Di recente, mi era capitato di voler condurre un’intervista, poiché da tempo non ne avevo l’occasione e, per eventi sfortunati, una che avevo preparato era saltata. Il mio amico e collega, Antonello Costa, vedendomi scoraggiato, mi ha proposto di intervistare Chiara Catanese, che ci aveva inviato la sua raccolta di poesie Scintilla (LFA PUBLISHER, 2022) e, benché io non le avessi ancora lette, ho subito accettato. Mi sono affrettato a recuperare i versi e subito ne sono rimasto affascinato. Per temi, ritmo e musicalità. Di solito impiego giorni a preparare le domande e invece, in questo caso, le avevo ben chiare già alla prima lettura, e quelle sono rimaste fino alla fine. Il dialogo telefonico con Chiara è stato ancor più illuminante, perché mi ha arricchito e ha confermato e smentito le mie teorie senza mai essere banale, motivo per cui, sin da subito, ringrazio la poetessa. Lascio la parola al nostro dialogo.
Voglio cominciare da alcuni aspetti che saltano subito all’occhio. Nelle oltre trenta poesie, emergono temi dominanti, come quello di una natura espressa attraverso i quattro elementi, vera portatrice di significato a dispetto dell’inconcludenza umana. Una figura su tutte: il mare, «l’acqua unica carezza di seta» che sembra cullarti laddove tutto è tumulto. Non sempre il mare è stato sinonimo di quiete e ordine in letteratura. Che ruolo ha nella tua vita e nella tua scrittura? E la natura?
Il mare è una mia fonte di ispirazione da sempre e da sempre sono amante del mare e della natura. Sarà anche che sono siciliana ed essendo nata e cresciuta col mare, questo ha avuto uno spazio molto importante nella mia vita; ho passato tutta l’infanzia al mare, che ha atmosfere e colori che fanno parte della mia vita. Ho sentito sempre un legame particolare con esso, si è visto anche nella prima raccolta Biografia d’acqua, che già dal titolo richiama questo elemento: l’acqua come fonte della vita, un’immagine molto comune, e, come dicevi, «carezza di seta». In questa poesia emerge un elemento molto ospitale, l’unica consolazione reale. Non sempre, certo, è stato visto in questa accezione così positiva, come elemento di accoglienza. Io, però, sono stata ispirata dalla poesia sufi, di origine musulmana, che possiede questa visione dell’acqua come fonte di vita; consiglierei davvero a tutti di leggerla e approfondirla, anche se non è molto conosciuta. Si tratta di una branca che si accosta al misticismo, e la consiglio per conprendere meglio l’Islam, troppo poco trattato e controverso a causa di una visione data dalla stampa, la quale lo dipinge come fortemente retrogrado; invece, il misticismo sufi può aprirci ad una conoscenza di questo spirito accogliente verso ognuno. Per tornare all’acqua, io ho sempre avuto una visione positiva, ma poi, quando qualche anno fa ho conosciuto la poesia sufi, questa visione ho potuto arricchirla di una nuova prospettiva, acquistando una nuova profondità, che prima non possedevo, una nuova luce per me. Poi, come dicevi prima, la natura ha molto spazio, perché secondo me è simbolo dell’uomo nella sua essenza più pura, al di là di tutte le sovrastrutture che ormai sussistono. Io auspico sempre un ritorno alla natura per l’uomo, proprio per essere, paradossalmente, più umano e più naturale.
Beh, c’è una poesia in cui parlavi dell’andare a trovare la natura, laddove l’uomo non arriva più: sulle colline, nei territori reconditi che hanno perso le sue tracce o non le hanno mai avute.
Infatti, voleva essere una sorte di ode al passato e alla speranza di un ritorno a luoghi dove non c’è la presenza umana, eccessiva invece nelle città, che ci invortica in ritmi frenetici, appunto, non umani. Questi luoghi, invece, rappresentano una dimensione da riscoprire, per vivere in modo più autentico e sereno. La natura è indispensabile in questo senso.
Devo dire, infatti, che si tratta di quelle che ho più apprezzato, per la presenza di un certo simbolismo. Non secondaria, oltre alla natura, è la notte. In molti ne sperimentano il fascino, compreso il sottoscritto, che si fonde, nei tuoi versi, al terrore, alla densità, alla passione saffica, al mistero. «Andrò per le strade fingendo che sia notte», recita una delle poche poesie con un titolo. La finzione ha echi letterari illustri, da Leopardi a Borges, per citare i più celebri. Cosa ricerchi, davvero, nel fingere che sia notte?
