Anche le fabbriche dei sogni chiudono battenti e passano all’online. La Disney, da quasi un secolo regno dell’immaginazione per intere generazioni, ha deciso di chiudere i quindici punti vendita sparsi sul territorio italiano, per abbracciare la comoda e smart – è davvero così intelligente rifugiarsi nell’anonimo rapporto telematico? – strategia dell’e-commerce.
Oltre all’incubo in cui sono improvvisamente sprofondati gli oltre duecento dipendenti, l’incantesimo svanisce anche per i tanti appassionati, bambini e non solo: per tutti coloro che non appena si imbattono in un Disney store, assumono un’espressione trasognata e fissano imbambolati l’esercito di personaggi che sfila sugli scaffali a suon di intramontabili colonne sonore.
Sì, forse questi sono gli ultimi baluardi dei sogni, delle piccole isole felici nel bel mezzo di asettici centri commerciali o strade caotiche. Una volta varcato l’ingresso ecco un tripudio di colore, lo strombettante universo ottimista che inneggia all’american dream. Tutto, dai personaggi Disney che rivivono in maniera sempre più realistica sotto forma di peluche, ai gadget dalle forme strampalate, a improbabili indumenti talmente invitanti da irretire qualche madre estrosa e suggerirle la malsana idea di trasformare il suo inconsapevole figlioletto in principessina o animaletto, insomma proprio ogni angolo sembra urlare a gran voce il motto indebitamente affidato a Walt Disney se puoi sognarlo puoi farlo. Il papà di Topolino – e del bambino interiore che è in ognuno di noi – non ha pronunciato queste parole, figlie dell’ottimismo luccicante degli anni Ottanta, eppure ben esprimono la fame di vita che emerge in ogni self made man, nell’epica lotta di chi riesce a scalare, partendo da zero, la vetta dei ceti sociali e a realizzare il fantomatico sogno nel cassetto. Insomma, i sorrisi accentuati fino all’esagerazione che pervadono ogni angolo degli store, specchio delle morali edificanti dei cartoni animati, convincono ad imitarli, a fare come loro: mettiti su la maschera del sorriso – put on an happy face recitava Joker prima di vendicare l’ipocrita società che tra un sorriso e l’altro lo aveva messo ai margini – pensa positivo e il sogno realtà diventerà.
Certo l’aria rarefatta che si respira quando si entra nell’atmosfera senza tempo della fiaba – o quando siamo vittime di un incantesimo, a voi la scelta – porta a semplificazioni imbarazzanti, a livellare la realtà, a smussarne completamente gli angoli fino a renderla accettabile, buona e inoffensiva. La propensione alla felicità ad ogni costo – tratto tipicamente statunitense, tanto da entrare di diritto nella Costituzione – è l’altra faccia del capitalismo sfrenato, dell’implementare la spirale dell’acquisto di beni superflui che ci appaiono – come di incanto – assolutamente necessari, questione di vita o di morte che può veramente migliorare l’esistenza. Ma entrare negli store, o anche solo intercettare queste macchie di colori e di felicità ad ogni costo durante l’ennesima passeggiata di routine, rappresenta comunque un post-it in ricordo del fanciullino che è in noi, un invito a tornare a stupirci, a fantasticare, a riabbracciare l’ingenuità dei bambini. A ridimensionare le cose, ad accrescere le piccole, a sgonfiare la presunzione delle grandi.
Certo il bambino del futuro potrà comunque avere finalmente il peluche del suo personaggio preferito, basterà cliccare un freddo tasto del pc. E forse l’adolescente del futuro che camminando per strada non si imbatterà più in questi colorati ed eccentrici post-it dell’immaginazione, continuerà la sua regolare esistenza ma non potrà accendere all’improvviso la scintilla atavica che è in lui, l’entusiasmo, la macchia di colore imprevista.
Forse ci mancherà il piacere dell’inaspettato, del risvegliare la parte sepolta che è in noi, del creare degli improvvisi cortocircuiti alla maniera del poetare pascoliano che, facendo appello al fanciullino interiore, cerca di non fermarsi al lato logico, ovvio, matematico della realtà, ma scava fino a far riemergere strati sepolti, analogie inedite, corrispondenze, creare piccoli cortocircuiti tra cose apparentemente lontane, solleticare la fantasia e attingere ad una conoscenza più profonda della realtà e di noi stessi.
Abbiamo ancora bisogno di questi cortocircuiti inaspettati, di non accontentarci del lato apparente, giocare con le parole, con le immagini, creare mondi di carta per trasfigurare una realtà che da sola non ci basta più. E questo è anche il compito della letteratura, della poesia, del coltivare l’inutile, il bello, il disinteressato, ciò che al primo stadio della realtà non serve a nulla, non sfrutta, non consuma, non produce, ma moltiplica, sdoppia, scava, crea cortocircuiti scoppiettanti, imprevisti, fa vivere mille vite parallele, viaggiare, pur restando fermi. Fuga dalla realtà? Talvolta si, ma per imparare ad apprezzarla meglio.
Per continuare a sollecitare (e solleticare) il fanciullino che è in noi, questa settimana il nostro Lorenzo Buonarosa ci presenterà la lettura di un mostro sacro della letteratura russa e mondiale: Gogol. Partendo da un’analisi di Le anime morte, il nostro ci porterà nella Russia dei piccoli borghesotti che vivono di espedienti e di quei trasparenti servi della gleba che, per troppo tempo invisibili agli occhi della società, hanno rappresentato la drammatica colonna portante della società russa del passato e i cui spettri continuano ad aggirarsi tra i tanti invisibili di una società sempre più ipocrita..
E l’unica battuta di caccia che pratichiamo, quella allo Strega, continuerà con la nostra Collins, questa volta costretta ad abbandonare i suoi prediletti crateri lunari per la costa romana. Ci porterà nella dolce ed ironica patina malinconica di L’anno che a Roma fu due volte Natale di Roberto Venturini. Da onnivora lettrice di libri e di personaggi, scenderà nei meandri del rapporto unico che lega una madre ad un figlio e svelerà la complicità preziosa tipica di quelle coppie vere, inossidabili, sulla scia dell’eterno ed iconico amore-odio che milioni di spettatori hanno spiato in casa Vianello e chissà che non ci innamoreremo di questa nuova coppia di carta.
Eleonora Bufoli per la redazione de L’Incendiario