Il treno dei bambini, di Viola Ardone, Einaudi, 2019, Recensione
È il 1946, Amerigo Speranza ha sette anni e vive con sua madre, Antonietta, nel loro basso, in uno dei tanti vicoli dei Quartieri Spagnoli a Napoli. Aveva anche un fratello maggiore, Luigi, morto quando era molto piccolo e suo padre pare sia partito per l’America in cerca di fortuna. Mandano avanti la vita come possono: la mamma facendo dei lavoretti da sarta, Amerigo va in giro a fare le pezze da vendere al banco di Capa ‘e fierro, uomo ambiguo, che si scoprirà poi essere il padre dei ragazzi.
La vita nel vicolo scorre allegramente, vivace, nonostante i problemi. Amerigo passa le giornate lavorando; in giro con il suo amico Tommasino; fuori il conservatorio ad aspettare Carolina, una bambina che studia per diventare violinista e con la quale inizia ad avvicinarsi alla musica. Le difficoltà economiche, però, sono tante; allora Antonietta si rivolge a Maddalena Criscuolo, una donna del partito comunista, che organizza i treni per i bambini. Antonietta decide così di mandare suo figlio al nord. La povertà diffusa nelle zone del sud Italia porta, infatti, il partito comunista ad organizzare un progetto di solidarietà: far ospitare i bambini da famiglie del settentrione affinché possano andare a scuola e vivere più agiatamente per tutta la durata dell’inverno.
A Bologna, Amerigo viene affidato a Derna, comunista, non sposata e senza figli, con la quale andrà a vivere a Monza. Grazie ad Alcide, cognato di Derna, che per mestiere ripara strumenti musicali, Amerigo riscoprirà la sua passione per la musica e sceglierà di imparare a suonare il violino, pensando a Carolina. I freddi mesi di inverno passati a Monza saranno scaldati dall’amore della nuova famiglia di Amerigo, dalla spensieratezza, dalle lezioni di musica con il maestro Serafini, dalla scuola e dai nuovi compagni. Ma tutto questo non romperà mai il legame tra Amerigo e sua madre.
Arrivata l’estate è ora di tornare a casa, la sua vera casa, il basso, nel suo rumoroso vicolo di Napoli. Amerigo ritorna consapevole che nulla è come prima: «Ormai teniamo il cuore spezzato a metà», pensa durante il viaggio in treno. Egli è travolto dalla sua vecchia realtà, dalla vita nel basso: niente scuola, povertà e la necessità di andare a lavorare. Ricomincia a giocare e a confessarsi con Tommasino, il quale è stato ospite da una famiglia del nord, scoprendo che a lui vengono inviate lettere, regali, pacchi con squisitezze. Rivede Carolina, vuole fargli vedere il suo violino, ma sotto il letto dove era riposto non c’è più. Si confronta duramente con la madre, per le sue menzogne, per le sue azioni; gli aveva fatto credere di essere stato dimenticato da Derna, nascondendo le sue lettere e i suoi regali; gli confessa di aver addirittura venduto il violino. Amerigo scappa di casa, vaga per la città fino a tarda sera quando decide di recarsi alla stazione e di prendere il treno per raggiungere Derna.
C’è un salto di quasi cinquant’anni. È il 1994, ormai Amerigo è un uomo adulto. Ha vissuto la sua vita a Monza con Derna e la sua famiglia, ha cambiato il suo cognome in Benvenuti, ha frequentato il conservatorio ed è diventato un musicista famoso. Lo ritroviamo a Napoli, proprio nella città dalla quale era scappato, per il funerale della madre che intanto aveva avuto un altro figlio, Agostino. Ripercorre gli anni passati lontano dalle sue origini: gli incontri con la madre, il rimpianto di un amore confuso e fatto di malintesi, la mancanza di un vero rapporto con suo fratello, e con la moglie e il figlio di Agostino, Carmine. Maddalena Criscuolo, la donna che ha salvato Amerigo, gli propone di prendersi cura di suo nipote, di dargli una possibilità di vita migliore, proprio come l’aveva avuta anche lui, grazie al treno dei bambini del Mezzogiorno. Amerigo rifiuta, ma grazie a quel bambino, ad un’ultima sorpresa, un regalo dalla madre, riesce a conciliarsi con il suo passato. Quel regalo è il suo primo violino. Amerigo sente di non dover più scappare dalle sue origini. Il senso di vergogna che ha provato per tutta la vita non ha più motivo di esistere e può ripartire con il cuore più leggero. Può ripartire verso il nord con la promessa fatta a suo nipote di tornare e di far parte della sua vita.
Il treno dei bambini di Viola Ardone è un romanzo appassionante, lineare, scorrevole, e la narrazione in prima persona rende tutto molto semplice. Tutte le cose sono vissute attraverso la spontaneità delle emozioni di un bambino che però, come succedeva a quei tempi e in quei luoghi, è costretto a crescere in fretta, a lasciare la spensieratezza per le responsabilità, la scuola per il lavoro. La storia si basa su una scelta che Amerigo è costretto a fare: da un lato quello che ha e quello che è, dall’altro ciò che potrebbe avere e diventare. Questa scelta attanaglia il protagonista, fatta in un momento di estrema fragilità, in un disperato tentativo, alla fine riuscito, di riscatto. Ma la realizzazione Amerigo la vive come una colpa. La colpa di aver abbandonato sua madre, di non essere stato un bravo figlio, di aver tradito le sue origini e la sua città. Riuscirà ad espiare questo senso di colpevolezza attraverso il nipote Carmine che gli farà capire che c’è ancora tempo e modo di recuperare quel legame con il vecchio sé stesso.
Si riflette inoltre sulle dinamiche sociali, culturali ed economiche che in quel periodo dividevano l’Italia in due. Da un lato il Mezzogiorno fatto di povertà, analfabetismo, poche opportunità e poca istruzione; dall’altro il settentrione industrializzato, istruito, ricco di possibilità lavorative e di realizzazione. Attraverso la vita di Amerigo si può vedere la drammaticità della situazione. In scene come quelle della partenza da Napoli, quando tutti i bambini, in accordo con i genitori, lanciano dal treno i cappotti donati loro per partire affinché li possano usare i fratelli e le sorelle rimasti a casa si può vedere quanto fosse difficile per quelle famiglie garantire ai figli le cose più semplici e necessarie. Quella di Il treno dei bambini, andando oltre la storia e l’emotività del racconto, è un’analisi velata della Questione Meridionale, una delle principali problematiche che con tutta la sua tragicità ha caratterizzato la storia del nostro paese per buona parte della seconda metà del Novecento. Quella di Amerigo è la storia reale di molte famiglie italiane che in quegli anni sono state costrette ad immigrare dal Mezzogiorno verso il settentrione industrializzato alla ricerca di lavoro.
Per questo motivo credo che il romanzo di Viola Ardone oltre ad essere una bellissima e commovente storia di amore, crescita e riscatto, sia anche motivo di riflessione su un passato che prepotentemente ha segnato l’Italia.
Ilaria Carnara
Un altro punto di vista, analitico, sul “metodo” con cui è stato scritto “Il treno dei bambini”: https://giorinaldi.files.wordpress.com/2022/01/il-treno-dei-bambini-dossier-rinaldi.pdf
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