, mi rende orgogliosa, ma non riesco a saziarmi di gioia. La spiaggia, che mi circonda, mi inquieta con la sua visione. 

Lo spirito non si accorge del mio cambiamento di umore, “E io ho vissuto!” esclama emozionata, “C’è pochissima sabbia nella clessidra. Posso andare in Paradiso”. 

“Ancora con questa Paradiso….”,  non posso più aspettare “Mi dia il curriculum”. Lo valuto velocemente “Bene, ottimo. Vedo che lei ha fatto la collezione dei peccati capitali. Vedo anche che ha infranto tutti i comandamenti. Perfetto, si scordi il Paradiso: INFERNO”.

Sbatte le palpebre “Ma come? Guardi, ho vissuto, c’è poca sabbia nella clessidra”. 

“Ha perseguito i buoni propositi? Non mi pare… INFERNO!”. 

“Ma… no… sono degno, ho vissuto”. 

“Certo anima, ha vissuto per compiere il male. Ripeto: INFERNO!” e lo scrivo in maiuscolo, con la penna a falce, nella parte conclusiva del curriculum che mi tocca compilare. 

“Ma come si permette? Chi è lei per decidere questo?” è un’anima irosa, “Voglio parlare con il suo capo. San Pietro, la Vergine oppure Di…” 

“NON NOMINI IL SUO NOME INVANO” la interrompo estenuata. “Mi ascolti prima anima del giorno. Faccio questo lavoro da una vita. Si fidi della mia esperienza: per lei, Inferno, firmato dalla sottoscritta”. La congedo gentilmente “cordiali saluti: la Morte”, e imprimo con la falce il mio nome sul foglio. L’anima scompare come se fosse vento “Buon inferno, prima anima del giorno” la saluto ironica e espiro per rilassarmi. “Che fatica  il lavoro della Morte, che il Signore mi sostenga”.

Ma devo già tornare a lavoro.

Mi bussano alla porta. Ho subito nuovi candidati per il colloquio, ma voglio concedermi ancora del tempo, per concludere la parte del colloquio più dolorosa. Sfioro il mio strumento, tutto ciò che conta per me. La clessidra sembra frantumarsi al mio tocco, è tanto fragile quanto la vita. È allegoria di un perfetto equilibrio tra sopra e sotto, tra cielo e terra, tra vita e morte. E a me, la Morte, tocca il compito di porre fine alla sabbia rimasta: raramente il tempo esperito combacia con il tempo vissuto. Troppo volte gli essere umani tendono a sopravvivere, a riempire i secondi di nulla, ad annullare la vita per ignavia o codardia; e la sabbia nella clessidra rimane. Non c’è più tempo per viverla. Mi tocca svuotarla, in questo ufficio, inizialmente una piccola oasi, ora un litorale, una spiaggia, colma del tempo che non è stato vissuto. E più si riempie, e più mi addoloro. E più passa il tempo, e più la spiaggia cresce. E più questi nascono, e più pochi vivono. È un calendario di secoli oscuri, in cui gli umani non vedono più ragioni di vita. Il loro stato di annullamento, con la sabbia che cresce nella mia stanza, è la mia litania: ciò che spaventa la Morte, è la morte in vita della vita stessa.

E come quando, rotto il suo bozzolo, la farfalla vola verso il suo ultimo giorno, allo stesso modo mi risistemo nella mia scrivania; e con l’animo inquieto come un cristallo, “Avanti”, accolgo le prossima anima. Ciò che mi si presenta è straniante: entra in ufficio un omino di fumo. Un corpo composto di cenere, non ne distinguo il volto, le tempie, le gambe, le guance, le mani, la chioma, gli occhi: è un’anima fatta di nulla. “Ah, che giornata grigia oggi, vero?” provo a ironizzare, ma l’anima è timida, non mi risponde. “Ma non stia lì titubante, prego, si accomodi, venga, venga” quella scivola davanti a me, remissiva, senza pormi domande, come se non si trovasse davanti alla morte. “Si metta a suo agio, si rilassi. Anzi, prendiamoci del tempo per conoscerci. E mi scusi per l’attesa, l’anima che l’ha preceduta mi ha tenuto molto, non smetteva di parlare delle sue speranze per il paradiso” provo a incalzarla.

Ma resta in silenzio. Annulla la spiaggia, la sabbia, la Morte, è un’anima silenziosa, chiusa in spesse mentali pareti di apatia.

“Lei invece” non riesco a capirla “che cosa vuole?” e invito con la mano a passarmi il curriculum.

