Concorso docenti 2023: Cosa valuterete?

Eccolo! Finalmente è in arrivo! Dopo mesi di promesse e incertezze, a breve verrà bandito il Concorso Scuola Straordinario TER 2023, il “concorsone” atteso da centinaia di migliaia di aspiranti docenti e a cui anche molti di noi incendiari parteciperanno. Si tratta di una figura mitologia che a cadenze all’incirca triennali, allo stesso modo delle stelle comete che si mostrano la notte di San Lorenzo, torna ad illuminare di speranze la vita della categoria, rabbuiata dal precariato infinito e da un incessante aumento di titoli, crediti e abilitazioni necessarie, che non sembra più avere fine. Tuttavia, sulla terra non cadrà polvere, ma i fortunati che vedranno scendere su di sé il desiderio esaudito otterranno il tanto agognato ruolo, elegante corrispettivo scolastico del posto fisso.

Sono altre due, benché ad esso legate, le cause principali che ispirano questo editoriale: la piaga del ripiego e l’esperienza appena conclusa dal sottoscritto nel concorso per accedere al Corso di specializzazione per l’insegnamento di sostegno.

Il ruolo di insegnante, si sa, per alcuni è una passione, per altri l’ultima spiaggia per uno stipendio sicuro, da ottenere attraverso un lavoro che offre orari comodi e tante vacanze. In questi giorni ho incontrato persone dai percorsi formativi più disparati, con gli occhi spenti, pieni di menefreghismo e di disinteresse: per loro era un concorso come un altro, come quello per l’Agenzia delle entrate o quello per entrare in polizia. A loro basta lavorare, in un modo o nell’altro. La stessa scena, in versione estesa, accadrà durante il concorsone. Gente che vuole solo la tanto agognata stabilità e che dopo averla ottenuta smetterà di impegnarsi, gente che “sai, tre mesi di vacanza l’anno non sono male”, gente che non è riuscita nei percorsi accademici più alti e per frustrazione prova ai livelli inferiori. Lista infinita di disamorati e opportunisti. 
La riflessione del mai banale Umberto Galimberti è sempre più reale: schiere di demotivati, aridi e non appassionati, interessati allo stipendio, che inaridiranno per mancanza di passione generazioni di studenti per circa quarant’anni. Non c’è da stupirsi se gli adolescenti si rifugiano altrove, se passano sempre più tempo in un mondo parallelo che in quello reale: fuggono. La loro mente in fase di crescita cerca stimoli, ma come le piante, le cui radici deviano il percorso quando non trovano acqua, allo stesso modo i ragazzi provano a trovare nutrimento vitale in luoghi multimediali che possono personalizzare. Cadono anch’essi in una trappola, sì, perché quel mondo non è fatto a modo loro, ma non hanno alternative, se non tentare. Un insegnante senza passione, demotiverà almeno un migliaio di studenti nel corso di quarant’anni di carriera, come una cellula guasta permette l’espandersi rapido di un cancro nel corpo umano. Il destino comune delle due cose: marcire. Tuttavia, se si arriva a tanto, dipende anche dal metro con cui si assumono gli insegnanti, per certi versi inevitabile, data la quantità di posti da coprire e l’affluenza dei partecipanti.

Per passare all’esperienza concreta, le prove per accedere al TFA per il sostegno sono tre: una preselettiva a crocette, per scremare gli eccessi, un test scritto in cui pregare per le domande giuste e per una correzione più equa possibile, un orale che prende per i fondelli mesi e mesi di preparazione, svilendo l’impegno per liquidare le pratiche in pochissimi minuti, anche due o tre. Avete presente la trilogia Smetto quando voglio? Bene, la frustrazione di chi tenta sembra in linea con quella dei personaggi., i personaggi in cerca di ruolo, la versione moderna del teatro pirandelliano. Notoriamente i concorsi organizzati dalle università sono degli spettacoli circensi in cui il saltimbanco si prende gioco di te donandoti l’attenzione che un secondo dopo darà ad un altro bambino, senza avertela davvero concessa e senza nemmeno essersi regalato il piacere di ammirare la tua reazione. Qui il circo raddoppia l’inganno: indirizza la tua attenzione, come se entrambi vi steste focalizzando sullo stesso oggetto, ma mentre ignora l’attenzione che tu poni su di esso e l’oggetto stesso, verso cui non ha alcun interesse, ignora anche te, ti distrae, mentre compie la medesima azione con altri, ma se tu non comprendi il ruolo dell’oggetto accusa te di mancata attenzione. L’oggetto, alla fine, sarà solo lo spettacolo grottesco che ti mostrerà una volta rubati i tuoi soldi, se prima non ti ha accecato. 
Allo stesso modo, questo concorso pretende un’acquisizione di conoscenze pregresse che coincideranno con ciò che si apprende durante il corso, ma ti prende in giro pretendendo che vengano messe in campo competenze che gli stessi esaminatori non mostrano, che lo stesso sistema  rende noto non considerare davvero. Cosa si valuta in due minuti, se poi la stessa valutazione verte su ciò che sarà, per chi passa, materia d’insegnamento? Come si giudica in meno di cinque minuti la capacità comunicativa, l’empatia, la competenza di affrontare una questione complessa, tanto cara alla scuola di oggi? Come questi presunti insegnanti hanno dato una lezione di ascolto attivo, di partecipazione e di comprensione dell’altro?
Forse si è troppo esigenti, forse la mole di candidati è troppo grande per permettere tanta filosofia. O forse sarà vera una frase che da qualche settimana mi ronza nella testa, pronunciata proprio da un ragazzo conosciuto il primo giorno della prova scritta: «Leonà, ricordati, tu sei 3200€, io sono 3200€, lei è 3200€, lui pure e tutti quelli nella stanza. Non importa chi glieli dà, a loro interessano i 3200€. Non siamo che questo». Giovane, stolto, ho voluto sperare che non fosse così, ma ogni giorno quella frase ha continuato ad apparirmi come il  fantasma della verità che ho voluto solo ignorare. Oggi, ho capito che quel ragazzo ha ragione: tu non sei una persona appassionata, tu sei 3200€.

