Recensione a Adorazione di Alice Urciuolo, Editore 66thand2nd, 2020
“Non riusciva a trovare una spiegazione al fatto che tutti gli altri fossero guariti mentre lei continuava a sentirsi rotta.”
Vanessa si sente “rotta” e non capisce perché le persone che le sono accanto sembrano essere già “guarite” da quell’immenso dolore che per lei sembra non avere fine. Si sente tanto in colpa, perché crede di non aver salvato la sua migliore amica da quel rapporto malato, che le toglieva la libertà, la felicità e che alla fine le aveva tolto la vita.
Vanessa è una bellissima diciottenne che vive a Pontinia, è fidanzata da anni con Gianmarco e la sua migliore amica era Elena: lo era perché Elena è stata uccisa a sangue freddo dal fidanzato Enrico.
L’omicidio della sedicenne è il filo conduttore di molte storie nel romanzo di Alice Urciuolo, candidato al premio Strega 2021.
Il romanzo è ambientato d’estate, a Pontinia, una piccola cittadina di provincia, quasi un anno dopo essersi consumato quel dramma che ha lacerato molti cuori.
Ciò che l’autrice fin da subito mette in evidenza è come diverso sia il modo in cui gli adulti della sua storia esorcizzano il dolore: restano nel silenzio più totale, scelgono di non parlare di quella morte ingiusta ai loro figli, lasciandoli soli ad affrontare una sofferenza che alla loro età non dovrebbero conoscere.
L’autrice non rivela fin da subito cosa fosse accaduto ad Elena, ma pagina dopo pagina si riescono a raccogliere piccoli pezzi di un puzzle che si ricompone soltanto a poche pagine dalla fine.
Per la prima volta, però, si parla di ciò che accade dopo una tragedia simile, di ciò che una perdita lascia nell’animo non della famiglia, ma in chi conosceva la vittima più di tutti, chi conosceva i suoi segreti e i suoi timori: gli amici.
Vanessa più di tutti soffre per la sua assenza, ma soffre ancor di più perché nessuno sembra riuscire a capirla: c’è chi la guarda sempre con un po’ di pena e chi invece le parla come se quella non fosse una ferita ancora aperta.
Ho amato il suo personaggio soltanto alla fine, quando finalmente sono riuscita a vederla in modo più chiaro: la giovane, infatti, rispetto agli altri protagonisti, non subisce un’involuzione, bensì un’evoluzione; riesce a liberarsi da quella “gabbia dorata”, come lei stessa la chiama, che la soffoca, la fa sentire sola pur essendo circondata da persone. Per poterne uscire sarà costretta ad affrontare la paura di non aver più un porto sicuro in cui approdare; sarà costretta ad affrontare i pregiudizi di una società adulta ancora molto retrograda; sarà costretta ad affrontare il dolore che causerà alle persone a lei vicine; sarà costretta ad affrontare i suoi fantasmi e a riconoscere quali sono i suoi veri desideri, ma alla fine riuscirà ad essere serena e felice.
Vanessa è solo uno dei personaggi di questo romanzo corale: c’è anche Vera, sua cugina, sedicenne sicura di sé, impavida, forte, ma che soffrirà a causa di chi approfitterà della sua fragilità nascosta; poi c’è Giorgio, suo fratello, che cerca in tutti i modi di esserle da “padre”, ma la sua giovane età alla fine lo tradirà.
Poi c’è Diana, figlia di Massimo e Diletta, proprietari del ristorante “Le Rocce” a Sabaudia, ha anche lei sedici anni ed è la migliore amica di Vera.
Ha già le idee chiare sul suo futuro (da grande vuole essere un neurologo), ma ha poca fiducia in se stessa per “colpa” di una grossa voglia che ha sulla gamba: infatti, la nasconde agli occhi di tutti e anche ai suoi occhi.
Inizialmente ho empatizzato molto con questo personaggio che, nel corso della storia avrà una sorta di “epifania”: l’inizio di un lungo processo di cambiamento che la porterà ad amare il suo corpo, a mostrare con sicurezza quel tratto che la rende unica.
Questo radicale mutamento, sorprendente anche per i suoi genitori, le farà molto bene, salvo poi, però, imprigionarla in una forma che non le si addice: inizierà ad abusare del potere che il suo fascino esercita sugli uomini e ciò la farà allontanare dai suoi affetti e da se stessa.
Si tratta comunque di un romanzo avvincente, piacevole e che attira a sé in maniera magnetica: è facile trovarsi in poco tempo alle ultime pagine.
La Urciuolo spazia molto nel suo racconto, affrontando vari temi come la sessualità, il rapporto conflittuale genitori-figli, la fiducia in se stessi.
In certi casi, però, sembra trattare con superficialità alcune tematiche che, ai suoi giovani lettori, andrebbero spiegate: gli adolescenti devono intendere i libri come un rifugio in cui trovare risposte a quelle domande a cui molti genitori non hanno il coraggio di rispondere.
A parer mio, era doveroso dare maggiore importanza al tema della violenza sessuale: l’autrice descrive quanto accaduto ai suoi personaggi, lascia intendere che sappiano di cosa si tratti, ma non lo identifica in maniera esplicita come tale.
Ciò si ripete con l’omicidio di Elena: non lo definisce come un femminicidio e di fatto, si comporta come gli adulti della sua storia, chiusi nel loro silenzio.
Nonostante ciò, in generale la Urciuolo parla ai suoi lettori con un linguaggio estremamente schietto e particolareggiato (forse anche troppo), mettendo nero su bianco i pensieri dei personaggi.
I luoghi in cui tutta la storia accade sono descritti con tanta cura e minuzia e facilmente si creano nella mente i contorni di tutti i paesaggi: si riesce a sentire la calura estiva di Pontinia, il rumore del mare che si abbatte sulla spiaggia di Sabaudia, il caos del traffico di Roma.
È di certo un romanzo che ti turba, ti sorprende, ti delude, ti fa sorridere, ma forse anche per questo non è da consigliare a quei giovani appena entrati nella turbolenta età dell’adolescenza: il rischio di crear loro ancora più confusione, è davvero alto.
https://lincendiario.com/tag/recensioni-premio-strega-2021/ di Irene Mallozzi