“Niente”, che strano, è insolita come risposta, “niente” ripete, con un tono spezzato, sarà questa la voce dei mimi?

“Come niente?” mi chiedo, e analizzo intanto il curriculum. Rimango sbalordita: è bianco. “Mi scusi: come mai il suo curriculum è bianco? Cosa ha fatto in vita, se posso chiedere?”. L’anima grigia mi fa spallucce, anche se quei rami fumosi non possono essere definite davvero spalle. “Eh… niente” di nuovo. Sono sempre più interdetta, ma un raggio di luce mi distoglie dal foglio, la luce della sabbia della clessidra, il riflesso di una clessidra piena. “Ma è incredibile” i venti dell’ansia “lei, anima grigia non ha vissuto. Ha tutto il tempo!” le sue membra fumose non si smuovono alle mie parole. “Ma ha capito cosa sto dicendo? Ha capito chi sono? Io sono la Morte, l’estremo giudizio del suo futuro. Valuto le sue gesta riportate sul suo curriculum. Considero il tempo vissuto segnalato dalla sabbia nella clessidra. Il suo curriculum è bianco, la clessidra è piena. È come se lei non avesse vissuto”, ma la spiaggia è assalita dalla sua nebbia muta.

Devo calmarmi, “Posso darle del tu?” mi sbottono. 

“Certo!” dimostra adesso passiva convinzione. Cerco i castelli, alcuni propositi, gli antichi quando, gli attesi momenti. 

“Tu cosa hai voluto in vita?”. 

E come una falce su di me “Niente”. 

E io ancora “Con cosa hai riempito il tuo tempo?” e lei “Niente”. 

E di nuovo “Se tu fossi in vita, cosa vorresti?” e fa più male “Niente”. 

E infine più forte “Insomma, anima grigia. Cosa vuoi?”. 

E lei mi uccide: “Niente”.

Niente… Un grigio niente… Lui grigio, io rassegnata a un catrame di noia e preoccupazione. I riflessi di una clessidra piena mi ossessionano. 

No, non posso, non voglio. Ma non devo. Ma voglio impedirlo, non è giusto, non posso svuotare un’intera clessidra piena. Non voglio condannare uno spirito che non ha mai vissuto. Che senso ha  essere morte di chi non ha conosciuto la vita. “Ma ne sei consapevole vero?” mi inizio ad accendere “Sei consapevole che hai sopravvissuto per tutta una vita”. 

Ma il suo silenzio sa solo di nuvole; è il meteo dell’apocalisse, quando alla fine dei tempi, tra Angelo e Diavolo, trionferà il diabolico nulla. Ho una soluzione “Facciamo così” tanto di candidati ne ho tanti, nessuna se ne accorgerà “Sospendiamo questo colloquio, facciamo finta che non sia avvenuto” avverto un barlume di genio “Guardi, anima grigia. Voglio che lei torni giù, che lei riempi il suo curriculum, che lei consumi il suo tempo vissuto. Voglio che tu vivi, anima grigia” e mi accendo, come il colore di quella sabbia. Ma lo spirito nulla, rimane fumo. “Hai capito, anima grigia? Ti sto dando altro tempo. Ti concedo una nuova vita” e faccio per strappare il curriculum “Ci rivedremo ancora, anima grigia, rivedrò il tuo curriculum, consumerai la tua sabbia, e ti farò la stessa domanda: cosa vuoi?” e faccio in due la carta. 

“E come dovrò rispondere?” la sua domanda è un punto di inizio. 

“Nel modo giusto”, e i coriandoli del suo curriculum si mescolano con le mie dune. Il fumo scompare, si disperde nel cielo per tornare corpo in terra. Guardandola rinascere, ragiono entusiasta della mia infrazione: “Buona vita, anima grigia. Alla prossima morte…”

Non pensavo di rivederla così presto, ma per la Morte i decenni sono come un minuto.  “Posso?” mi chiede, dopo aver bussato. “Ahh, anima grigia, sei stata rapida. Vieni, inizia a sistemarti, finisco la valutazione di questa spiritella e poi passo a te”. Devo ancora concludere l’anima che la precede “Signora, capisco l’età, capisco la passione, ma non le sembra un po’ esagerato bestemmiare le squadre dei Santi a ogni partita della sua squadra cuore?”. 

“San Gennaro mai, che sono devota”, mi viene da sorridere. 

“Signora, e ho capito che ha salvato San Gennaro dalla sua passione calcistica. Però tutti gli altri… pure San Giuseppe Signora, e dai, su, poteva evitar…” ma mi interrompe “E che aiv fà? Quelli non segnavano”. 

