Le rivoluzioni di ieri e di oggi, le grandi trasformazioni, le piccole rivendicazioni, gli sconvolgimenti drastici e rumorosi, quelli lentie sotterranei, gli ufficiali e quelli ancora da riconoscere, lo straordinario tradito e quello mancato, tutti nascono da un taglio, si riproducono su di un modello latente o manifesto e fanno parte della grande famiglia poligrafica della rivoluzione.
La rivoluzione è un cambiamento traumatico perché radicale e frutto di un conflitto, una trasformazione irreversibile perché profonda e sviscerante, un capovolgimento “carnevalesco” degli schemi cognitivi e dei quadri concettuali di una società, dei rapporti fra autorità e potere che la comunità vive e incorpora.
La rivoluzione è un evento, la cui teatralità scaturisce da forze endogene ed esogene dell’organizzazione sociale di un individuo, nel suo essere animale politico e poetico (dal senso etimologico teorizzato da Aristotele alla sua presenza scrittoria nel panorama letterario). La scena rivoluzionaria, nelle sue diverse manifestazioni pre e post-moderne, è sempre identificata con caratteristiche endemiche proprie, portate in superficie da chi ha pensato e scritto la rivoluzione, come quella degli anni ’70, la frastornante svolta epistemologica che rimbomba ancora oggi, ancora attuale e forse ancora in divenire, grazie ai fautori di opere e scritti anch’essi di carattere rivoluzionario. Gli anni ’70 sono gli anni in cui donne e uomini con un dialogo collettivo messo in atto attraverso dei movimenti organizzati, il movimento femminista delle donne e il movimento operaio dei lavoratori, sono riusciti a prendere coscienza e parola. Hanno avuto la forza critica di muovere un confronto e un affronto contro due modus vivendi sentiti come insopportabili e insostenibili: il patriarcato e il capitalismo.
Tra gli altri, a pensare e scrivere la rivoluzione sono Nanni Balestrini, intellettuale promotore di avanguardia che ha coadiuvato politica e letteratura, sensibile agli accadimenti del 1968, e Carla Lonzi, critica d’arte e penna del manifesto di rivolta femminile del 1970.
Vogliamo tutto (1971) di Balestrini è la tormentata presa di coscienza di un giovane sottoccupato del sud sullo sfondo delle lotte operaie, un poema epico di quanto accade in quegli anni piuttosto che un romanzo.
Il protagonista, di famiglia contadina, inizialmente indeciso su come pilotare il suo futuro scolastico e lavorativo, diventa svogliatamente operaio. Il suo apprendistato è in realtà l’emblema assoluto della condizione del proletariato italiano e di come le linee politiche dello Stato nel gestire il sottoproletariato del Sud vengono da esso vissute con nevrosi. Con al centro il rifiuto del lavoro, tipico dell’operaio massa e antitetico alla dedizione dell’operaio specializzato, l’immagine del personaggio passa da un prototipo di mentalità “accattona” ed egoista alla consapevolezza che quel prototipo è in realtà il volto immaturo del frutto di un sistema marcio, difeso dai padroni i cui compromessi vengono però ostinatamente rifiutati. In forza di questa consapevolezza la lotta contro il lavoro cambia, diventa razionale e organizzata, fino al conflitto fisico e violento tra lavoratori delle fabbriche e autorità, polizia.
Vai pure. Dialogo con Pietro Consagra (1980) è invece la trasposizione scritta di un incontro, un incontro di addio simbolico ancor più che sentimentale e fisico, tra la scrittrice Lonzi e il compagno Pietro. I due personaggi conversano e dibattono sul loro rapporto amoroso e professionale, da intendersi come discussione sull’arte, sul ruolo dell’essere uomo e dell’essere donna dentro e fuori una relazione umana sociale e una configurazione artistica, autoriale e politica. È la presa di coscienza della donna per una rivendicazione filosofico-esistenziale profonda, dietro i moduli di interpretazione dei concetti di autenticità e creatività. La donna cerca di stabilire un accordo sul piano del riconoscimento, l’uomo si rifà alle sue necessità, che la società ha sempre tramandato e sostenuto come date. Il dialogo con l’amato, con l’uomo, segna una forte cesura senza possibilità di risoluzione, seppur rimanendo pacifica e all’interno di uno spazio dialettico misurato.