La notte ha di per sé un fascino tutto particolare: se anche è buio totale, oppure è rischiarata dalle stelle, già possiede un’immagine molto incisiva e molto suggestiva, Questa poesia a cui fai riferimento non è certo molto ottimista, infatti si esprime questo senso di oscurità che ci si porta dentro, che l’”io” poetico porta dentro di sé, andando per le strade fingendo che questa oscurità possa trovare una corrispondenza in quella esterna: in questo senso, poi, va per le strade fingendo che sia notte. Comunque, questa poesia non è del tutto oscura. In generale, mi affascina l’intreccio che si stabilisce tra luci e ombre, in cui alla fine trionfa sempre la luce; se si guarda nel complesso della raccolta, i momenti notturni si esplorano con piacere. Tra l’altro, notte non esprime soltanto negatività, ma, come dicevi, esiste il mistero, il piacere verso lo sconosciuto, tutto ciò che è sotterraneo, sepolto dentro di noi, e deve ancora emergere; verso di esso dobbiamo compiere uno sforzo, per portarlo alla luce. Tutto questo non rappresenta nulla di solamente negativo. Ciò che è oscuro può essere portato alla luce: questa ambivalenza della notte e della sua figura.
Infatti, a parte il mare, è la figura più presente e, proprio per questo, credo, molto sfaccettata. Si percepisce questo senso di oscurità, ma ho trovato molto fascino nell’alternarsi di luci e ombre che sembrano alternarsi, per rivelarsi, alla fine, facce di una stessa medaglia, come la natura stessa, inevitabili, e così nell’animo umano.
Era questo il senso che speravo di rendere nei versi, sia nelle une che nelle altre immagini. Tutte queste contrapposizioni sono inevitabili, come è inevitabile il fatto che non siano totali e che ci sia contatto tra poli opposti.
A colpirmi, a proposito, sono state numerose immagini che si rifanno a repertori disparati, con un livello di figuratività che spazia da quello naturale concreto a quello metaforico allusivo. L’apice viene raggiunto in Sei sirena, anche quando non sei in acqua, col susseguirsi di figure femminili, artistiche, letterarie ed esotiche, nella successiva Di che cosa è fatto il sorriso di una donna e in C’erano momenti in cui volevo solo essere come stella cadente (titoli nati a partire dal primo verso, se non ne esistono). La poesia si impernia sulle immagini: le tue da dove derivano? Dove si dirigono e dove si posano?
Ti ringrazio perché è una domanda molto articolata. A proposito della poesia Sei sirena, anche quando non sei in acqua, dell’avvicendarsi di varie figure femminili, questo voleva essere un omaggio alla figura della donna, a quelle che sono rimaste possibilità inespresse per le donne che hanno vissuto nel passato e per quelle che ancora vivono in contesti e situazioni che, purtroppo, non permettono di esprimere se stesse. Vuol essere un elogio alla femminilità, non stereotipata, ma al contrario, che si può rivestire di vari ruoli. Vuol essere anche un inno alla solidarietà femminile, per usare un’espressione ad oggi un po’ abusata, che per me è una complicità che si può avere tra donne. Per rispondere, le immagini che si trovano nelle mie poesie derivano da tutto ciò che vedo, da tutto ciò che vivo, le suggestioni che mi arrivano, da ciò che leggo, dalle opere d’arte, dalla musica che ascolto. Possono essere di varia provenienza le immagini che si vanno a comporre in forma poetica. Davvero difficile per me rispondere con precisione a questa domanda. Secondo me i versi sono un po’ come un dono: quando viene l’ispirazione per una poesia è come una scintilla. Per questo la raccolta si chiama così: Scintilla, perché sono come scintille che si accendono, e che dobbiamo cogliere come ispirazione, ma mettendole su carta, altrimenti sfuggono. A volte neanche io so da dove mi deriva una certa ispirazione. Poi, per comporre una poesia che sia veramente compiuta, non basta soltanto scrivere ciò che viene dettato dall’ispirazione, ma una poesia va limata. C’è una frase di un poeta, di cui adesso non ricordo il nome, che dice: «Il primo verso è un dono, il resto è lavoro», quindi c’è un lavoro dietro, per cui si deve seguire quella scintilla che si è accesa, farla esprimere in tutta la sua eloquenza, farci dire ciò che cio deve dire, ma poi sistemare il materiale e limarlo. Bisogna dare una musicalità ai versi, io, almeno, ci provo. Un aspetto che va curato: mi piace che i versi siano musicali quando scrivo. Per chiudere, le immagini derivano da questo universo, in senso letterale, ma anche da quello che mi formo e che tutti formiamo nella mente e nel cuore: deriva dalle cose che vediamo, dagli incontri che facciamo, dalle suggestioni che nascono in noi, dai sogni e dai desideri che abbiamo, da tutte queste cose insomma. poi, si arriva su carta, e così va a compimento una poesia su carta, in modo più o meno buono.
