«La pratica della gentilezza è una scelta, e per esercitarla ci vuole coraggio. Perché la gentilezza, lo abbiamo detto all’inizio e lo ripetiamo alla fine, è ben altra cosa dalla cortesia, dalle buone maniere, dal garbo o dalla gradevolezza. La natura della gentilezza autentica emerge quando per praticarla dobbiamo superare la paura, vincere la rabbia, a volte superare la disperazione. Dare senso. Essere umani.»
(G. Carofiglio, Della gentilezza e del coraggio, Feltrinelli, Milano, 2020, p. 114)
Carofiglio chiude così il suo ragionamento sui temi enunciati nel titolo. Il percorso parte dall’analisi della gentilezza, che prende le mosse dalla nascita del Jujutsu (“arte della cedevolezza”), per arrivare fino al coraggio, inteso come utilizzo intelligente e ragionato della paura. Ma non si ferma qui, perché il terzo elemento, che non appare nella copertina, è il porre e porsi domande nella maniera corretta, dovere del cittadino consapevole e arma di difesa.
L’autore risponde a una domanda che mi pongo da tempo: come è possibile un dibattito sano e leale in un mondo in cui alzare la voce significa avere ragione? E lo fa partendo da lontano, dal mondo orientale. Il principio alla base del Jujutsu è assorbire l’attacco avversario sfruttandone la forza, non rispondere con violenza. Così come i salici non si spezzano perché si piegano sotto il peso della neve lasciandola scivolare, allo stesso modo chi assorbe il colpo non fa del male, ma utilizza quel colpo per annientarne la potenza. Lo stesso principio va applicato al confronto, al dibattito politico o quotidiano, in particolare qualora diventasse scorretto (nel capitolo Fallacie vengono spiegati i vari tipi di colpi bassi). Non si evita lo scontro come suggerisce Bobbio parlando di mitezza, lo si accetta e lo si disinnesca di volta in volta.
La paura è un sentimento primordiale e in quanto tale non si può evitare. L’ignoto, la perdita di certezze, la possibilità di sentirsi derubati sono solo alcuni dei motivi. Ma la paura non è il contrario del coraggio secondo Carofiglio, ne è invece la base. Chi si abbandona alla paura e ricerca schemi facili e preconfezionati non ne sfrutta le possibilità e favorisce l’avvento di politiche antidemocratiche e demagogiche o si pone in una situazione di debolezza. Chi la accetta come parte di sé compie un passo in avanti verso il miglioramento della società. I primi non si pongono domande o se lo fanno sono le domande sbagliate. I secondi dubitano in maniera corretta, sanno ascoltare e accettare i propri errori e i propri limiti. La complessità del mondo contemporaneo spaventa (in qualsiasi contemporaneità ci si sia trovati o ci si troverà), quindi accettarne la non linearità è l’azione principale insieme al riconoscere di non poter sapere tutto. Interessante in questo senso l’approfondimento sui kōan, che «[…] consistono in affermazioni paradossali o i brevi racconti o enunciati, cui seguono domande all’apparenza assurde ma in realtà costruite per mettere in crisi la nostra ordinaria capacità di interpretare il mondo» (Carofiglio 2020: 96). Andare oltre la schematicità e l’abitudine è il fondamento per una visione flessibile di un mondo complesso, per nuovi modi di interpretarlo senza ricorrere a concetti triti e ritriti.
Il lavoro di Carofiglio è un vero kit di sopravvivenza per il cittadino moderno. Una serie di suggerimenti che arrivano soltanto dopo analisi approfondite – condite da numerosi esempi e citazioni – e che possono indicare una via per non perdersi ma anche un percorso per ritrovarsi nelle intricate ramificazioni della società dell’oggi e del domani. Come agire, come interrogarsi, come difendersi, tutto in un centinaio di pagine. Un libro necessario, forse a tratti discutibile e utopico (si veda il capitolo Discussioni ragionevoli in cui presenta il modello teorico-pratico di van Eemeren e Grootendorst per una discussione corretta e privata di fallacie), ma gradevole e a tratti illuminante. Un volume adatto se vi sentite smarriti, confusi o per scoprire qualche trucco per non cadere negli inganni inevitabili di un mondo complicato.
Leonardo Borvi