Entrambi i conflitti, traumatici per natura, insorgono per dislivelli di esigenze che sono culturali.
Le due narrazioni sono per modalità, stile e contenuto narrazioni al di fuori dell’ordinario, alzabandiera di una coraggiosa e moderna presa di coscienza e di parola attraverso una scelta rappresentativa di pensiero in parola, dove la scrittura mescola esperienza e storia.
Si parte però da due prospettive diverse: Carla è la vera voce dell’analisi che si pronuncia per scavare nel vissuto e nell’animo, Nanni non è il reale operaio protagonista, ma si mimetizza affinché la scrittura sia un momento di tipizzazione ed esplorazione sociologica. Tuttavia, in entrambi i casi non si tratta di forme tradizionali di documentare, ma dell’applicazione di un modo diverso da come si è sempre guardato a fatti politici privati e pubblici. Balestrini organizza la storia suddividendola per paragrafi che sono blocchi di consapevolezza, il cui stile varia al variare della voce singola o corale in un andirivieni di io bracciantile e noi proletario. Lonzi inaugura un modulo nuovo di autorialità autentica: tra i due personaggi un registratore testimonia la conversazione che viene poi riportata per essere letta. Lo strumento non è una semplice soluzione di ricostruzione fedele, ma ha una valenza diegetica. I cronotopi e in particolare le date servono a mantenere il flusso del calendario: sia in Vogliamo tutto sia in Vai pure questa funzione si deve al bisogno di irreggimentazione del tempo della rivoluzione. È un progetto di controllo sociale, particolarmente artificiale in epoca moderna, che segue le vicende nell’ottica di un programma di nascita e propagazione, e si pone, in funzione delle ragioni della lotta (usiamo qui lotta anche nel caso del pacifico dialogo di Lonzi per la forza dirompente e simbolica della rivendicazione femminile), il problema della fine. Balestrini la abbandona però agli eventi prossimi, Lonzi la chiarisce nettamente. Quel che importa è che il mito a cui si rifanno nel tempo scritto apre ad un nuovo futuro da costruire, dopo aver dato per consolidato un passato a cui non ci si vuole conformare. Il programma d’azione, coerente con la costellazione di valori che lo motivano, è funzionale anche a rendere stabile l’organizzazione e a far perdurare una lotta di discontinuità in una battaglia continua.
Coscienza e parola si generano e sostengono reciprocamente nell’incontro del singolo operaio con gli altri, della singola donna che, vivendo in uno scambio con le altre, entra in dialogo con il suo compagno di vita. Se, tuttavia, in Balestrini il momento dell’assemblea è un momento di rassomiglianza, fratellanza e identificazione che promette la vittoria, il momento dialogo in Lonzi viaggia sul binario della differenza e porta alla separazione: i due già conoscono e comprendono la sconfitta dell’accordo coppia.