Naturalmente, se la prima frase arriva, ma non viene individuata, si rimane bloccati nel proprio processo creativo allo stadio di intuizione.
Esatto, poi ognuno ha il proprio metodo per scrivere e arrivare a farlo. Per quella che è la mia esperienza io posso dire questo: che senza il connubio delle due pratiche, non si dà vita a un lavoro valido.
Certamente, l’unione di due elementi, l’uno fluido e sfuggente, l’altro saldo e controllabile, è alla base della scrittura. Poi ognuno percepisce in maniera completamente soggettiva, per come è abituato a fare. Rimanendo in tema, immagini e parole rappresentano una coppia tanto inseparabile, quanto irriducibile. La parola è il motore dal quale scaturisce ogni lavoro letterario, ne rappresenta il nucleo e la tua è una ricerca tenace attorno ad essa. «[…] perché le parole sono la strada,/ perché le parole sono esserci, perché le parole le hai tra le mani/ quando ti muoiono senza fiato in bocca», recita la poesia “Ci sono sere che cerchi parole ovunque”. La parola, chiara e precisa, o vaga e inafferrabile, può muovere il mondo, se ben dosata. Come si raggiunge, nella tua esperienza, «l’incontro tra grazia e parola», se è davvero possibile?
Secondo, come dicevo prima, questo incontro è un dono, ma poi bisogna impegnarsi a tenere lo sguardo aperto, a leggere tante poesie, anche di grandi poeti: questo aiuta a mantenere lo sguardo aperto e a trovare la parola. Il concetto secondo il quale per scrivere bene bisogna prima leggere è verissimo. Si dice spesso che ci sono più scrittori che lettori, invece leggere molto è alla base di una buona scrittura, qualsiasi sia la forma. Aiuta non solo a trovare ispirazione, ma soprattutto a livello tecnico, ad ampliare il proprio vocabolario. Solo così l’incontro tra grazia e parola può avvenire. Per quanto riguarda gli altri versi, è un modo per dire che certe cose non si riescono ad esprimere, mentre poi trovano sfogo nella scrittura. Scrivere aiuta a svelare quanto spesso rimane nel non detto: questa è una delle grandi funzioni della poesia.
Il non detto, che poi è la base dei rimuginii con i quali si giunge alla creazione poetica, permette di trovare un modo per riflettere su come esso si possa esprimere, è quasi un paradosso. Passando per un attimo ad aspetti tecnici: si nota, ad un certo punto della silloge, un cambiamento nella struttura delle poesie. All’inizio, i versi sono brevi, spezzati, quasi frantumati e certe volte mostrano un gusto ermetico, anche nell’immagine. All’improvviso, ci si imbatte in una breve serie di testi caratterizzati da versi ampi, come nel caso di Di che cosa è fatto il sorriso di una donna, quasi alla maniera della forma-cubo di Amelia Rosselli, per poi tornare alla frantumazione. Da cosa dipende questa variazione? Si tratta di un esperimento poi accantonato, di un moto scaturito da una necessità espressiva o, come è probabile, di altro?
Ci sono in effetti vari esperimenti nello scrivere, perché non direi che ho uno stile preciso, non seguo per forza uno schema. È un po’ come se fossi sempre in fase di sperimentazione, perché mi piace trovare vari modi per scrivere, tentare vari stili. Poi, probabilmente, dipende dal fatto che sono poesie scritte nel corso di molto tempo, non sono molto vicine tra loro. Di certo, si collocano in fasi diverse di sperimentazione, diciamo. Mi mantengo sempre con un’ampia apertura alla sperimentazione, scevra da schemi stringenti. Quello che ricerco sempre, che mi piacerebbe ci fosse sempre nelle mie poesie, è la musicalità: queste è una cosa che da sempre perseguito e che da sempre cerco di mettere in atto, ovviamente, a volte ci riesco e a volte riesco meno, talvolta si percepisce di più, talvolta di meno, ma questo è l’unico obiettivo che mi pongo costantemente, da un punto di vista formale.
