Era il 1842 quando Nikolaj Vasil’evič Gogol’ pubblicava la prima parte delle Anime Morte, uno dei romanzi più importanti del XIX secolo e della letteratura mondiale. Apparentemente il testo si presenta come la biografia comico-grottesca di Pavel Ivanovic Cicikov, un uomo della piccola borghesia russa. Un omuncolo che vive di espedienti per cercare di raggiungere la ricchezza, la sistemazione e una vecchiaia beata. Il centro del romanzo è l’avventura di Cicikov in giro per la ‘Rus accompagnato dal servo Petruska e dal cocchiere Selifan. Il viaggio ha l’obiettivo di reclutare anime morte, cioè servi della gleba morti che rimanevano sul groppone dei proprietari fino al censimento annuale successivo. Tutto ciò per vedersi assegnate delle terre dopo aver radunato un numero cospicuo di anime. Ma questo romanzo non è semplicemente quel che appare.
Per spiegarlo dobbiamo partire dall’inizio e ricostruire brevemente la storia del testo. Da tempo Gogol’ lavorava ad un’opera che potesse descrivere la galassia della Rus’. Rus’ che non va confusa con la Russia in generale, non ha nulla a che fare. La Rus’ è nello specifico la regione che va, su per giù, dal Mar Caspio fino alla costa nord del Mar Baltico, includendo al suo interno Kiev e spingendosi quasi fino al territorio moscovita ad Est. Un territorio vastissimo che il nostro autore conosce bene visto che è nato a Kiev, è un ucraino, tanto che non parla neanche molto bene il russo, lo imparerà più avanti, ma rimarrà per lui sempre e solo una lingua letteraria. Di rado usata in pubblico. La Rus’ poi è un territorio con poche città grandi, e soprattutto è un territorio fertile e agricolo, abitato in prevalenza da proprietari terrieri, come gli stessi genitori dell’autore. Da considerare, inoltre, che in tempi precedenti alla grande riforma di Pietro il Grande, la Rus’ era il centro culturale del paese, dove la saggezza popolare ha potuto proliferare per dare humus alla futura letteratura russa. Potremmo dire, quindi, che la Rus’ è il paradigma dell’intera Russia, il centro focale dove stringere per capire gli umori del popolo.
Ma che comunità ci si presenta davanti? Come sono questi proprietari terrieri? Quali sono le loro inclinazioni, aspirazioni e volontà? Gogol’ le descrive molto bene nella prima parte delle Anime Morte, l’unica completa pubblicata, come già detto all’inizio, nel 1842. La seconda parte è frammentata e incompleta, dato che la versione definitiva sarà bruciata dallo stesso autore nel ‘52, in preda ad una crisi religiosa.
La comunità della città di N. è un insieme di medi proprietari terrieri, affaristi provincialotti ma all’apparenza di buon cuore. Una serie di perfettissimi idioti che vengono immediatamente stregati dalla retorica, educazione e savoir-faire di Cicikov. Nel giro di una settimana il nostro affarista è in grado di farsi invitare a qualsiasi festa, che per giunta lui odia essendo un concentrato di ipocrisia in cui gli uomini fanno a gara tra di loro per essere i più informati e intelligenti; e le donne delle simpatiche civette che ostentano i nuovi gioielli e le mode appena “sbarcate dalla capitale”. In una di queste feste Cicikov conosce i proprietari terrieri Manilov e Sobakevic. E il giorno successivo decide di andare a trovarli: la prima conversazione svolta con Manilov, da cui riuscirà a strappare un buon numero di anime, è esilarante: adulazioni, ossequi, strette di mano calorose, presentazioni in pompa magna, insomma, il trionfo dell’ipocrisia. Successivamente si incammina insieme ai suoi galoppini Selifan e Petruska sulla via che porta alla fattoria di Sobakevic quando, fermatosi ad un’osteria, si imbatte in Nozdrev. Quest’ultimo è uno sboccato e inconcludente proprietario terriero che entrato nell’osteria invita Cicikov a casa sua e una volta sedutisi a tavola lo punzecchia alterato dal vino. Cicikov all’inizio crede di potergli estorcere delle anime ma Nozdrev è furbo, volgare ma furbo, e non si fa ingannare. Sfida Cicikov ad una partita di dama, bara e caccia via Cicikov da casa sua. Dopo essere andato da Sobakevic, che approfondiremo più avanti, Cicikov arriva al villaggio di Pljuškin un avaro proprietario terriero che vive nella sua bettola attorniato da contadini svogliati e nullafacenti.