Così come l’operaio rigetta il lavoro perché arriva alla consapevolezza che il lavoro è costruito e amministrato come sfruttamento, così Carla Lonzi vuole rigettare un ruolo di dipendenza e subordinazione, ma non solo: è ostinata a prendere posizione soprattutto contro la rappresentatività di quel ruolo per l’uomo. L’uomo vorrebbe anche trovare, con un’altra donna, una compensazione al vuoto che la rivendicazione delle esigenze della compagna lascia nella sua vita, ma Carla si ritorce trasversalmente proprio sull’istanza di questa pretesa dell’uomo di vivere sulla carne dell’altra, a discapito dell’individualità, dell’indipendenza e dell’autonomia pubblica dell’altra. Il confronto con l’uomo, a differenza dello scontro violento degli operai, è di sapiente scambio. Lui interagisce soverchiando necessità che si rivelano essere riflessioni sulla figura artistica dell’individuo e che però vertono su principi inautentici e invivibili per la donna. Innanzitutto, Pietro scinde la presa di coscienza e la scelta di vita, mentre Carla parla proprio in funzione di modificare la vita e capisce le cose in quanto tenta di modificarle. Lei, infatti, vive della sua drammaticità e la estende al modo di essere nel mondo, una drammaticità che viene dal non avere un riconoscimento sociale, un ruolo, al di fuori di lui, di vivere in balia dell’altro proprio come l’operaio è alle dipendenze precarie del padrone. Carla rifiuta di essere una sua proiezione sentimentale, immaginativa e ideologica. Rinnega il sacrificio sul piano privato prima che venga portato sul piano sociale perché desidera demolire il mito culturale del protagonista e svelare l’inestricabilità del dialogo: lo sviluppo del sé avviene attraverso la relazione, una relazione che l’uomo calpesta e nasconde pubblicamente mancando di reciprocità. Carla va al di là della funzionalità del lavoro e pesa sulla bilancia il contatto che il mondo e la realtà intrattengono con lei in quanto donna, un contatto senza vuoto a rendere, ancora un contatto di potere. Se in Balestrini la prevaricazione riguarda una categoria lavorativa su un’altra, in Lonzi la questione è di genere: essere donna è elemento di estraneità che comporta negazione e privazione nella sfera sociale e nel sostrato anche inconscio del sistema mondo.
C’è una mobilitazione, di forza nel caso dei lavoratori delle fabbriche, di posizione nel caso della compagna di Pietro. È una presa “politica” illegittima perché sovverte l’ordinamento dato di verità e ne marca un altro. Lo fa attraverso la parola: i manifesti e i volantini e la registrazione servono a sbandierare una dichiarazione di verità nuova, svelata, grazie al femminismo, dal rapporto. In tal modo il testo di Lonzi diventa una categoria esso stesso per la comprensione della legittimità di verità delle due rivoluzioni.
Ma di quale verità si tratta?
L’economia industriale e il lavoro artistico hanno per fine ultimo il prodotto, e gli uomini hanno sempre permesso che fosse l’opera a dettare legge. Alla produzione del padrone è legato il salario dell’operaio. La qualità e la quantità del lavoro determina la parte variabile dello stipendio con scatti di merito, superminimi differenziati, job evaluation. I lavoratori vengono diversificati per categorie e qualifiche perché l’unica misura di merito è il guadagno ultimo nelle tasche del padrone, che così esercita un controllo politico sulla classe sociale, sulla qualità della vita del singolo, diviso dagli altri e impotente. Si vuole il sovvertimento di questo modo di pensare il lavoro. Lo strumento che hanno gli operai per inceppare quello dei padroni, che è in termini rivoluzionari la verità incontestabile del sistema lavoro, è il rifiuto del legame che c’è tra il salario e la produzione per un compenso che tenga conto di tutti i veri bisogni materiali della persona, che non è solo una forza-lavoro, un numero, ma prima di tutto un essere umano.
Allo stesso modo Pietro rende indissolubile il legame tra artista e opera d’arte, vedendo nel processo solo un mezzo e non un valore. È in questo nodo cruciale che Carla mette in discussione il carattere di autenticità del lavoro normato dall’uomo. La condizione individuale viene potenziata in vista della produzione di un’opera a scapito dell’autenticità dei rapporti, il cui concetto è legato allo svolgersi della vita in fedeltà a sé stessi, al proprio pensarsi, che si scopre attraverso l’intimità con l’altro. Consagra non ne è insensibile, anzi lo comprende, ma è disposto ad una condivisione inautentica pur di produrre l’autentico. Le sue necessità sono rese legittime dall’elemento di eccezionalità e particolarità della figura dell’intellettuale, una richiesta però che non propone solo l’artista al suo contesto femminile, ma anche il preside, l’ingegnere, ecc., al sesso opposto, a chi è genericamente donna; l’eccezionalità della creatività maschile giustifica la subalternità femminile. È così che Carla la rifiuta, con tutto l’amplesso della sua legittimazione. Il femminismo si oppone a quest’etica del sacrificio nel privato, a questo esilio dal pubblico.