Avviandoci verso la conclusione, voglio toccare i temi eros e sessualità. Sono molte le poesie nelle quali emerge un “tu” romantico e passionale, nelle due facce della medaglia che si articolano attraverso la devozione di Tutto quello che ho, Ora sei luce nel mio cuore, fino al piacere di Sorella Saffo, tra le altre. Le sfumature dell’eros sono molte ed è fuori luogo categorizzarle in maniera stringente. Alla luce delle tue riflessioni, come percepisci l’eros? E come credi che possa essere trasmesso nelle sue varie forme?
Ci sono molti modi in cui si declina un tema del genere. In realtà, Tutto quello che ho, che hai citato, non si rivolge tanto a un tu amoroso, quanto piuttosto, in senso molto più ampio, a Dio. Però, si vede l’influsso della poesia sufi di cui parlavamo prima. Quel tipo di poesia utilizza molto un modo di rivolgersi alla divinità che può sembrare simile a quello di un amante affamato. In questo senso, hai notato una peculiarità della poesia sufi, che produce testi in cui la tensione verso Dio si accosta a quella amorosa. Ho voluto sperimentare anche sotto questo punto di vista, anche se più che sperimentare, quando si parla di questi argomenti, mi viene più da dire che ho voluto vivere la tensione. Mi interessava approcciare questo tipo di linguaggio, invogliata da queste letture che ho fatto. Molto spesso, questi poeti hanno suscitato addirittura scandalo in quella che era l’ortodossia, proprio perché si rivolgevano a Dio in questi termini.
Devo dire che, in effetti, confondersi è facile, cadere in errore quando si interpreta un testo con queste dichiarazioni riporta subito ad un ambito strettamente amoroso.
Il bello della poesia, invece, è che essa può avere numerose interpretazioni che non sono errate. Quando si scrive sul foglio, il verso acquisisce una vita propria e può generare molti significati. il mio intento era quello di cui ho parlato, ma non considero il tuo un errore. A ben vedere, si ricollega a questo tipo di poesia, che vive nell’intreccio tra tensione amorosa e tensione spirituale.
È vero anche questo. A pensarci bene, molta critica letteraria dell’ultimo quarto del ventesimo secolo ha sottolineato l’autonomia del testo, una volta scritto. e il ruolo attivo del lettore, che interpreta secondo i propri campi di significato, generando molto spesso grandi fraintendimenti. Invece, per quanto riguarda Sorella Saffo?
Certamente sì, quella è un canto alla passione. Il richiamo a questa poesia mi permette di dire che il territorio della poesia è quello della libertà, anche nei riguardi dell’eros. C’è sempre, ancora, chi ha la smania di appiccicarti etichette e chi ha l’ansia di cucirsele addosso. Per quanto mi riguarda, non amo le etichette e penso che poter apprezzare la bellezza, il fascino e l’attrazione per un uomo o per una donna indifferentemente, sia una ricchezza. Guardare alla persona e non al genere. Poi, l’eros in poesia è uno dei temi più difficili da trattare in modo originale ed elegante.
Per concludere, una domanda che poniamo a tutti i nostri intervistati: quale libro consiglieresti ad un possibile lettore? Che si tratti di un giovane agli inizi, di un divoratore o di qualcuno che vuole ricominciare. Nel caso specifico, quale libro di poesie ti sentiresti di consigliare?
Dato che ne abbiamo parlato molto, ed è davvero poco conosciuta, consiglierei di approfondire la poesia sufi. Mi scuso se mi ripeto, ma secondo me sarebbe giusto dar loro più ampio spazio, anche a scuola e nelle università, luoghi nei quali si dà sempre e solo spazio a opere occidentali, proponendo un punto di vista eurocentrico. Sono poesie da scoprire, un vero e proprio tesoro, come nel caso di Rumi, che scrisse il Mathnawi. Certo, questa è un’opera monumentale, il poema persiano. Magari non conviene iniziare da lì, per chi è completamente digiuno. Partendo dal basso, si può approfondire questo misticismo, anche leggendo poesie di Rumi o Hafez su portali internet, acquisendo una visione più completa dell’Islam. Se ne parla sempre troppo in chiave negativa, ma si dovrebbero approfondire questi aspetti, che sono ignoti ai più, per amore di conoscenza e per sottrarsi alla parzialità. Si potrebbe aprire una parentesi davvero grande su questi argomenti.
Ringrazio ancora Chiara Catanese per avermi concesso questo dialogo e invito a leggere le sue raccolte poetiche, con un’apertura di sguardo e una forte attenzione alla musica che ne emerge.
Sei incuriosito da Scintilla di Chiara Catanese? Puoi trovarlo in libreria, su Amazon o su IBS.
Hai un racconto, una poesia, una recensione o un testo di critica nel cassetto? Scrivi alla nostra email: redazione.incendiario@gmail.com