Caro me,
sei arrivato al termine di quest’anno! Hai avuto in questo molte ossessioni, la prima tra tutte lo studio del movimento: come imparare a muoversi pur restando fermi. Hai tanto cercato di controllare il tuo passo, che stavi in realtà scappando da ciò che hai paura: la fuga. Se si pensa che il contrario del movimento sia l’immobilità, mi tocca smentire, che è un moto scomposto, irrazionale, per cui la chimica e la fisica non hanno leggi: una lanterninosofia di Pirandello, ma si cammina in un vuoto in cui tutte le luci sono spente. Hai camminato nel vuoto, caro me, nel tuo personale sottosopra, convincendoti che il demogorgone fossi solo tu. Voglio concludere, però, aiutandoti un’ultima volta quest’anno: che se l’ultimo giorno è di resoconti, io voglio che tu ne faccia una frontiera, una linea di confine, delimitata e riconosciuta, in cui tu riesca a delimitarti e a riconoscerti, anche quando tutto è buio. E quando l’oscurità è stata piena di terrori, caro me, sono fiero oggi di scriverti che sei stato fedele alle tue lezioni: hai spiegato, infatti, smaniosamente quest’anno cosa sia la pietas di Enea, ovvero tutti quegli atteggiamenti compassionevoli, legati al dovere e alla devozione, che un eroe doveva mantenere nei confronti dei cari, del vicino e dello Stato. La parola latina “pietas” può essere confusa con quella italiana “pietà”, ma è più vicina in realtà a ciò che è pio, a colui che è animato da un profondo sentimento di fede; Virgilio rende della pietas Enea un vassallo, l’antenato di Augusto il vessillo di questo valore. Sebbene ho fatto di Enea un mio modello, l’ho messo costantemente in discussione, legandomi agli studi degli emeriti Marchetta, Paratore, Conte e Coccia: nei momenti di irrazionalità infatti, in cui la ragione e l’onore che lo lega al destino vengono vinti, Enea non è pio, l’eroe non dimostra pietas, è spietatamente empio: quando è preso dalla passione cederà all’amata Didone per poi lasciarla abbandonata a Cartagine; quando Turno sconfitto gli chiederà miseramente di risparmiarlo, Enea ciecamente gli toglierà la vita, per vendicare il suo amico Pallante. Se l’irrazionalità è una camera buia che non ha pareti, Enea, quando si muove in questa, è profondamente vuoto. Guardandolo, caro me, è questo il dubbio che ti ha così tanto assalito: sei stato vuoto? Sei stato empio nei confronti di chi amavi? Nei momenti di irrazionalità, hai perso la tua pietas?
Per fortuna è venuta in soccorso la tua scuola: se a volte pensi di essere acqua, ella è la tua incendiaria, rubando il fuoco agli dei, si fa Prometeo per farti da fiaccola nel tuo percorso. Recentemente, infatti, hai assegnato ai tuoi studenti la lettura integrale de Le avventure di Pinocchio di Carlo Collodi; mentre lo terminano, hai iniziato a informarti, trovando illuminanti le osservazioni critiche di Alfano: Pinocchio, nelle sue marachelle del tutto prive di ogni ragione, si muove incessantemente, eppure resta fermo. È in un continuo stato di corsa, ma è biologicamente impossibilitato a muoversi, condannato a rimanere solamente un pezzo di legno, finché non riuscirà ad acquisire il senno e la buona ragione di un bambino vero. Non sarà un bambino vero, ma Pinocchio nel testo è più umano dei tanti animali che lo circondano: pur del tutto privo di razionalità, il burattino è sempre irrazionalmente pio. Aiuta il prossimo, è vicino al suo nemico, ha premura dei suoi cari. Quel pezzo di legno, che è solo un qualcosa e non ancora un qualcuno, ha costantemente pietas: al contrario di Enea, che nell’irrazionalità la perde, a Pinocchio la pietas lo salva, sempre. Pertanto, caro me, ne faccio la nostra immagine di fine anno: mi approprio della lezione di Pinocchio per augurarci di perseguirla, per fare della sua pietas la nostra frontiera, che tu la possa portare nel prossimo anno, che io te possa riconoscertela in questo: hai sbagliato, hai fallito, non hai avuto ragione, hai camminato nel buio, ma non hai mai perso la tua compassione; anche quando tutto era spento e continuavi a fuggire, come Pinocchio, ardeva sommessamente dentro di te della pietas il tuo piccolo incendio.
Ce lo auguro per il futuro, lo auguro ai cari lettori e alle care lettrici che compassionevolmente leggeranno questa pagine, sperando che ognuno abbiamo avuto per sé il coraggio, la forza e la compassione di scrivere la propria Eneide.
Io Incendio: Eneide di Antonello Costa
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