L’insostenibile superficialità dell’essere fantasmi.

     I princìpi basilari della comunicazione verbale mettono in scena diversi elementi e funzioni che potremmo sintetizzare così: un emittente codifica un messaggio da inviare ad un destinatario (o ricevente) attraverso un canale comunicativo; il destinatario decodifica il messaggio e risponde attraverso lo stesso meccanismo. Il processo è volontariamente banalizzato, perché serve solo ad illustrare una situazione tipo. Ora, premesso che la spiegazione si presenta come ideale e che la natura dei rapporti comunicativi reali complica lo schema, è interessante prendere questi princìpi elementari e catapultarli nel mondo odierno, ricco di canali differenti e di metodologie sempre nuove con cui stabilire una comunicazione. In particolare, è curioso analizzare la comunicazione scritta (chat in generale) nella situazione in cui una conversazione viene interrotta senza apparenti motivi e senza avvertimenti. 
Occorre un breve approfondimento a mo’ di premessa. La differenza tra comunicazione scritta e orale è abissale, eppure la diffusione di mezzi sempre più veloci e una sempre maggiore connessione hanno reso le chat e i loro surrogati una forma tendente all’ibridismo, che risente della verbalità nei termini di rapidità ed espressività (si pensi alle emoji e ai messaggi vocali). Per renderla semplice, è uso comune dire “sto parlando con Tizio”, piuttosto che “sto messaggiando con Caio”, emblema di quanto ormai – con termini impropri – l’idea di comunicazione scritta ci restituisca un’impressione, sebbene debole e a tratti illusoria, di un dialogo orale. 
Il maggiore isolamento, con conseguente diminuzione di rapporti concreti, in cui ci ritroviamo da oltre un anno ha accelerato il processo di digitalizzazione dei rapporti. Non solo, infatti, le persone che incontravamo spesso sono diventate presenze fatte della stessa sostanza di cui è fatto il wi-fi, ma è aumentata la ricerca di conoscenze nuove. Poiché non possono più avvenire tramite l’incontro reale, è esploso l’utilizzo di piattaforme online quali Tinder, oppure Dating – collegato a Facebook – solo per citarne un paio. Non è certo un caso la proliferazione di profili su queste piattaforme. La necessità di creare nuovi rapporti si fa sentire ed è direttamente proporzionale all’aumentare dell’isolamento e della sua durata.
I suddetti siti d’incontri aprono molteplici porte ad analisi in diversi settori ma, come anticipato, verrà messa in risalto solo la parte finale della comunicazione: l’interruzione senza avvertimenti, ovvero il momento in cui uno dei due utenti sparisce. In termini attuali, questa pratica si chiama ghosting. La parola rende in maniera efficace ciò che accade: una sparizione sulla quale chi subisce non ha potere, proprio come quella dei fantasmi. Eppure, il concetto espresso attraverso tale termine rischia di fuorviare e rendere ancora più astratto ciò che invece è un atto di grande concretezza. Chi sparisce non è un fantasma, ma si nasconde piuttosto dietro la maschera del proprio alter ego digitale, un’entità inattaccabile con la quale ci si arroga il diritto di fare ciò che si vuole senza curarsi dell’interlocutore. L’io si frammenta ancora, al punto che non si tiene più il conto delle schegge, e questa è una delle tante, forse la deriva in cui le meschinità sono più concentrate ed accettate. Il discorso si limita a rapporti tra sconosciuti, ma il ghosting accade anche all’interno di relazioni di ogni tipo ben più lunghe e concretizzate.
Piattaforme di questo tipo non nascono certo oggi, così come tutte le pratiche ad esse legate, ma l’esplosione, soprattutto nelle fasce d’età sotto i trent’anni, è notevole da un anno a questa parte. Se c’è una corrispondenza, si comincia a parlare, è molto semplice. Com’è naturale, molte conversazioni tendono a non andare a buon fine e ad arenarsi. A questo punto, il buon gusto e la correttezza suggerirebbero di agire come alla fine di un incontro sportivo, stringendosi in maniera simbolica la mano e ammettendo che questa conversazione non s’ha da fare. Che c’è di strano? Qual è il lato distorto di un ragionamento così lineare? Nessuno, eppure si decide di svanire nel nulla. Quel circolo di generazione, ricezione e risposta nei confronti del messaggio si interrompe in maniera unilaterale e senza nemmeno un avvertimento. Di per sé, al di là della mancanza di rispetto, l’evento sembra poco rilevante, sia a livello individuale che a livello sociale. 
