Cosa hanno in comune un cane, una serie di fumetti, Joker e Pirandello?
Sembra l’inizio di una barzelletta, invece – vi sembrerà strano – tutti questi elementi trovano un punto d’incontro nella marginalità. Sì, perché proprio questo termine sta ad indicare una esclusione, un allontanamento di uno o più elementi facenti parte della società dal centro e dalle attività di essa. La marginalità è un concetto passivo, che si subisce, nessuno è attivamente marginale. Nel senso che intendo dare a questa parola, è un moto interiore o una condizione di cui non si è nemmeno a conoscenza, basta spostare di poco il punto di vista per rendersene conto. Inoltre, estendendone ancor di più l’accezione, si può arrivare ad includere oggetti inanimati, come vedremo nel caso dei fumetti, oppure esseri non umani, come nel caso del nostro inedito.
Il margine è arbitrario, chi lo stabilisce si trova in una posizione di potere nei confronti di una minoranza, ma non per forza questo va ad intaccarne la natura. Una maggioranza dominante per caratteristiche comuni o diffuse si pone al centro e relega il resto ad una posizione di subalternità. Non solo, ma innalzandosi si sente in diritto – spacciato per dovere – di decidere come e quando marginalizzare, come e quando escludere l’elemento di disturbo per il proprio equilibrio. Cosa è normale e cosa non lo è? Senza accorgercene, lo stabiliamo tutti i giorni con presunzione, dalla nostra posizione di dominio. Indaghiamo sull’argomento presentando le pubblicazioni di questa settimana.
Lorenzo Valerio ci ha inviato qualche tempo fa un’interessante analisi che incrocia cinema e letteratura, un binomio che sovente ha favorito entrambi i mondi artistici. Partendo dalla visione del film Il cavaliere oscuro (2008), secondo episodio della trilogia capolavoro sul supereroe di Gotham di Christopher Nolan, e dalla lettura di Uno, nessuno, centomila (1925)e Il fu Mattia Pascal (1904) di Pirandello, Lorenzo mette a fuoco il tema della follia. Le tre opere presentano Joker, Mattia Pascal/Adriano Meis e Vitangelo Moscarda alle prese con i dolori dell’essere. Il dolore dei traumi di Joker, il dolore della perdita d’identità al di fuori del riconoscimento da parte della società di Pascal, il dolore del non riconoscere più sé stessi di Moscarda. Tutti uniti da un doppio livello di sofferenza, i personaggi mostrano esteriormente i frammenti in cui le anime si sono ridotte. Le enigmatiche cicatrici ai lati della bocca corrispondono alle ferite interne del pagliaccio anarchico. Il naso storto è l’epifania che trascina nel dubbio esistenziale Gengè. Il cambio di aspetto mostra il non poter esistere senza che gli altri ci riconoscano davvero del defunto non defunto.
La differenza, in questa analisi, è data dalle reazioni dei personaggi: chi fugge e nega il dolore, chi lo affronta e chi ne esce prostrato e sconfitto. Ma tutti e tre, proprio per quanto appena visto, sono ai limiti, non solo di una società che non si cura di loro e li ripudia, ma dell’esistenza stessa. Sono marginali perché il dolore sembra non poter esistere se non è necessario e propedeutico ad un lieto fine, perché non si può essere senza che qualcuno ci riconosca, perché quello stesso qualcuno ci allontana dimenticandosi di essere altrettanto anormale. Il problema dei nostri personaggi è che, per citare Joker, “ciò che non ti uccide ti rende più strano”. Vado a spiegare meglio. Queste sofferenze li discostano dal centro in cui all’inizio si trovavano, ma nessuno si preoccupa di mostrar loro che il margine è solo un costrutto e che si può vivere anche col dolore, perciò si trovano da soli ad affrontarlo. Non si può non cedere alla follia una volta subite queste mancanze, proprio per questo alla fine diventano ancor più marginali, quasi astratti in un certo senso.
