È fine maggio, caro lettore: gli ombrelloni stanno per essere aperti, i castelli di sabbia ricostruiti; le zanzare ronzano di notte, non ti fanno dormire. Il periodo estivo mi ricorda quella mia estate di dieci anni fa, particolarmente noiosa: le serate erano pura noia, e, con eccezione di qualche libro fantasy e qualche uscita sporadica, la notte era nulla, niente, uno zapping in televisione, cercando di trovare un qualcosa. In una di quelle serate presi un quaderno rimasto vuoto dall’anno scolastico, una matita e iniziai a disegnare, accompagnando i disegni con brevi periodi, mi fingevo poeta quando ero solamente mediocre. Dopo qualche giorno i disegni scomparvero, e i periodi diventarono storie, costruivo mondi, intrecci, magie. È quel semplice quaderno divenne il mio quaderno, da costudire gelosamente e che tutt’ora conservo come fosse una reliquia. Fu in quell’estate che iniziai a scrivere, che qualcuno mi mise la prima briciola di pane verso la strada di casa. Scoprii il potere che hanno un quaderno e una matita: insieme costituiscono una catena che ti permette di creare. E io creavo mondi, creavo arcano, quasi ispirandomi al famoso Paese delle Meraviglie o all’Isola che non c’è. Illuminato dalle mie letture fantasy, mi fingevo un nuovo creatore e tessevo la trama di nuovi universi con oggetti comuni. È l’attività creativa che tutt’ora mi attrae di questo lavoro: quel potere di essere determinante, di imprimere un’idea attraverso la parola, e renderla viva, quasi immortale, e non un soffio, un rumore che si disperde nell’aria. Mi faccio ancora avvolgere da quell’attività, quel flusso latente da cui traggo coraggio, e grazie a questo trasformo il mare nelle mie onde, in urti i miei pensieri.
Ho voluto sperimentare, caro lettore, ritornare quel bambino e creare un nuovo universo, in questo editoriale. Più che espandermi in nuovi universi, voglio comprimere il nostro, applicando giudizi umanistici a concetti scientifici; superato il mondo fantastico, mi rivolgo alla scienza, perché la trovo colma di evocazioni da cui uno scrittore può trarre nutrimento. E, per questo nuovo gioco, nel ricercare il motivo dell’esistenza del nostro universo, mi sono imbattuto nel bosone di Higgs, soprannominato dalla fisica divulgativa particella di Dio: quasi come un Dio che crea il mondo, senza non potremmo esistere. Fu teorizzato nel 1964 dal fisico britannico Peter Higgs, individuato nel 2012 dal CERN di Ginevra. Il bosone di Higgs, in sostanza, è un minuscolo frammento di materia, senza il quale tutte le particelle elementari dell’universo sarebbero prive di massa. La massa dei corpi è sorgente di forza gravitazionale, e senza di questa l’attrazione tra gli atomi, le molecole, le stelle, e i pianeti e gli esseri viventi non ci sarebbe; saremmo olive galleggianti in un contenitore pieno d’acqua, e non avremo modo di esistere. La particella di Dio è quindi la colla dell’universo, l’equilibrio, la struttura, grazie a questa e le altre diciassette particelle elementari che compongono la massa, noi esistiamo. Ciò che è massa nell’universo, il quattro per cento di questo, ha trovato una spiegazione; ne resta il novantasei percento, materia ed energia oscura, ancora oggetto di studio da parte di scienziati e fisici.
Mi sono lasciato ispirare da questa scoperta scientifica che ignoravo, e mi sono chiesto come utilizzarla, come applicare questa notizia tanto evocativa nell’evocazione di un nuovo universo letterario. Mi sono fermato sull’io quindi, ho trasportato il nostro universo all’essere umano, non avendo timore di associare un qualcosa di infinitamente grande a noi finitamente piccoli: in quanto corpi con massa che producono forze di attrazione, siamo composti di particella di Dio, bosoni elementari compongono il nostro mondo quantico. Dio è sempre stato con noi sulla terra, insito nella nostra materia in forma latente. Siamo sineddoche dell’intero universo, una parte per il tutto, in cui tutto ha uno stesso senso; siamo noi lo stesso universo, non c’è niente da creare, ma il nostro senso è spiegato solamente per il quattro per cento. Esistiamo per il quattro per cento, ciò che corrisponde alla massa, il resto è oscuro, il resto è ignoto.
Mi piace, davvero, pensarci così caro lettore, come se fossimo l’intero universo: un quattro per cento di massa, struttura, organismo, un novantasei per cento di ignoto, spirito, oscurità. Siamo il perfetto equilibrio tra il fisico e il metafisico, tra certezza e supposizione, tra massa e dubbio, tra corpo e spirito; se noi fossimo l’intero universo avremmo senso nell’insensato, nel quasi inspiegabile, nell’essere struttura e spirito, finiti e infiniti, e attraverso questo legame, che non risponde a troppi punti interrogativi, noi riusciamo comunque ad esistere. Molte cose non hanno spiegazione, forse l’io non ha davvero una spiegazione, ma non importa, perché noi esistiamo comunque.
Ti presento, caro lettore, quindi, i nostri autori della settimana, due scrittori che sanno trarre dai loro universi e sfruttare abilmente l’attività creativa: Lorenzo Valerio ci presenta il secondo capitolo di Dinamiche sul finis vitae, occupandosi in questo caso di un campo giurisprudenziale; Eleonora Bufoli presenta per noi la recensione di Borgo sud di Donatella di Pietrantonio, romanzo nella dozzina selezionata, continuando la nostra caccia al testo che vincerà il premio Strega.
Spero ti abbia invitato, caro lettore, a creare universi con la tua attività creatrice. Ti ho voluto suggerire, anche, che non è necessario andare lontano per crearli, perché noi siamo universo: siamo massa, siamo Dio, siamo incognita, spirito, oscurità.
https://lincendiario.com/tag/io-incendio/ di Antonello Costa per La redazione dell’Incendiario