Parafrasando il titolo del saggio di Virginia Woolf Una stanza tutta per sé, vogliamo dedicare questa settimana alla voce narrante femminile. Non vogliamo tessere acriticamente le lodi della donna affermandone la superiorità e ribaltando la gerarchia di un’insensata gara tra sessi. Significherebbe divorare l’alterità mentre noi vogliamo accostarci a punti di vista unici ed uscirne arricchiti. Vogliamo parlare di letteratura in tutte le sue vesti, da quella inedita all’aspetto critico, soffermandoci sul punto di vista di un’autrice o narratrice. Vogliamo mostrare la ricchezza dell’altra faccia della medaglia. La bellezza non conosce distinzione di genere, la potenza di un messaggio artistico è ciò che più conta. Noi vogliamo dare ascolto all’eternità della voce, agli spiragli che ci vengono aperti, alla possibilità di farci ragionare, di approfondire noi stessi e di far progredire il sapere collettivo. Vogliamo affidarci alla pagina scritta, farci guidare dall’odore dell’inchiostro. Ci appella la letteratura, non l’appartenenza dell’autore ad un genere piuttosto che ad un altro.
Virginia Woolf riconosce l’importanza di andare oltre la gerarchia tra sessi e di rendere autonoma la sfera del femminile. La donna in qualità di persona ha il diritto di dar voce al proprio inimitabile punto di vista: a woman must have money and a room of her own, if she is to write fiction. Occorre sostituire al modello narcisistico e unidimensionale maschile un’attenzione rivolta a più soggetti come illustra in Le tre ghinee (1938). L’autrice rivendica la diversità femminile come valore in sé attraverso cui poter superare le contraddizioni della cultura dominante, nata dalla trasformazione del punto di vista particolare maschile in un valore assoluto, incontestabile. La virilità che per secoli si è misurata sulla violenza fisica ha portato alla guerra come risposta alla dialettica tra Nazioni. Woolf non vuole sostituire un’egemonia ad un’altra ma riaffermare la relatività di punti di vista. Non vuole imporre, ma ascoltare, dar voce ad ambo le parti. La donna può e deve affermare in positivo la sua identità e promuovere la parità richiamando la cultura tradizionale maschile ad un esame di coscienza. Woolf scrive questo saggio in risposta alla richiesta da parte di un avvocato antifascista ad impegnarsi per contrastare i regimi dittatoriali in Europa. Questi ultimi generano da una visione irrigidita ed assolutizzata della cultura maschilista, i cui valori che contano sono quelli della guerra, della forza, della violenza, dell’imporre la propria voce piuttosto che ascoltare. L’assolutizzazione del maschile ha portato ad una violenza radicale; ora bisogna ristabilire la dialettica tra le due sfere e riconsiderarle come compagni complementari che si aiutano a vicenda.
Per accedere alla letteratura, grandissime scrittrici sono state costrette a nascondere le loro identità dietro patronimici o nomi maschili. Basti pensare a George Eliot pseudonimo di Mary Anne Marian Evans o le sorelle Charlotte, Emily ed Anne Brontë: rispettivamente Currer Bell, Ellis Bell, Acton Bell. La società benpensante vittoriana attribuisce un’opera potente e rivoluzionaria quale Frankenstein a William Godwin o a Percy Shelley. L’uno il padre, l’altro il marito della giovanissima autrice Mary Shelley. Impensabile che una donna possa scrivere una storia che nasconde un messaggio di rottura. Il mostro viene creato dallo scienziato Victor, senza la complicità o la collaborazione di una controparte femminile. Quasi a voler sottolineare i pericoli derivanti da una creazione che esclude le donne: senza di esse non può che essere generato un mostro.
In Italia Sibilla Aleramo ci regala un doloroso spaccato femminile nel romanzo Una donna (1906). Racconta una tragica vicenda autobiografica, costellata di costrizioni e rinunce. Una donna priva di libertà, costretta a sposare l’uomo che l’ha violentata. Quando decide di ribellarsi e di separarsi, è costretta a rinunciare al figlio. La donna è messa ad un bivio: o si adagia al ruolo di “angelo del focolare” oppure afferma la propria identità ma cercare di realizzare i propri sogni implica una perdita dello status di madre. La protagonista sceglie la strada altrettanto difficile della libertà. Ha compiuto un percorso di consapevolezza del sé e non vuole rinunciare alla sua vita e all’unica possibilità che le viene concessa di essere felice, di lasciare un’impronta del suo viaggio. Non vuole immolarsi come ha fatto sua madre la quale per amore dei figli si è sacrificata, riducendosi a spettatrice infelice della propria vita. Il figlio diventa la catena che priva della libertà. L’autrice vi oppone la propria felicità, sceglie sé stessa: Ubbidisci al comando della tua coscienza, rispetta la tua dignità. Una maternità vissuta nella privazione e nella sofferenza diventa servaggio. Ci dedichiamo totalmente alla vita del figlio, ogni suo bisogno diventa prioritario, scompariamo. Questo amore opprimente deriva dal rimorso per non aver amato a nostra volta chi si è sacrificata per noi e così il debito di amore che dovevamo restituire alle madri lo addossiamo sulle spalle dei figli, stringendo le maglie in una mostruosa catena. Non bisogna rinunciare alla maternità o ad un marito ma sceglierli consapevolmente; prima che come donna occorre riconoscersi come persona, non annullarsi.
Vogliamo dunque arricchire il lettore con un punto di vista femminile. La settimana si aprirà con un articolo di critica di Gloria Fiorentini, la cui penna lucida e attenta ci restituisce gli scenari unici costruiti da Elena Ferrante nella tetralogia L’amica geniale. Grazie alla sua analisi non scontata, capiremo che dietro quello che continua ad essere un vero e proprio caso editoriale si celano delle tematiche universali, che chiamano in causa il lettore di ogni epoca. Si tratta di un canto dell’umanità e Gloria ci restituisce tutte le tonalità.
L’inedito che presenteremo sarà Roma, intimo dialogo che la sottoscritta intrattiene con la nonna e con la città in questione. La Capitale viene descritta attraverso un punto di vista femminile unico. Una storia di amore che lega due generazioni diverse e la città. Attraverso dei cortocircuiti spazio-temporali l’oggi viene arricchito, il passato dialoga con il presente.
La recensione di Lucrezia Arianna ci porta in un mondo lontano, cronologicamente e culturalmente, quale il Giappone. La sua penna ci restituisce la delicatezza di Un’estate con la strega dell’Ovest di Kaho Nashiki. Un universo fatto di tradizioni millenarie, di ordine, di sicurezze, arricchito dal rapporto unico che lega una nipote ad una nonna. Un cristallo da proteggere, un caldo tepore che ci accarezza la pelle.
Gloria Fiorentini intervisterà per noi una grande scrittrice italiana, Nadia Terranova. Autrice di molti libri di successo tra cui Addio fantasmi , esempio di attaccamento alle proprie radici e di una storia di dolore vissuta con profondità ed unicità. Lo stretto di Messina come limen, passaggio da un prima ad un dopo, nostalgia per il passato e crescita nel presente. Un’autrice che sa partire dal particolare per portarci in una dimensione universale; che parlando di sé parla anche di noi.
Perché l’armonia è composta di una pluralità di voci, la conoscenza è un prisma costituito da molteplici facce. Che le parti possano arricchirsi a vicenda, che l’ascolto possa vincere sull’imposizione.
Eleonora Bufoli per la redazione de L’Incendiario