La letteratura implica in principio il diritto di dire tutto e di nascondere tutto
Jacques Derrida, Donare la morte
Il filosofo algerino, francese di adozione, Jacques Derrida individua il carattere democratico e libero di quel cortocircuito tra realtà e finzione, tra rispecchiamento ed atmosfera sognante qual è la letteratura. Un termine che reca con sé una galassia di significati. La si incontra talvolta casualmente, in altre occasioni ci viene imposta. Una volta che ci imbattiamo in essa, l’animo del lettore ne viene stravolto. Si tratta di un portale spazio-temporale in grado di farci vivere le più straordinarie vite, di catapultarci in atmosfere colorate, di regalarci una vivacità psichedelica, lontana dal grigiore quotidiano. La realtà ci è stretta, ci soffoca ed un buon libro è l’unico modo che abbiamo a portata di mano per evadere. Esso diventa uno specchio in cui riflettiamo noi stessi, ci svestiamo dei nostri abiti quotidiani ed indossiamo quelli richiesti dai personaggi. La letteratura è il nostro cantuccio di magia in una vita contraddistinta dal grigiore, in cui il dio denaro è arrivato a sovrastare le altre divinità. Essa è uno specchio su cui ogni individuo può riflettersi. L’incantesimo si propaga anche ad ogni altra persona che si avvicini a tale riflesso. Riflettere sé stessi e su sé stessi per far riflettere gli altri. La letteratura si sgancia bruscamente dall’egemonia dell’utilitarismo economico. Ad essa non interessa trattare di tematiche che possano servire a raggiungere un obiettivo materiale. Il suo compito non è rappresentare e registrare neutralmente i fatti della realtà; essa non è vincolata alla contingenza. E proprio questa è la sua magia. Da vero portale spazio-temporale, la letteratura ha la licenza di sognare, di far galoppare l’immaginazione e di parlare liberamente di un personaggio dalla vita usuale come di una realtà surreale ed impossibile. Per questa sua natura libera, sbarazzina, noncurante delle ferree leggi della contingenza, Derrida la lega a filo doppio al concetto di democrazia. La letteratura condivide con la democrazia l’amore per la libertà, la consapevolezza dell’impossibilità di avere in mano le chiavi di una ragione unica ed imperante, il dare la possibilità a tutti di esprimere il proprio pensiero e di donare al mondo il proprio unico ed inimitabile punto di vista. Esse condividono l’amore per l’alterità, da sempre difesa strenuamente da Derrida contro l’illusione di un’identità pura e scevra di contaminazioni. Dunque, solo tramite il contatto con l’altro, possiamo accedere ad un significato arricchito ed unico. L’alterità si può raggiungere creando dei canali di comunicazione quali la democrazia e la letteratura. Un’opera letteraria ha il compito e la libertà di poter parlare di qualsivoglia argomento. Per questo motivo non ci aspettiamo da un buon libro una registrazione neutra e veritiera degli eventi, una semplice concatenazione o cronaca. Non vogliamo un accrescimento di realtà ma delle vie di fuga da essa, per conoscere noi stessi ed imparare a vivere meglio la nostra contingenza. Per portare inedite pennellate e sfumature nel grigio quotidiano. La letteratura è libera, non ha alcun dovere nei nostri confronti. Ha il diritto di dire tutto e di nascondere tutto.
Altro concetto cardine della letteratura e del sistema filosofico di Derrida è il tema della testimonianza. La letteratura testimonia il nostro punto di vista e il modo unico con cui diamo senso agli eventi. Essa non sentenzia, non veste la toga del giudice e non punta il dito. Veste i panni di semplice testimone, senza pretese o arroganze. Non alza la voce ma è un sentore che indica che dietro il suo atto si nasconde un’identità, da ascoltare e da lasciar parlare. La letteratura risponde a leggi proprie ma implica un atto di responsabilità. Quest’ultimo concetto viene troppo spesso dimenticato; esso è un imperativo a cui siamo chiamati nella vita in società. Respondere. L’etimologia latina implica un riconoscimento dell’alterità, un tener conto dell’animale sociale che ci contraddistingue ed una risposta da riservare ad un tu particolare. La letteratura non deve sottostare alle leggi della contingenza ma all’imperativo dell’alterità. L’opera letteraria cela la finestra sul mondo di un’identità insostituibile, testimonia dell’esistenza unica e dona agli altri il proprio sguardo, le proprie lenti. Il compito del lettore è prendersi cura di questo sguardo, abbracciarlo come se fosse un dono e dargli lo spazio che merita. La libertà ci permette di andare oltre, di non considerare questo punto di vista come insuperabile e di dialogare con esso. Il lettore è libero di rispondere e, fedele al respondeo dell’etimo, diventa responsabile verso l’altro, il quale gli ha donato le sue lenti. E da una risposta all’altra si crea una catena – anch’essa letteratura- in cui ognuno crea il suo sguardo unico proprio grazie all’incontro con la visione dell’altro. Testimonio il mio punto di vista e quel senso che solo io so dare alla realtà grazie all’ascolto che ho concesso all’altro testimone. Alla base dell’incantesimo incatenato della letteratura vi sono i valori che Derrida attribuisce alla cultura occidentale: il rispetto per l’alterità, la responsabilità, la libertà. Ed il filosofo algerino auspica un recupero delle nostre radici, per poter essere migliori nel presente, per diventare amanti della democrazia e cittadini responsabili. Dietro l’aspetto della letteratura si cela un segreto tanto profondo quanto criptico; ed il segreto in questione è che non c’è alcun segreto, l’incantesimo della letteratura funziona in quanto è privo di una verità oggettiva da imporre. Derrida individua in questo segreto una cripta senza profondità, l’abisso del