Sulla scorta di riflessioni meste, da giorni attendo l’uscita del bando (e da qualche giorno quella della graduatoria del TFA), so di avere punti di forza in determinate materie e so che dovrò studiarne altre: ho l’entusiasmo incosciente di chi sa che ha troppo poco materiale dalla sua parte, pochi titoli e nessun anno di servizio, poca esperienza, ma tanta abnegazione. Eppure, la frase del mio compagno e queste giornate hanno sporcato la mia innocenza, come la prima immagine di un corpo nudo visto alla televisione dà avvio ad un processo per cui la purezza infantile cede il passo alla sessualizzazione della carne. Da giorni, mentalmente, a nome di tutti i miei colleghi, immagino di essere su un podio, con un leggio e un microfono dal quale urlo a chi istituisce e bandisce concorsi, a chi valuta e a chi decide del destino individuale al di là delle azioni del singolo, limitate allo studio e al duro lavoro:

«Cosa valuterete in noi: la passione o la nozione?
Cosa valuterete in noi: l’emozione o la fredda restituzione di concetti manualistici?
Cosa valuterete in noi: la capacità di affrontare un problema concreto con gli strumenti realmente acquisiti o i titoli improbabili comprati in chissà quale paesino sperduto, attraverso metodi loschi e ben noti?
Cosa valuterete in noi: il desiderio di insegnare che tracima dagli occhi o le parole non sempre sincere che articolano le labbra?
Cosa valuterete in noi: la reale esperienza sul campo o qualche master telematico conseguito senza aver mai visto l’università?
Cosa valuterete in noi: le competenze dimostrate o la memoria?
Cosa valuterete in noi: se sappiamo perché Manzoni è ancora un nome di cui parliamo dopo duecento anni o se sappiamo quando è nato Manzoni?
Cosa valuterete in noi: il sogno utopico di cambiare il mondo o il desiderio dello stipendio?
Ancora, cosa valuterete in noi: l’onestà delle intenzioni o il famoso “ci provo perché è un posto come un altro”? 
Cosa valuterete in noi: la volontà di formare menti e cittadini migliori o la voglia di smettere di cercare e sedersi per quarant’anni?
Cosa valuterete in noi: la possibilità che avremo di appassionare, accattivare e rendere attivi e curiosi o la facoltà di annoiare, demotivare e inaridire?
Infine, cosa valuterete in noi: la guida che saremo o il posto che occuperemo?».

In ogni domanda, la prima opzione rappresenta sempre un valore che l’insegnante di oggi deve possedere, a detta degli stessi documenti, europei e nazionali, che ne aggiornano costantemente la figura: la passione, l’emozione, il problem solving, la motivazione, l’apprendere facendo esperienza attiva sul campo (il famoso “learning by doing” di John Dewey), l’acquisizione di competenze chiave per l’apprendimento permanente, la capacità di interpretare i fatti e il contesto, la spinta a migliorare l’ambiente in cui ci si trova, la determinazione, la conoscenza del proprio ruolo e la responsabilità, la trasmissione di passione, emozioni e competenze e quindi anche l’esemplarità, infine, la presa di coscienza del fatto che non serve la cattedra, ma serve impiegarla bene.
Tutti sappiamo bene che di questi aspetti, forse, due o tre saranno davvero presi in considerazione, per i più fortunati. Dalla recente esperienza, ho compreso che nulla di tutto ciò viene ricercato, che si deve essere sbrigativi da un lato e performanti dall’altro. La fiducia è riposta nella maggiore ampiezza della ricerca, nella speranza che valorizzi chi merita questo ruolo, non burocratico, ma di vita.

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