“Signora, pregare, poteva pregare, non bestemmiare”. 

“SAN GENNARO, aiutami tu!”. 

“Dai signora, non si preoccupi, metto la mia firma, un paio di anni di Purgatorio e tutto…” “SAN GENNARO!” nuovamente. 

Completo la frase, “… e tutto passa” e siglo il foglio con il mio nome. La vecchietta scompare, andrà ad affrontare un po’ di pene calcistiche nei campi del Purgatorio. “Hai visto, anima grigia, che fuoco!” e la invito a sistemarsi “Intanto siediti, io devo finire la pratica, fai finta di non veder nulla” e svuoto la sabbia rimasta della tifosa nella spiaggia. E se fino allora era stata abbastanza taciturna, persa nel suo immenso fumo, adesso colgo dell’anima grigia un bagliore “Allora ecco perché la Morte svolge il suo compito in una spiaggia eterna. Questa non è sabbia ma…”.

“Sei più perspicace dell’ultima volta, anima grigia” e lascio cadere i granelli più piccoli rimasti, “sono circondata da Tempo. Tutto quello che non è stato usato. Tutto quello che poteva essere:  un altro abbraccio tra madre e figlia, un ultimo sguardo all’alba o al tramonto, la tenerezza di un nuovo bacio. Se tu, anima grigia, vivi in un mondo di spazio e di tempo, qui c’è un mondo di tempo perso con cui avresti potuto erigere enormi spazi di vita. Qui c’è tutto”. E colgo di nuovo il suo bagliore, mentre mi rammarico per i tempi andati. Mi calmo, “Torniamo a lavoro, allora, di nuovo la stessa domanda. Cosa vuoi?” e do un’occhiata al suo curriculum. Qualche riga brevissima, ma non mi basta. La clessidra è ancora colma, ne ha fatto solo un breve e piccolo sorso. “Niente” ma mi sembra più convinta, e io ho appena iniziato. Strappo di nuovo il curriculum. Le concedo un’altra vita. “È sempre bello morire ancora, vero anima grigia?” e il mondo si riempie di una sua terza nascita.

Passa del tempo, e poi il suo ritorno. 

“Cosa vuoi anima grigia?”. “Ancora niente”, ma avverto il rumore del tuono.

E dopo una quarta: “Cosa vuoi?” e mi illumina finalmente col fulmine. “Farlo ancora”.

E poi ritorna: “Cosa vuoi?”, “Ancora”.

E una sesta: “Cosa vuoi?”, “Ancora di più”.

E una settima: “Cosa vuoi?”, “Tempo”.

E un’ottava: “Cosa vuoi?”, “Ancora tempo”.

Ed ecco la nona: “Cosa vuoi?”, “Ancora più tempo”.

E arriviamo alla decima: “Cosa vuoi?”, ma l’anima grigia non mi risponde. È cambiata nel corso degli anni. Che non si fraintenda, il suo corpo è sempre fatto di fumo, ma finalmente riesco a vederne gli occhi. E quel bagliore, che avevo visto tempo or sono, è cresciuto: se Giove fosse realmente esistito, avrebbe perso le saette nelle sue pupille. Dimostrano tenacia, sicurezza, forse spregiudicatezza. Il suo curriculum me lo conferma: la mia anima grigia finalmente ha vissuto, forse ha peccato un po’ troppo, si è arresa lasciva ai vizi, spendendo buona parte della sua sabbia in vite banali.  Mi dissimula, infatti, una passata ritrosia e balbetta “T…t…tempo”. Gli rifaccio la domanda, fingendomi sorda “Non ho capito bene: cosa vuoi?”. Di nuovo maligna balbuzie: “T…t… tempo”. 