La decostruzione dello status quo tramite la parola e la coscienza avviene nel disciplinamento del rapporto con la possibilità, il quadro entro cui si immagina e si crede fattibile una stabilità o uno spostamento. Il confine tra possibile e impossibile inizia a vacillare, ad esempio, con la figura emblematica di Rocco, “un fetente”, “uno che si voleva mettere al pari dei padroni”, che costituisce un modello per il migrante, per uno che nella vita vuole farcela e non perire. Ma è un’identità legata ad una sfida al sistema ancora individuale e prematura. È solo con le assemblee che l’idea si concretizza nelle prospettive di lungo periodo e il sistema smette di rappresentare un capo da raggiungere o fregare e diventa una condizione da distruggere. Il vaso del possibile viene forato, finalmente gli operai concepiscono una nuova realtà in cui essere liberi, anche a costo della resistenza, anche a costo del martirio. E Carla Lonzi è pronta a scalfire i presupposti maschili e sessisti con un gesto simbolico, la sua voce come rivalsa, la sua scrittura come riscatto dalla tradizionale omertà del rapporto a due.
Forse, però, la separazione è anche un prodotto dello scarto tra possibile e impossibile, che si deve alla differente scena della rivoluzione femminista, che ci si può raffigurare simbolicamente con il dialogo, rispetto a quella della rivoluzione operaia e, allo stesso tempo, alla diversa dicotomia amico- nemico.
La scena di Vogliamo tutto è la classica rappresentazione urbana collettiva di soli uomini dove il trauma sfocia nel violento ed è soprattutto pubblico; la popolazione tutta contribuisce alla lotta e mostra partecipazione e solidarietà. Nel caso di Vai pure, invece, il mutamento morfologico avviene in primis nel privato, il luogo di socializzazione ha per protagonisti un uomo e una donna che non rappresentano due schieramenti nemici ma condividono un sentimento d’affetto, la cui umanità è tradita dalle diverse culture di cui sono portavoce. Lo spazio di politicizzazione estrema è ambiguo: da un lato, è penalizzato nel grado di visibilità, e d’altra parte Carla non è sola esclusivamente nel confronto con l’uomo in quanto genericamente uomo, ma anche nell’immaginario collettivo e nella vita materiale, perché il patriarcato tende ad essere interiorizzato da tutti e a produrre, per così dire, rare eccezioni; d’altra parte il lavoro sul privato è più profondo e trasversale, è un tentativo di rivoluzione delle rivoluzioni perché il rapporto nella differenza è il banco originario del confitto con l’altro. Il personale è politico nella misura in cui l’evento epifanico evolve le loro vite. È nella relazione che può realizzarsi un cambio di regime diverso da quello servo-padrone.
La consapevolezza, e dunque il riconoscimento, vuole essere universale perché universale è il valore della conversione di un paradigma del sacrificio ad un paradigma della cura, dove la qualità della vita non è messa in discussione da nessun compromesso istituito. La ragione per cui si lotta è sempre una ragione di libertà, se non la si avverte nel progetto non è possibile fare la rivoluzione, per cui la presa di coscienza in parola è un punto di non ritorno.
Bibliografia
Balestrini, N. (1971). Vogliamo tutto. Garzanti;
Balestrini, N.; Moroni, P. (1997). Orda d’oro. La rivoluzione del femminismo. Boccia, M. L. (2015). Dizionario biografico degli italiani. LONZI, Carla. Treccani;
Kristeva, J. (2005). Traduzione di M. Guerra. Hannah Arendt. Introduzione. Donzelli Editore.
Lonzi, C. (1980). Vai pure. Dialogo con Pietro Consagra;
Strappini, L. (1986). Letteratura italiana Volume quinto. Le Questioni, Riforme e rivoluzione. Einaudi;
Veca, S. (1981). Enciclopedia Volume dodicesimo. Rivoluzione. Einaudi
Articolo a cura di Alessia Morra
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