Il quadro della città di N. è completo, l’ultimo scorcio che possiamo dipingere è la partenza di Cicikov dovuta a dei pettegolezzi messi in giro dagli abitanti della città. L’autore gioca tutta la prima parte sullo smascheramento del vizio: delle persone apparentemente gentili, accoglienti e benestanti che sotto sotto, non conoscono nient’altro che il loro materialismo, reiterando degli schemi ancora e ancora con qualsiasi persona gli si presenti davanti.
Un altro aspetto molto interessante del romanzo è la posizione del narratore. Esso infatti è sì onnisciente, quindi conosce la storia stessa e ce la dipana davanti agli occhi, ma il narratore si avvicina di molto alle posizioni dell’autore:
“Perché mettere in mostra la povertà della nostra vita? […]Ma che volete farci: questa è la vocazione dell’autore, ormai malato della propria imperfezione, il suo talento è fatto apposta per rappresentare la povertà della nostra vita, scovando la gente in buchi sperduti, in angoletti remoti dell’impero”
Ingressi preponderanti come questo, se ne trovano decine di volte all’interno del testo e molto spesso quando il narratore-autore vuole chiarire, come fatto qui in alto, un aspetto della narrazione. I due però non coincidono perfettamente: infatti, è come se il narratore stesso fosse un alter-ego di Gogol’ che lo guarda da dietro, o da dentro se vogliamo, ed è in grado di conoscere i suoi pensieri e la storia stessa. Ma, appunto, gioca con esso, lo inganna, lo altera o lo compiace.
Ragionando sempre sulla forma possiamo inoltre considerare che l’opera in questione non viene mai classificata come romanzo bensì come poema. Quindi come un racconto poesia che narra le vicende di un eroe. Infatti, Cicikov molto spesso è chiamato eroe. Forse perché alla fine, nei tempi moderni della scrittura di Gogol’, un personaggio come quello di Cicikov che va in giro per l’impero ad acquistare anime morte per vedersi assegnata la terra, non è poi così male rispetto all’ipocrisia, alla crudeltà e all’avarizia della gente che incontra. Il nostro eroe (espressione abbondante) alla fine è meno peggio rispetto agli altri: vuole solo un piccolo podere, una donna, qualche contadino e morire in pace.
Rilevante è anche la divisione in tre parti del poema che possiamo ricondurre al cammino di redenzione dantesco verso il paradiso. Cicikov nella prima parte è sostanzialmente un peccatore che non vede e non capisce la bontà dell’uomo, ma assorbe solamente i suoi vizi, pur animandosi nella conoscenza di Sobakevic. Nella seconda parte il personaggio viene arrestato ma ha conosciuto qualcuno che può dargli un modello da seguire: il possidente Kostanzoglo . La terza parte probabilmente avrebbe dovuto narrare la definitiva redenzione del personaggio ma purtroppo il romanzo non è stato mai completato. Molti critici motivano ciò con l’incapacità di Gogol’ di osservare e raccontare delle storie di personaggi virtuosi e positivi, come espresso da lui stesso nella citazione precedente.
Ma questa considerazione appare debole proprio perché nel testo ci sono dei personaggi che vengono “salvati”: stiamo parlando del possidente Sobakevic nella prima parte del romanzo e come già detto il proprietario terriero Kostanzoglo. Il primo è un omone grande e grosso e molto intelligente poiché è l’unico, che pur acconsentendo alla richiesta di Cicikov di vendergli le anime, richiede un prezzo per i contadini. Ben due rubli e mezzo, una cifra considerevole per delle persone inoperative, in più alla richiesta del nostro eroe sul perché Sobakevic volesse dei soldi per delle persone su cui paga le tasse, quest’ultimo risponde “perché se le vuoi vuol dire che ci farai pur qualcosa”. Parafrasando: “ne otterrai un profitto”. Cicikov lo definisce un kulak: un contadino arricchito e avaro, quando in realtà è esattamente il contrario. È testimone di ciò la stesura dell’elenco dei contadini fatta da Sobakevic: una lunga lista dettagliata con nome, cognome, età, stato civile e qualità di ognuno, a cui il proprietario accompagna un’esclamazione di approvazione commentandone la dipartita dal mondo terreno. Tant’è che Cicikov mentre lo guarda da dietro durante l’operazione (e non trascuriamo la posizione emblematica dell’eroe nei confronti del “salvato”) pensa:
“se costui assaggiasse appena i rudimenti di una scienza qualsiasi, poi, occupando un posto più importante darebbe lezione a tutti coloro che quella scienza la conoscono per davvero. Poi magari direbbe anche: ‘aspetta un po’ che faccio vedere quello che valgo!’ sì, inventerebbe una disposizione così saggia che a molti costerebbe cara.”