Agli antipodi del dolore troviamo l’inconsapevolezza. Lorenzo Buonarosa ci racconta la giornata di un cane descritta dal cane stesso. Il punto di vista è assolutamente originale e il linguaggio rispecchia il tentativo di negare l’antropocentrismo delle classiche narrazioni. Il rapporto coi padroni, con la natura e con i simili sfrutta al massimo lo sguardo obliquo a cui non siamo abituati. Il cane Freddy non compie nessun tipo di azione sconosciuta, ma si sofferma su dettagli che i nostri sensi e il nostro modo di percepire il mondo tendono a trascurare o ad etichettare con superflui.
Perché Freddy è marginale? La domanda è lecita dopo aver attraversato le sofferenze dei personaggi precedenti. La risposta è semplice: non prendiamo seriamente uno sguardo di questo tipo, non siamo abituati perché il rapporto che stabiliamo nei confronti di un animale è impari e ci poniamo al di sopra di esso come dominanti. Lorenzo restituisce valore a una figura che di solito è soltanto amica dell’uomo, focalizzandosi sulla sua percezione, sfruttando il suo occhio senza fini didascalici, ma puramente narrativi. Freddy non è consapevole di essere in quella posizione, poiché in un certo senso non ne ha motivo e non gli interessa indagarlo, proprio per questo non lo patisce. Allo stesso modo, Lorenzo ce lo presenta nella sua semplice complessità, nelle sue idee e nei suoi pensieri. Il focus si sposta sui sensi del cane, che per natura catalogano gli impulsi del mondo esterno e reagiscono in maniera del tutto differente. Scrivendo, si è posto egli stesso al margine, uscendo dalla comodità delle sue abitudini per parlare direttamente da quel margine, senza paura di sbagliare e azzardare per una resa migliore.
Per questo intervento dobbiamo anche ringraziare Asia Rea, giovane grafica che ci ha donato una sua rappresentazione in stile fumettistico del cane Freddy che uscirà insieme all’inedito di Lorenzo.
Per concludere, Fabio Massimo Cesaroni andrà ad analizzare uno dei supereroi più amati e rappresentati al mondo: Spiderman, nella sua versione originale, quella fumettistica. Ripercorrendo la nascita dell’uomo ragno, il suo sviluppo complesso e i motivi del suo successo su carta stampata, Fabio vuole raccontarci non soltanto il lato meno noto ai più Peter Parker, ma restituire dignità ad un genere quasi mai considerato tale. Il fumetto, a causa della sua forma ibrida, non gode né del riconoscimento letterario, né tantomeno di quello artistico. Il limbo in cui viene a trovarsi distoglie l’attenzione dall’interesse che proprio questa unione di testo scritto e immagine suscita, che invece emerge nell’articolo.
L’evoluzione che viene tratteggiata e i vari adattamenti che sul fumetto in questione sono stati compiuti per rimanere sempre sul pezzo ne snaturano l’origine, ma lo rendono ancora accattivante per il pubblico. Nonostante ciò, non è raro incontrare opinioni che definiscono il fumetto – senza magari averne mai aperto uno – una lettura per bambini. Non si tiene mai conto della ricchezza e del retroterra di questo genere, la storia e i motivi che si presentano. Affermare che sia una lettura per bambini ha il risultato di abbassarne il valore e relegarlo ad un ruolo di genere minore, non degno di attenzione. Fabio, invece, sottolinea la presenza di una “grammatica tanto precisa quanto fertile”. Perché, allora, il fumetto non riesce ad abbattere la barriera del canone e a rivendicare il proprio status? La questione è complessa e non serve per forza uno status per rimanere nel cuore degli appassionati, perciò godiamoci un’analisi approfondita e ricca che ci faccia apprezzare ancora una volta l’uomo ragno come forse non lo conoscevamo.
Storie di marginali, di mai considerati e di sottovalutati: ecco cosa presentiamo questa settimana. Un percorso in cui serve abbandonare le proprie convinzioni e le proprie abitudini per gettarsi con fiducia verso voci e sguardi differenti, e forse per questo degni di maggior attenzione. Il nostro intento è quello di dare spazio a punti di vista dimenticati, spostarci dal centro e togliere noi stessi da quel centro per guardare tutto da una nuova prospettiva. Ricordiamoci soltanto che i margini sono una nostra creazione o modelli a cui aderiamo passivamente o per non sentirci soli. Con questo unico avviso, diamo il via ad una nuova settimana di pubblicazioni.
Leonardo Borvi per la redazione de L’Incendiario.