Era il 20 luglio 1969 quando l’uomo mise piede per la prima volta sulla Luna. Di preciso furono due uomini a farlo, Neil Armstrong e Buzz Aldrin, ma in missione erano in tre: il povero Michael Collins, il cui nome è oscurato da quello dei due colleghi, non uscì mai dal Modulo di Comando e di Servizio rimasto ad orbitare attorno al satellite. Il suo ruolo era quello, si sapeva sin dall’inizio, perché qualcuno doveva rimanere a bordo per garantire il ritorno sulla Terra, altrimenti la missione Apollo 11 avrebbe rischiato di essere compromessa.
Dai, hai partecipato alla missione spaziale più importante e famosa di sempre, sei un astronauta, che altro vuoi, Collins? Sì, okay amico, però prova anche tu a pensarci: ero a tanto così dal suolo lunare e mi sono dovuto limitare a guardarlo dall’alto. Avrò anche il diritto di essere un po’ incazzato?
Due cose accomunano me a Michael Collins. La prima è che siamo entrambi nati a Roma. La seconda è che anch’io sono un’inguaribile avventurosa che rimane però sempre un passo indietro: non è una scelta, è una vocazione. Entrambi siamo destinati a restare sempre un po’ fuori, un po’ esclusi, ma solo in questo modo possiamo avere una visione d’insieme. E poi, inutile dirlo, passeggiare sulla Luna sarà anche bello, ma vederla dall’alto… beh, è tutta un’altra cosa.
Yari Selvetella, Le regole degli amanti, Bompiani 2020
«Se non possiamo prenderci il mondo per intero, se chi amiamo ci sfugge, se la nostra stessa vita è una costante metamorfosi, se le forme perfette le hanno solo le statue, allora una sorta di miopia interiore ci viene in soccorso. Vediamo meglio da vicino, studiamo, scopriamo piaceri inediti. […] Considero la maturità, finché dura, il regno dei particolari».
Il bello di essere una studentessa di lettere – anche se ammetto che non è questo l’unico piacere – è avere tanti amici che sono a loro volta studenti di lettere, e che in quanto tali condividono con te la passione per la lettura. Quest’anno per il mio compleanno (o dovrei dire il nostro, visto che siamo nati lo stesso giorno) Avi mi ha regalato un romanzo, dicendomi «A me è piaciuto molto ma non so come parlarne. Vorrei che fossi tu a recensirlo», per cui le vacanze natalizie sono state un’ottima occasione per immergermi in una lettura inaspettata.
Il bello di essere una studentessa di lettere e avere altri amici studenti di lettere e ricevere da loro consigli letterari è quello di trovarsi in completo disaccordo su tante cose. Una di queste è Le regole degli amanti di Yari Selvetella, che ad Avi è piaciuto tanto ma che io, personalmente, temo di non aver capito.
Partiamo dall’inizio: nel 1989 Sandro e Iole si conoscono, si frequentano e si innamorano, nonostante siano entrambi sposati con figli. Il primo scambio di sguardi che avviene in un maneggio sull’Appia antica presto si trasforma in un amore travolgente, che porta i due giovani adulti a vivere una storia passionale e mai monotona, senza curarsi dei coniugi e dei bambini che riempiono le loro vite e che ogni sera li aspettano a casa. Nasce così l’idea di stipulare una sorta di contratto dalla durata trentennale che siglano sotto il titolo di Manifesto dell’amore lieve.
Il fascino di questo libro sta nel peso spropositato dato ad un amore clandestino. Se di solito le relazioni extraconiugali vengono narrate sottolineando la doppia vita degli amanti, il loro senso di colpa e la loro costante paura di venir colti con le mani nella marmellata, qui ci troviamo nella situazione esattamente opposta. Iole e Sandro vivono l’una per l’altro, devoti a quel sentimento insieme puro e peccaminoso che li lega; possono trascorrere insieme intere vacanze e poi star lontani per mesi, possono fare una passeggiata sotto casa o prendere un aereo per vedere l’alba nel deserto, non importa. L’importante è che siano loro a deciderlo, a volerlo, loro e nessun altro. È un amore sincero perché è un amore egoista, che non s’interessa della febbre della piccola Giulia o dell’insoddisfazione di Letizia, la moglie tradita, perché è un amore che vive delle proprie bizze e delle proprie sorprese. Ma per me finisce qui.
Non voglio dire che non sia un libro pregevole, scorrevole, coinvolgente, piacevolmente leggibile. Perché lo è: la scrittura è incalzante, attuale, curata, ma rientra perfettamente nell’intero schema del romanzo, quello dell’imperfezione. Non ho letto altro di Selvetella per cui non mi permetto di darne un giudizio complessivo (anche perché se nel 2018 è finito nella dozzina dello Strega qualche merito dovrà pur averlo), ma credo di poter dire la mia su Le regole degli amanti, che a mio avviso è un romanzo non troppo riuscito.
Credo che l’errore di base sia proprio nella struttura del libro, impostato come un decalogo d’amore a cui è in fin dei conti impossibile attenersi. So che l’obiettivo ultimo era quello, mostrare che in amore non ci si può dare delle leggi perché tanto si finirà per infrangerle, lo so, ma la velleità di questo codice di Hammurabi del tradimento è evidente sin dall’inizio e comincia a far acqua da poche pagine dopo. Ma vabbè, in amore non esistono regole e non esistono nemmeno riguardo l’impossibilità di darsi regole, per cui Sandro e Iole sono liberissimi di scrivere un elenco di precetti che li illuda di vivere un amore eterno e sempre nuovo.
La seconda imperfezione, forse per me la più fastidiosa, riguarda l’ambientazione. Il romanzo si svolge a Roma, e Selvetella ha cercato di farlo capire inzeppando le pagine di riferimenti alla capitale. Tanti. Troppi. Al limite dell’incoerenza. Per chi – come Selvetella stesso – vive a Roma o la conosce bene, è evidente che per farsi a piedi (andata e ritorno) la tratta tra il quartiere Appio Latino e via dei Pettinari con scappatella annessa occorre ben più di quel paio d’ore che Iole ha a disposizione; e perché arrivare fino a Tor Cervara per picchiare un uomo recuperato a via Sannio, per poi scaricarlo al pronto soccorso del Policlinico Casilino? La sensazione è quella di aver inserito a forza quanti più elementi romani possibili per far capire al lettore che è proprio Roma la città in cui ci troviamo, capito?
Del resto gli elementi infilati a forza riguardano non solo l’ambientazione ma la trama nel suo intero, perché Le regole degli amanti, nelle sue trecento pagine e rotte, riesce a toccare un numero esagerato di tematiche: riferimenti letterari e musicali a pioggia, un viaggio in Tunisia ispirato da Bertolucci, perversioni sessuali di ogni sorta, il cancro e persino degli episodi malavitosi. L’affastellarsi di aneddoti di vita di coppia, che probabilmente per Selvetella avrebbe dovuto ricreare nel lettore quel gusto del dettaglio che attanaglia Sandro, non fa in realtà che generare confusione, al punto da non riuscire a capire bene dove si vada a parare.
Insomma, è una lettura leggera da affrontare con gusto, che può dare tanti spunti perché ricca e dettagliata. Ma, esattamente come un piatto equilibrato, un libro ha bisogno di pochi ingredienti ben amalgamati per valorizzare ogni sapore come merita. E Yari Selvetella non penso meriti di diventare il masterchef di quest’anno.
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