Ci siamo mai domandati come stia la letteratura, quale sia il suo stato di salute attuale e quale funzione potrebbe avere in un futuro prossimo? Che posto assegnare alla poesia al tavolo di una contemporaneità sempre più liquida e caotica?
Il poeta, assorbito nel turbinio della società di massa, ha perso la sua aureola, allegoria baudelairiana del prestigio riconosciuto alla letteratura: da “re dell’azzurro” ad “esule in terra fra le grida di scherno”, sbeffeggiato per la sua dedizione ad una disciplina inutile agli occhi di mere logiche economiche. Ad aiutarci a dipanare la matassa accorre il lucido sguardo di analisi del Professor Gianluigi Simonetti, profondo conoscitore di Montale, del Novecento poetico e narrativo, del mercato letterario. Tra i suoi numerosi saggi, La letteratura circostante rappresenta la bussola che stavamo cercando per comprendere i meccanismi del mercato librario. Il suo sguardo sociologico ha il merito – non sempre ravvisabile in altri autori – di analizzare senza pregiudizi i gusti del pubblico, domandandosi cosa spinga le persone a prediligere determinate opere che qualche letterato snob si rifiuta di definire letterarie. E così scopriamo una letteratura lontana dal canone tradizionale, multiforme e mutevole, figlia della contaminazione e della velocità che caratterizzano l’era digitale in cui siamo immersi. Analisi necessaria per abbandonare altezzose reclusioni nella torre eburnea della Letteratura, per calarci nel presente e cercare di comprendere le future generazioni di lettori. La condizione del mercato attuale non è poi tanto differente dal passato: come sempre, le opere “mediocri” continuano a scalare le classifiche di vendite e la logica del profitto ad ogni costo ha già conquistato il mondo librario; tuttavia c’è stato e ci sarà sempre un posto per la letteratura di qualità, per opere che sveglino dallo stato di torpore, che siano scomode, contraddittorie, anche provocatorie, che facciano arricchire di nuove prospettive. Non c’è pericolo: la coscienza critica del lettore continuerà ad essere alimentata dalla fiamma sempiterna della letteratura.
Professor Simonetti, qual è lo stato di salute della letteratura contemporanea – la “letteratura circostante”, titolo del saggio, da lei definita nell’Introduzione come “delle scritture che ci stanno attorno e di quelle che vediamo affiorare all’orizzonte, cercando negli scaffali delle librerie e non solo in quelli delle biblioteche” (p.9)?
Non saprei dare un parere netto, un po’ perché non sono un medico, un po’ perché dipende dai punti di vista: c’è molta vitalità e molta confusione, come in tutti i periodi di transizione – e a me pare che siamo in uno di questi periodi, perché quello che ci stiamo abituando a chiedere alla letteratura sta cambiando da qualche anno a questa parte. Direi che continuano a essere scritti, con la parsimonia di sempre, libri belli o bellissimi, circondati, come sempre, da libri mediocri o brutti. La novità è forse che la bruttezza, e soprattutto la mediocrità, sono rispetto al passato più visibili socialmente, più per così dire al centro dell’attenzione. La bellezza fa poco ‘dibattito’, sembra essere diventata un prodotto di nicchia, non solo nel senso che i capolavori sono letti da poche persone (spesso è stato così anche in passato), ma nel senso che sono in pochi, e sempre meno, a riconoscerli, a discuterli, a farne materia di cultura comune. Il risultato di questa distrazione collettiva è che l’attenzione è spesso monopolizzata da non-scrittori, che scrivono libri fatti per comunicare, per ‘arrivare’ come si dice, ma che proprio per questo tendono a un certo conformismo; sono costruiti per funzionare immediatamente e per avere un consenso facile e largo, non sono fatti per essere riletti e meditati. La cosiddetta industria culturale promuove soprattutto questo tipo di letteratura, e molti nuovi letterati mi sembrano felici di contribuire.
Il suo sguardo di analisi tiene profondamente conto del mercato, dello stato di accoglienza del pubblico nei riguardi delle opere. È uno sguardo sociologico, moderno. Non si chiude in un’altezzosa analisi di autori affini a gusti personali e ad un canone estetico, ma fa parlare i titoli che vendono maggiormente; implica un “tener conto della mediocrità e della bruttezza” (p.10). Anche il grande critico letterario e vociano Renato Serra in Le lettere analizza la letteratura a lui circostante: le opere che circolavano nel 1913. Dei sei capitoli di cui è composto il saggio, Serra dedica il primo capitolo al mercato, distinguendo il reale stato delle cose – definito come “i particolari” – dalle “apparenze”, il fittizio miglioramento della letteratura agli occhi dell’opinione pubblica. Apparentemente lo stato della letteratura sembra ottimale, grazie alla scolarizzazione, ad una migliore conoscenza della lingua italiana, all’accesso in massa al mondo delle lettere, del giornalismo, dell’insegnamento. Indicatori di un tale miglioramento sono i lettori, le liste dei titoli più venduti, le vetrine delle librerie inondate di libri: “un diluvio di carta stampata”. Tuttavia, è un miglioramento sterile, di forma. Manca la passione, il contenuto ideologico, la creatività. Manca il riferimento ai maestri della tradizione, sostituiti da una rincorsa frenetica del fantasma dell’originalità. Anche il mercato attuale, alla stregua di quello del 1913, sembra premiare opere facilmente accessibili, di “bella letteratura”, non “di cultura”, quelle che lei definisce come “letteratura Ikea, dal design democratico, che ci arreda la vita con la minima spesa e col minimo sforzo” (p. 293)? I meccanismi del mercato sono sempre gli stessi?
