INEDITO DI MARCO FERRUCCI
L’estate era passata svelta, quasi senza accorgersene. E come sempre, di mattina presto, ansia e nostalgia si mischiavano alla vista del sole. Il sole era ancora forte, eppure sempre più lontano e quella luce, nuova e sperata ogni mattina, la chiamava verso la scogliera.
Al mare ci andava ancora ma sempre meno volentieri. Lontani erano i tempi che aspettava Pasqua per la prima abbronzatura. E ormai nessuno la guardava più arrivare dalle finestre del cortile, attendendo il suo passaggio per spiarne l’entrata, seguirla con una scusa o sentirne semplicemente l’odore di abbronzante quando saliva. Erano i tempi in cui tutti la cercavano e per le scale i ragazzi correvano, tirati per il collo da mamme e nonne intriganti e gelose. Sembrava un secolo. Sole da vivere per giornate intere sugli scogli, vento da prendere in piena faccia sulla vespa abbracciando Franco e poi serate, incontri, piano bar all’aperto e canzoni allegre da ballare.
Poi c’era stata la fuga di lui e quindi la malattia di sua madre, subito dopo. Anni di cura e di dolorose attenzioni, fino alla fine venuta comunque troppo presto. E ancora l’amicizia poi, il gruppo come ancora e certezza. E quando, senza più mamma, Cinzia era sparita per qualche banale incomprensione, per una frase riportata, una telefonata mancata, tutto allora era andato in pezzi e così, senza motivo, nessuno l’aveva più cercata.
Da allora, dalla sera alla mattina, si era trovata sola, senza nessuno intorno.
Erano gli ultimi giorni di mare. Il colore dell’acqua era di un blu diverso, quel colore terso e nuovo che ha sempre a settembre quando soffia vento da terra. La tramontana la costrinse a stare a ridosso del muro e là stette bene almeno tre ore. Quando si tirò su però era caldo. Troppo perchè il muro dietro le aveva fatto da serra e ebbe caldo anche in macchina, tanto da bere quasi una bottiglia intera e doversi fermare più volte per asciugarsi il sudore.
No non era più tempo ora per quelle maratone di mare, sulla scogliera che tanto le piacevano. E se ne era accorta bene quella volta che era caduta per una buca fuori dal parcheggio, proprio prima di prendere la macchina. Nessuno allora l’aveva soccorsa o tantomeno aiutata, dei ragazzotti in moto avevano riso scompostamente, un’altro poco lontano, sui 40, poggiato allo sportello con un bimbo intorno, le si era avvicinato con un sorriso come di commiserazione.
Al semaforo, in attesa del verde, lenti si fermavano i ricordi., Era un ottobre di vento e di ombrelli, quello con Franco, in centro c’era un negozio di scarpe per bambini.. “un giorno forse..” aveva detto lui sorridendo.. Oddio Franco…Certo che sì, magari! E rispondendo lei lo aveva preso per il braccio, che era sembrato saldo come marmo e i suoi occhi ridevano senza parlare e lui le carezzava i capelli appena fatti. E insieme saltavano e volavano incuranti della pioggia e delle pozzanghere..
Fuori il semaforo ora, fuori le auto, se ne era andato Franco.. fuggito tra il respiro affannoso dell’asfalto e il caldo che stritolava la strada. Ecco, forse tutto questo era patetico, ma le era capitato, qualche tempo fa, anche di telefonare a quella che un tempo era la casa di Franco. Sapendo benissimo poi che il telefono come altre volte avrebbe squillato a vuoto. E invece lo trovò staccato e non più attivo, reciso per sempre, non più esistente, come quel tempo.
E prima di entrare nel grande cortile, guardando il vecchio asilo abbandonato e i gatti stesi al sole, pensava, ecco loro sanno come ci si sente ad essere invisibili alla gente.
Di sotto al parcheggio trovò Simone che girellava a vuoto come faceva da almeno 30 anni. Gli anni erano passati anche per lui, la fama di “giovane spostato” non lo seguiva più, perduta insieme a tanta di quella gente di cui oggi non restava niente, neanche il ricordo. Simone la salutò, l’aiutò a scendere la borsa e bofonchiò qualcosa sorridendo. Qualcosa sul fatto che le giornate ormai erano sempre più corte -alle otto già si faceva buio- o che era l’ inizio di settembre ma si era entrati già nell’autunno metereologico. Lei si intristì un po’, lo trattò come sempre in modo sbrigativo ma fu felice che qualcuno ancora l’aspettasse e la guardasse come un tempo. Salì le scale veloce pensando alla sua vita buttata di giovane invecchiato, a Franco, a sua madre che proprio a settembre di qualche anno prima aveva cominciato a stare male. Poi chiuse la porta a scatto, stancamente, facendo per spogliarsi. Accese la radio a tutto volume, come faceva da sempre, insieme all’ acqua calda. Il suo corpo e la sua faccia, allo specchio, era una pugnalata, che non riusciva a reggere. La musica le trasmetteva ancora allegria e quella sera ne aveva bisogno. Per un momento pensò al sole che a quest’ora inondava il mare di arcobaleni arancioni. Fu un attimo.
Tutto all’improvviso cominciò a girare,. Sentiva ancora le voci venire dal cortile, il sole di settembre ora mandava lampi leggeri d’azzurro che filtravano dai pini. Riconobbe le panchine bianche di marmo, mutilate e abbandonate ormai da anni in mezzo ad un parcheggio. La macchina poi, la renault blu.. Qualcuno spense la luce, la porta si chiuse.
Era caduta da sola sulla vasca e così l’avevano trovata tre giorni dopo ,come seduta. Era caduta da sola, così avevano detto sbrigandosi perché faceva ancora molto caldo quel giorno e il personale addetto alle verifiche del caso, vicino alle due del pomeriggio aveva fame ma soprattutto caldo, troppo per qualsiasi cosa. Nessuno seppe niente, nessuno disse niente. Il sole picchiava ancora implacabile sul cortile. Alle finestre si stendevano teli da mare e costumi, le ragazze tornavano dalle scogliere ancora in motorino con i capelli bagnati. Solo Simone ogni tanto si faceva vivo aspettando qualcosa o chissà.. guardando verso l’alto alla finestra di lei. Restava fermo qualche minuto e poi se ne andava portando sul volto la smorfia del sole che gli batteva addosso e la cicatrice delle cicale che gracchiavano ancora scompostamente alle sue orecchie.
Al sopralluogo nessuno si fece vedere. Nel palazzo restò il solito gran silenzio di prima. Il silenzio che in queste occasione cresceva di porta in porta, di piano in piano, gonfiandosi e poi rompendosi alle soglie del portone. La casa fu sgombrata solo quattro mesi dopo. Rimase vuota per un anno. Poi fu occupata da una coppia di stranieri.
Marco Ferrucci