Molto spesso questo personaggio è giudicato dalla critica come negativo proprio perché accetta dei soldi, lucrando sulla morte dei suoi contadini. Ma a mio avviso, la precisione e la cura con cui stila l’elenco di cui si parlava poc’anzi ribalta l’opinione superficiale che potremmo cogliere del personaggio. La cura stessa è evidenziata dallo stesso narratore-autore e quindi di primaria importanza.
L’altro personaggio da approfondire è Kostanzoglo. Costui è un proprietario terriero che amministra numerosi campi coltivati, boschi, e un villaggio. La descrizione che il nostro narratore-autore ne fa è strabiliante: parliamo di campi tenuti in perfetto ordine che vengono controllati da lui stesso. I boschi “magistralmente recintati”, sono ordinati e servono per dare nutrimento e legna per il villaggio. Quest’ultimo ha delle strade battute e delle izbe (case rurali russe) tenute con cura. Gli animali sono in salute. L’armonia regna nel villaggio e uno degli artefici è questo personaggio che è sempre presente, lavora fianco a fianco con i contadini e cura i loro interessi. Con la conoscenza di Kostanzoglo, Cicikov sembra perdere le sue convinzioni e il suo piano man mano si sgretola. Non ha il coraggio di chiedergli anime morte e decide di lasciar perdere i suoi intenti, vuole comprare immediatamente la proprietà dissestata di un nobile decaduto e iniziare a coltivare la terra, seguendo il modello di Kostanzoglo. Capisce che cercare di diventare ricco attraverso l’inganno, come ha sempre fatto in vita sua, non ha nessun senso poiché esistono delle persone che ce la fanno solo grazie alle loro qualità. Kostanzoglo è il punto di svolta del romanzo, da questo momento inizia la redenzione di Cicikov, che probabilmente si sarebbe sviluppata nella terza parte. È un personaggio positivo una specie di deus ex machina sceso non si sa da dove per risolvere la situazione di Cicikov pur non agendo direttamente sul, e con, il personaggio.
Un’altra domanda a cui dobbiamo trovare una risposta è: perché le chiama Anime Morte? Possiamo formulare due ipotesi: la prima riguarda la crudeltà dell’atto che compie Cicikov, questo lo porta a ingentilire, nella proposta che fa ai proprietari, la definizione di “contadino morto”, ed è l’ipotesi più chiara e semplice: sarebbe inopportuno per Cicikov esclamare “vorrei comprare i tuoi contadini morti!”. La seconda ipotesi invece è più profonda ma, a mio parere, per la descrizione fatta in precedenza di autore e contesto, ugualmente valida: per anime morte si identificano i morti innocenti. Quei morti che hanno un’anima, che sono morti nell’ignoranza, ma allo stesso tempo nella purezza d’animo, non avendo nulla a che condividere con i loro padroni, ipocriti e legati sostanzialmente al profitto. Hanno quindi un’anima, non cinica, non avara di denaro come di sentimenti. Forse sono i soli che pur non essendo al centro del poema, per descrizioni fatte o digressioni che dir si voglia, implicitamente vi rientrano. In un certo qual modo possiamo paragonarli a dei bambini, come ci suggerisce lo stesso autore: essi sono infatti produttivi e laboriosi con un padrone che li tratta bene, li segue e li incoraggia, ma al contrario, sono inefficienti, svogliati e maleducati con quei padroni che se ne fregano di loro.
Per concludere possiamo tirare le fila analizzando le aspettative dell’autore su un’opera del genere. Le Anime Morte sono la punta di una produzione di spessore elevatissimo in cui c’è una continua ricerca sullo smascheramento. Secondo Gogol’ l’essere umano, a parte pochi e illustri esempi, è un essere contro-sociale, cioè un’entità sì partecipe nella comunità ma che gli va inconsciamente contro; agisce in modo contrario a quello che la società dovrebbe essere: condivisione, alleanza, spirito comunitario d’iniziativa. L’uomo gogoliano è un essere che pensa per sé nel gruppo e si lega al gruppo ponendo sé stesso davanti al resto. È da questo concetto che vengono generati personaggi come quelli della città di N. esseri vili e manipolatori.
Nel suo poema Gogol ha dato una lezione di letteratura, farci conoscere i vizi del mondo.