chiamare o del rivolgersi: la chiamata unica che un’identità fa nei confronti di un’alterità. Dietro ad un atto letterario si cela una persona in carne ed ossa la quale attinge al suo modo di significare la realtà, alla sua visione unica. Si tratta di una rivelazione di senso, ma senza pretese. Il lettore è invitato a rispondere, a creare un dialogo silenzioso quanto potente che lega gli autori e tutti coloro che nel corso dei secoli hanno deciso di affidare alla letteratura il proprio punto di vista. Questa catena silente permette ad un lettore appartenente a qualsiasi epoca di trovare liberamente il proprio senso in qualsivoglia opera letteraria. Il lettore si sente appellato, chiamato personalmente, e magicamente si immedesima in quel mondo fittizio creato da un’alterità. La libertà permette di trovare il senso- la cui ricerca da sempre ossessiona l’uomo- in un libro qualsiasi, a condizione che quest’ultimo venga da noi selezionato, scelto e adottato e non ci venga imposto dall’alto. E qui ci ricolleghiamo al legame stretto con la democrazia. Solo presso una comunità di uomini liberi è possibile accedere alla funzione più profonda della letteratura: quella di far comunicare le alterità. Grazie ad un dialogo così segreto e protetto, lontano dalle leggi della superficialità e dell’utilitarismo, è possibile arricchire la propria esperienza della realtà. Diventiamo persone migliori in quanto un libro ha saputo comprenderci ed insegnarci a stare al mondo, a vivere. L’opera letteraria fa da surrogato all’attività educativa svolta dai genitori, dagli inseganti, dagli operatori culturali. Essa ci insegna che alla base di tutto risiede il riconoscimento di un’alterità, che prima del possesso vi è la donazione, la completa apertura all’altro, che prima di avere e possedere, apparteniamo. Questo è l’insegnamento che ci ha lasciati l’opera di Derrida e il suo gesto filosofico noto come Decostruzione. Quest’ultima non si riduce a mero relativismo o scetticismo. Implica il riconoscimento dell’altro prima e alla base dell’identità. Non c’è spazio per un sapere puro e oggettivo, la verità non è più raggiungibile ed agguantabile come se fosse un oggetto da possedere. La grande rivoluzione messa in atto da Derrida consiste nell’aver spostato il focus della questione dall’oggetto da accaparrarsi al gesto della donazione all’altro. Bisogna abbandonare ogni pulsione di onnipresenza, di identità pura e forte, ed aprirsi all’ignoto, a tutto ciò che non possiamo controllare. E questo atto di affidamento totale ad un’alterità è la letteratura stessa. Il lettore ne esce arricchito: non avrebbe potuto attingere a questo surplus di senso altrimenti. La natura non autoritaria e libera della letteratura implica il superamento continuo di ogni risultato raggiunto. Ogni testo non ha le chiavi della verità, è una testimonianza di ciò che pensa una singola identità. Il lettore ha la libertà dunque di rispondere, di criticare e di dar voce alla sua testimonianza. Senza far prevalere la sua voce su quella dell’altro; non dovrà mai dimenticare il suo debito nei confronti della testimonianza di senso altrui e che solo tramite il contatto con essa, sta ora entrando nell’incantesimo incatenato della letteratura. Il dialogo si instaura, esso è affidato alle parole scritte, alla fisicità della carta, all’odore delle pagine stampate. La forza e l’eternità di una tale catena vengono rafforzate dall’essere svincolate dalla presenza fisica degli interlocutori; non conta la persona, la sua volontà di affermarsi e di primeggiare sull’altro ma solo la potenza delle parole scritte, le quali diventano una traccia indelebile e duratura, un’orma ed una testimonianza. Il testo scritto mi appella, mi chiama, vorrebbe che io mi calassi nel mondo immaginato e descritto, che mi immedesimassi oppure che lo criticassi. Non importa la reazione del singolo, l’opera vuole essere presa in considerazione, vuole suscitare una risposta. Vuole che il lettore riconosca la personalità dell’autore, la sua testimonianza di senso. Vuole che veda il segreto criptico della sua personalità.
La letteratura – e Derrida – ci insegna che l’altro non potrà mai essere assimilato. Possiamo lasciarlo parlare, amarlo o criticarlo ma mai azzerarlo. Siamo debitori nei confronti dell’alterità fin dalla nascita, dal nostro sostentamento nel ventre materno, dal nostro derivare e dipendere dall’altro. La letteratura è agli occhi di Derrida un evento, un’apertura all’alterità, un incontro. Diventa la degna erede dell’α҆γορά e del forum. È un rincorrersi di voci, potenti, svincolate dal corpo ma ben radicate nella carne linguistica: un dibattito democratico. E l’incantesimo permette lo svincolarsi dalle odierne coordinate spazio-temporali, una fluidità dei punti di riferimento, come avviene quando sogniamo. Dove tutto è possibile e dove le immagini ci travolgono a tal punto da superare la nostra capacità di elaborazione e conoscenza. La letteratura rimane un mistero, un fenomeno, una meteora che appare improvvisamente nel cielo: non sappiamo da dove essa provenga ma il nostro compito è quello di lasciarci abbagliare dalla sua luminosità, di affidarci a questa apparizione. Si crea così un portale che permette di accedere a sensi ed a testimonianze passate, anche antiche, e di farle rivivere nel presente. Per arricchire noi stessi e per far arricchire gli altri. L’insegnamento più grande è il gioco di travestimenti e di immedesimazioni che la letteratura ci spinge a compiere: imparare a calarsi nei ruoli degli altri, indossare i panni dell’alterità per poterla meglio comprendere e rispettare. Conoscere me stesso attraverso l’altro. L’altro prima di me.
Bibliografia
Derrida, Jacques, Donare la morte, Milano, Jaca Book, 2002
Eleonora Bufoli