A Barcellona con Zàfon – La città di Vapore Recensione (2020, Mondadori)

     «E Polo – Ogni volta che descrivo una città dico qualcosa di Venezia.
Quando ti chiedo d’altre città, voglio sentirti dire di quelle. E di Venezia, quando ti chiedo di Venezia.
Per distinguere le qualità delle altre, devo partire da una prima città che resta implicita. Per me è Venezia.»

I. Calvino, Le città invisibili, Oscar Mondadori, Roma, 2015, p. 86.

La città che per il Marco Polo di Calvino è Venezia, potremmo dire che per Carl Luiz Zafòn è Barcellona, la città di vapore del titolo della raccolta di racconti, La città di vapore (2020, Mondadori).

Copertina di La città di vapore di Carlos Ruiz Zafón

Lo scrittore italiano compie un’azione diversa e molto più complessa, riconducendo alla città veneta tutte le altre che racconta a Kublai Khan nel suo resoconto fittizio, del quale è anche punto di partenza. Lo spagnolo, dal canto suo, rende molte delle possibilità in cui può essere dipinta la grande città iberica. I tredici racconti, infatti, hanno come unico vero centro comune proprio Barcellona, terra natìa di Zafòn, declinata nelle più diverse tipologie narrative. Proprio come il vapore, la forma cambia, cambia la sua articolazione, la sua presentazione, ma non il soggetto, a volte più centrale, a volte solo uno sfondo. Madre, prostituta, antica, in costruzione, tentacolare, meravigliosa e onirica, Barcellona sembra essere il motivo ispiratore della stessa scrittura, perché molti racconti non potrebbero esistere senza uno scenario del genere in cui essere collocati.
La pubblicazione di questi frammenti ricopre circa un ventennio, dall’inizio del secolo a oggi, eppure l’anima di fondo e lo stile, al netto dell’eterogeneità dei singoli testi, sembrano invariate, così come la memoria dei luoghi e il loro adattamento alle necessità della scrittura. Zafòn lavora in direzioni tra loro differenti, a livello cronologico e di genere letterario: alle avventure di Cervantes segue il toccante addio di Blanca – il cui incipit è magistrale -, all’apocalisse fuori dal tempo il racconto fantastico di un vincitore di draghi. Leggere questa raccolta uscita postuma è un’esperienza sia per il puro piacere della lettura, sia per chi vuol tentare la via della scrittura. Zafòn procede per immagini, liriche ma chiare, giustapposte in modo che il lettore possa vederle dispiegarsi davanti ai propri occhi.
Ad apparire di vapore sono molti dei personaggi e dominano in tal senso quelli femminili. Blanca è una apparizione breve ma indelebile, la ragazza di vapore dell’omonimo racconto forse una larva, così Alicia, quasi un angelo, e l’angelo vero e proprio del racconto conclusivo. Come appaiono allo stesso modo svaniscono, immerse in una nebbia costante, fugaci ed eteree. In modo differente, le figure maschili sono spesso crudeli, misteriose e impenetrabili, arcigne ma funzionali allo sviluppo del racconto e del personaggio, su tutti lo stampatore che boccia Cervantes fino a fargli perdere tutto pur di ottenere l’opera perfetta.
Come spesso succede in un libro del genere, non manca mai qualche racconto meno valido, o comunque non all’altezza del resto. Una signorina di Barcellona, infatti, si presenta confusionario, poco chiaro, ma non nel senso affascinante del mistero di Uomini in grigio, quanto piuttosto in una serie di colpi di scena e cambiamenti di familiarità della giovane protagonista che non si comprendono nemmeno a una seconda lettura. Lo spunto iniziale, l’abilità della ragazza nel prendere sembianze caratteriali e movenze di persone defunte o perdute per il piacere dei clienti, è anche interessante, ma delude lo sviluppo di una trama non intellegibile, forse spinta troppo oltre nel suo dispiegarsi complesso.
Il mio primo approccio a Zafòn è da promuovere senza dubbio, tenendo anche conto di brevi e trascurabili passaggi a vuoto. Quando un libro ti lascia insegnamenti e ti commuove allo stesso tempo, è un libro che vale la pena di essere letto.

Di Leonardo Borvi

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