Allora, perché dare peso a fatti così superficiali che avvengono tra sconosciuti? Bene, un primo punto da approfondire è proprio la superficialità. Come detto, le conversazioni nascono dal nulla, senza basi per poterne prevedere l’esito, quindi le possibilità che non vi sia poi una corrispondenza concreta sono piuttosto alte. La mancanza di un rapporto vero e proprio dà campo ad una certa libertà di spaziare, di tentare approcci e di muovere la conversazione in base a come evolve il discorso. Direi che questo è, in fondo, il lato positivo e divertente della superficialità. Poi, però, ci si dimentica che dall’altra parte dello schermo c’è un altro individuo, di cui non si sa nulla, non se ne conoscono le intenzioni né tantomeno la sensibilità. D’altra parte, la libertà d’azione è così inebriante e le conseguenze delle azioni talmente inesistenti che ci si sente autorizzati ad agire come se si stesse davvero parlando con un computer. Allora, piuttosto che dire “mi spiace, ma non è cosa”, si scappa in silenzio. 
Senza approfondire cosa accade dall’altra parte, c’è uno scenario inquietante che si presenta come possibile: se si agisce in questo modo dietro ad un computer, eccitati da un potere che sembra privo di rischi, cosa succederà quando i rapporti torneranno più concreti e ci sarà maggiore presenza? A dirla tutta, anche prima le sparizioni esistevano, i vigliacchi e i noncuranti non nascono dal 2000 in poi, ma la domanda è: l’aumento vertiginoso di questa prassi quanta influenza avrà al di fuori della rete? Insomma, la curiosità sta nel capire quanti continueranno a comportarsi come fantasmi nella quotidianità. Il rischio è quello di una sempre maggiore immedesimazione col proprio alter ego digitale. I risvolti negativi possono essere non soltanto un crescente distacco dalla realtà, ma un’astrazione dei rapporti con l’altro che porta a non tenerne più conto, a trattarlo come fosse l’immagine che vediamo su Tinder. In breve, il rischio è quello di atteggiamenti sempre meno attenti, che non tengono conto della controparte. 
Se vi viene l’idea di iscrivervi ad uno di questi siti, oppure state già parlando con qualcuno, ricordate sempre una frase tratta da I pirati dei Caraibi – La maledizione della luna: «Cominciate a credere alle storie di fantasmi Miss Turner… ci siete dentro». Si vuole chiaramente sdrammatizzare, ma è bene riflettere sulle conseguenze di una possibilità così estesa come quella del silenzio e della fuga – come se già non esistesse. Si sente spesso dire “quando ti iscrivi a questi siti, te lo devi aspettare”, sintomo di quanto l’idea sia radicata nelle nostre menti. L’unica cosa che dovrebbe poter capitare è che la conversazione non vada bene, non accettare l’idea che da un giorno all’altro una conversazione, magari anche interessante, cessi di esistere sul più bello per la mancanza di correttezza e la vigliaccheria gratuite. 
Il bello schema della comunicazione viene a distruggersi a causa di un’interruzione unilaterale, che cancella la risposta dopo la decodificazione del messaggio inviato (o ricevuto). L’interferenza di esseri soprannaturali ha bloccato ogni contatto e tutto si è perso nel nulla, senza possibilità di recupero.

     Continueremo la nostra carrellata di recensioni sulla dozzina del Premio Strega con un articolo di Angela Santomarco. Cara pace di Lisa Ginzburg è analizzato in maniera dettagliata, senza risparmiare critiche riguardo personaggi e numerose zone del testo. Angela sviscera la sostanza di un libro valido nelle premesse ma meno apprezzato nell’esecuzione.

     Esordisce per noi con un racconto breve inedito Michele Punturieri. Taxi Lisboa è un testo introspettivo, che segue le riflessioni di Jorge Alves, tassista quarantunenne della cittadina portoghese. La solitudine, i clienti, l’attesa e l’amarezza di una vita sofferente condensate in un numero ridotto di pagine, che ricorda in principio il capolavoro Taxi driver, per acquisire però un tono personale e vicino ai nostri tempi.

Leonardo Borvi per la redazione de L’Incendiario.

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