In parte sì, esiste da sempre una letteratura di consumo, anche molto consapevole di sé stessa, che punta a intrattenere e basta, e giustamente usa mezzi congrui a questo scopo. In parte invece no; ci sono delle novità proprio alla confluenza tra arte di consumo e arte impegnata, tra letteratura di massa e pretese artistiche. In quella dimensione mediana, e mediocre, che io chiamo ‘nobile intrattenimento’: letteratura che punta a compiacere il lettore ma ha una infarinatura di complessità, una cipria di raffinatezza formale. Che sembra altro design, ma ha poca qualità nei materiali, e un po’ tira a fregare: come i mobili Ikea, appunto. Questo tipo di letteratura tende a prendere oggi il centro della scena, a fare ‘dibattito’, come se fosse grande letteratura.
Oggi viviamo in un mondo sempre più connesso, veloce, dove tutto sembra facilmente raggiungibile – anche diventare degli scrittori di successo, alla moda. La partecipazione è fortemente implementata dai social network; l’individuo è sempre più assorbito dall’io virtuale, dall’apparire, dal piacere agli altri. Secondo lei anche oggi (come al tempo di Serra) viviamo nella frenetica epoca della volontà di prendere parola, di apparire e palesarsi, di essere originali, di costruire grattacieli mai visti prima privi delle fondamenta e del riferimento ai maestri del passato? Siamo orfani della tradizione o vogliamo noi stessi sbarazzarcene, rincorrendo l’illusione di un nuovo privo di radici? Quanto contano gli autori del passato e della tradizione?
Contano meno, soprattutto per gli scrittori anagraficamente più giovani, diciamo sotto i quaranta. Contano meno in generale i modelli letterari (surrogati in tutto o in parte da modelli televisivi, cinematografici, videoludici, eccetera); poi contano meno i modelli letterari nazionali, la letteratura si sta globalizzando come qualsiasi altra cosa, quindi si leggono (o vedono) soprattutto opere tradotte. Il che influisce negativamente sulla lingua letteraria, ma essa stessa conta meno – conta meno come ci si esprime e sempre più cosa si dice. Infine, conta meno il passato (e forse anche il futuro): tendiamo a schiacciare la nostra vita sul presente, andare indietro costa fatica e fa perdere tempo (perché richiede di decifrare linguaggi e culture in parte ignote), forse non serve (perché ci illudiamo che tutto sia scaricabile in un secondo), forse non basta, o forse non ce lo meritiamo più.
Quella attuale è una letteratura che non riesce più a contare solo sulle proprie forze ma, sempre più assediata dagli altri media, è costretta a far propri i mezzi della concorrenza, ad appoggiarsi al linguaggio sempre più veloce e seducente del cinema, della pubblicità, alla presenza mediatica dello scrittore piuttosto che alle qualità intrinseche dell’opera. La letteratura ha perso l’aureola ed è costretta ad apparire nell’agone mediatico, ad uscire dal suo stato di separatezza e talvolta di superiorità. A calarsi tra il pubblico e a dipendere sempre più dai suoi gusti e dallo scarso tempo che viene ad essa dedicato. È possibile usufruire di questo nuovo stato di accessibilità e visibilità sottraendosi alla letteratura di consumo e riappropriandosi della funzione conoscitiva – la “letteratura in senso forte”? Il distratto e interconnesso lettore d’oggi può ancora essere conquistato da un buon libro che gli faccia comprendere meglio la realtà, lo metta in discussione, lo faccia sentire un individuo che possa essere arricchito dal dubbio?
Sì. Ma è più difficile che avvenga, perché la comunicazione culturale, appaltata all’intrattenimento, preferisce parlare di opere che non creino troppi problemi al lettore, che non lo affatichino troppo, che non gli facciano troppo male.
Quali libri consiglia al lettore dell’oggi ed a quello del futuro che lo possano riagganciare ad una letteratura in senso forte? Come far avvicinare la generazione Zero sempre più nutrita di social network, di un punto di vista orizzontale, di volontà di apparire superficialmente perfetti e di rifugiarsi in una dimensione virtuale ad un’analisi verticale che scavi e metta in dubbio il lettore per farlo crescere? Qual è il suo ideale di letteratura?
Mi piace la letteratura che fa divertire e insieme fa scoprire cose che non si sanno già, o che comunque non si dicono in altri ambiti e in altri modi; mi piace la letteratura che ha un atteggiamento un po’ combattivo verso il mondo, cioè verso i discorsi delle scienze sociali (la filosofia, la storia, la sociologia…) e della cronaca (il giornalismo, il costume…). E poi mi piace la letteratura che contiene molte cose al suo interno, che si lascia ‘parlare’ da lingue diverse (la lingua del presente, quella del passato, quella della ragione, quella dell’inconscio…). Per questo mi piacciono i libri di Walter Siti, Domenico Starnone, Emanuele Trevi e Michele Mari; mi piacciono le poesie di Patrizia Cavalli, Milo De Angelis, Antonella Anedda e Patrizia Valduga. Cito solo autori vivi e attivi, e solo i primissimi che mi vengono in mente, a titolo di esempio. Ce ne sono molti altri, per fortuna.
Eleonora Bufoli