Nella penombra essenziale del castello, i due uomini si guardavano. Attendevano la certezza che nessuno potesse ascoltarli. I signori erano a dormire da un po’, le candele si stavano spegnendo. La notte era subentrata, e un ennesimo giorno di indifferente monotonia attendeva al di là della notte. Fu il giullare a spezzare il silenzio, ma fu appena un sussurro, un fiato di parole. Ma il loro significato risuonò possente:
“Ci dev’essere una via d’uscita da qui. Non possiamo proseguire in questa confusione.”
Una vena di preoccupazione macchiava la voce del giullare. “Mi stanno rubando tutto, il vino la terra. In nome di cosa?”
“Non ti devi agitare” gli rispose il ladro, confortevole. “Molti tra noi sanno che la vita non è uno scherzo. Noi siamo passati attraverso le prove più difficili, questo non può essere il nostro destino. Non possiamo restare invisibili, perchè il tempo vola.”
Quando il ladro pronunciò queste parole, lungo la torre dell’orologio, là in alto, i principi socchiusero gli occhi in uno sguardo profondo, mentre le donne operosamente muovevano le loro pedine. Fuori dalle stanze i servi a piedi nudi, concludevano le loro attività. Fuori, nel buio freddo della notte, un puma lanciò il suo grido selvaggio.
Due cavalieri, appena oltre la linea dell’orizzonte, lentamente, entrarono sullo sfondo della scena, necessari alla causa della libertà. Il vento sprezzante continuava a ululare la sua canzone.
Fuggite, fuggite dalla confusione,
come clown stanco,
come improvviso pianto ,
o ladro derubato.
Fuggite come congegno inevitabile,
lontano dal falso e dalla normalità,
prima, prima che sia troppo tardi.
Lasciatevi guardare dagli stranieri, uguali a noi.
Fatevi indicare la via da due uccelli lontani.
Infine, sparite nel mito.
Racconto e poesia di Alessio Barettini
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