Segue la quiete, che sempre precede una viva tempesta. “Ti stai facendo spiritosa, anima grigia, lo sai. Davvero molto, tanto da portar provare a mentire alla Morte”. L’ho colta in flagrante, vedo i raggi tra le palpebre. “Invece di ringraziami, anima grigia, mi lasci incredula. Tu, che tra le mie anime sei la privilegiata, che ti ho così concesso così tante vite, e, a quanto vedo, le hai usate solamente per imparare a sopravvivere in modo diverso; a morire in modo sbagliato. Ti rifaccio la domanda, ed è necessaria, per il tuo futuro, la verità: Cosa vuoi?”, ma nella sua provocatoria calma, non mi risponde. Ne ho abbastanza: “Non ne posso più, è finita. Non hai imparato niente” e vado per firmare il curriculum “Ti ho concesso troppo, e con cosa mi hai ripagato: col niente!” e arrivano alle mie narici gli odori di una funesta pioggia. “E io non posso farci niente, hai vissuto abbastanza ormai, ti devo condannare!” e nei suoi occhi i colori di una di una tormenta. “Mi costringi a farlo. Ti condanno all’inferno, cordiali saluti, dalla tua Morte” ma non faccio in tempo a terminare la firma che tutto esplode. Davanti a me non c’è più il mio omino di fumo, ma un nuovo terremoto di fulmini, e i suoi occhi sono l’epicentro. Il vento mi strappa il mantello, mi lascia nuda e ossuta, In un ciclone, perdo la penna, sono incapace di falciare il curriculum. Mentre cerco di acquistare la calma, il potere dei suoi occhi si intensifica: folgori, venti, fulmini e saette. Il suo uragano debella la spiaggia e ci accerchia in una tempesta di sabbia. “Anima grigia, fermati, cosa stai facendo?” ma quella tuona “Ti dico di fermarti” ma è una buriana “Anima grigia!” urlo con tutta me stessa “Ho paura”. Io, la Morte, sto morendo di paura. Non mi resta che porle la nostra domanda. Con la voce in gola: “Anima grigia, cosa vuoi?” e il suo soffio a un tratto si arresta. “Cosa vuoi?” ripeto. I suoi occhi per un attimo si spengono in una momentanea tranquillità. Con rinnovata voce gravosa mi risponde: “Io voglio tutto”, e poi ricomincia, “Io voglio il mondo”, e i suoi lampi, “Io voglio tempo”, e la tempesta è sempre più forte, “Hai capito Morte? Io voglio tutto il tempo, e tu puoi darmelo” e con una scarica elettrica si impossessa della clessidra. Ho le iridi al di fuori delle mie cavità “No! Cosa stai facendo?” e la tormenta di sabbia si intensifica, “Non sono queste le regole, non puoi toccare la clessidra” non mi resta più voce “Cosa vuoi da me?, ho paura. Mi regala una nuova pausa e poi la sua fatale sentenza: “Voglio da te quello che mi hai sempre dato: il tempo. Ne ho bisogno, perché finalmente ho visto ciò che volevi farmi vedere. C’è un mondo di vita da conquistare laggiù, e io lo voglio tutto. Necessito, però, di più tempo, mi tocca rubare il tempo degli altri” e fa ciò che non avrebbe dovuto fare. Scaraventa la clessidra per terra, il vetro e la sabbia si confondono con le sabbie degli altri. Conclude: “Ricordo le tue parole. Qui c’è un mondo di tempo perso con cui erigere enormi spazi di vita”, e dai suoi occhi balena un fulmine che dà fuoco al suo curriculum. La cenere si mischia col vento, un’unica tempesta di sabbia. I suoi occhi lentamente rimpiccioliscono, l’anima grigia si condensa in una piccola palla di tuoni, per poi sparire, e tornare un’altra volta, in modo diverso, in vita. 

La tempesta smette di suonare; mi circonda solamente il silenzio. 

Resto attonita. Lo ha fatto davvero. “Avrò problemi con il Superiore” provo a ironizzare, ma non ci riesco, sono colta da nuove paure. La spiaggia si assesta nella sua vecchia forma. Tra le sue piste colgo, però, dei bagliori di vetro, il memento mori del mio errore: l’anima grigia ha dato fuoco al suo curriculum, concedendosi un grande tempo esperito; ha trasformato la spiaggia nella sua clessidra, acquisendone tutto il tempo vissuto. Sfida il signore, anelando a una vita eterna, rubando il tempo dalle sabbie degli altri. Per insegnare all’anima più grigia quanto colore possa esserci in vita, glie ne ho concesse troppe. Per far nascere speranza nelle notti più buie, ho fatto nascere in lei una brama di invidie, vizi e ricchezze. Volvevo interrompere la sopravvivenza, ma ho dato morte a tutti castelli, i buoni propositi, i miei amati quando, i sognati momenti. Le avrei dato un mondo di tempo, mi ha rubato tutto il mio mondo. Volevo insegnarle la vita; le ho donato un’unica e grande lezione di morte.

Le grandi crisi portano rivoluzioni. Le vie degli eventi trovano un’accelerazione, e le strade del Signore sono infinite. L’infausta rottura della clessidra ha portato a una digitalizzazione del sistema. Non si lavora più con curriculum cartacei, i tempi delle analisi delle sabbie del tempo sono andati. I candidati sono tenuti a inviarmi i curriculum tramite e-mail, cui seguirà una mia valutazione preliminare, con successiva call, ove necessario, per poi spuntare la casella, Inferno, Paradiso, Altro, attraverso la compilazione di un quiz-moduli. Arrivederci penna, benvenuto cursore, ovviamente a forma di falce. Addio spiaggia, eccoci qui, grattacielo con vista Paradiso. L’antica clessidra è vintage, l’orologio digitale è la moda odierna. Uno strumento angelico nuovo di zecca, caricato a preghiere, in cui si accumula tutto il tempo. Il genere umano, però, sembra vivere secondo ottimi intenti, il numero del tempo vissuto rimasto ha mai avuto una così bassa crescita. La situazione appare sotto controllo, un essere umano con tanto, troppo tempo a disposizione, non sembra star creando grossi problemi. La sabbia ai piedi del grattacielo va sempre di più riducendosi: un giorno rientreremo totalmente dai grossi debiti di quel giorno nero, e tutto sarà finito. Certo, nell’era digitale, sono più controllata: la Morte non può più giocare, tutto è segnalato, ogni anima è associata e registrata a un suo personale algoritmo. A nessuno può essere concesso più tempo. Mentre clicco la casella “Altro”, prestandomi a scrivere sulla tastiera “Sei anni al Purgatorio”, mi bussano alla porta. Impossibile, non entra più nessuno qui da una vita. “Avanti”, nervosa, sperando che non sia la visita del Superiore, ma scivola dentro la mia antica amata. “Ne è passato di tempo, vero amica mia?” mi saluta l’anima grigia. È nuovamente diversa. È più bella, come se i raggi del sole le fendessero il corpo negli spazi in cui le nuvole sono più sottili. Il suo tono è più maturo, è un’arpa di esperienze e anzianità. 

“Finalmente, sei di tornata qui” e ne sento il sollievo, come quando si rivede una persona che hai tanto amato quanto odiato. Un pensiero mi distoglie dalla leggerezza: “Come è possibile? C’è ancora sabbia sotto al grattacielo! Forse hai compiuto quell’ultimo gesto….” e ritrovo il suo bagliore negli occhi che mi dà ragione. 

“Esatto, mi sono tolta la vita” e con le sue spalle fumose e ramose fa spallucce, come la prima volta. Mi lascia smarrita, “Ma perché?”, sono confusa. 

Come se nella voce avesse la bellezza della clessidra, mi sollecita: “Non è questa la domanda che devi farmi”. Il suo fumo si disperde completamente, ora è solo luce, che solleva una lieve brezza di vetri e sabbia. Sono pronta per l’ultimo nostro amato incantesimo: “Cosa vuoi?”

“Mia cara Morte. Sono arrivata qui che non volevo niente. Ho vissuto la mia prima volta come se fossi addormentata, un mare di morte a galla con la testa in giù; e quando sono affogata, non sapevo cosa ci fosse sopra. 

Tu mi hai fatto vedere sopra. Mi hai dato il tempo per riuscirci, mi hai dato la spinta per venire al mondo: una vita per ricominciare, una vita per camminare, una vita per capire che sono abbastanza, una vita per sbagliare, una vita per amare, una vita per ricostruire, una vita per cui morire, una vita per avere paura. Sei diventata la mia migliore amica, ma sei diventata la mia paura peggiore: volevo così tanto la vita, che volevo più tempo per viverla, volevo tempo prima di morire; e dopo aver sbagliato, e averlo preso tutto, ho capito il mio errore. Ché si sopravvive, poi si ha la sua smania, ché questa non ci basta mai, infine si svela il suo ultimo volto: questa è tutto ciò che basta; si vive il tempo quando si è grati di avere tempo; che il tempo è come un granello di sabbia, talmente piccolo da perdersi in tasca, così magnifico da farci una spiaggia, e apprezzarne ogni singolo chicco. 

Ora, pertanto, ho tutto chiaro: hai fatto tanto per ridarmi la vita, e io ho passato una vita a morire. Tu non mi volevi insegnare a vivere. Tu mi volevi insegnare ad amare la vita.

Ti rispondo, finalmente, dopo tanto so le parole giusta da darti. 

Cosa voglio?

Niente di più.”

E gettandosi dal grattacielo, andandosi a unire con sabbia e tempo, i suoi ultimi granelli mi sussurrano: “Addio Morte”.

Una mia lacrima cade giù: “Addio Tempo”. 

Racconto di Antonello Costa

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