Nuovo giorno, nuovo giro di polemiche. Sì, perché se non c’è una buona dose di polemica mensile, allora non ci sentiamo abbastanza vivi e a posto con la nostra coscienza di opinionisti. Ciò che manca, però, alla polemica è una grande quantità di riflessione: ecco perché si parla spesso di polemica sterile.
In ginocchio o no?
Gli Europei 2020 ci stanno regalando sorprese calcistiche interessanti, con squadre-cenerentola, come la Danimarca, che potrebbero fare lo sgambetto alle grandi favorite, decimate già agli ottavi di finale. Ciò che è evidente, e basta aver visto due o tre partite per averlo notato, è quanto accade un minuto prima del calcio d’inizio: squadre inginocchiate, squadre in piedi e squadre miste (anzi, una: quella dei nostri Azzurri in occasione della partita del girone A contro il Galles di Gareth Bale).
Qui scatta la polemica che per giorni ha riempito programmi e quotidiani sportivi: perché la Nazionale non si è inginocchiata in maniera unita?
Piccolo passo indietro. Il gesto di inginocchiarsi ha un significato simbolico importante, che consiste nell’appoggiare in maniera esplicita la protesta del movimento Black Lives Matter. La contestazione è nata all’incirca un anno fa dopo la celeberrima uccisione di George Floyd, uomo afroamericano soffocato da un agente di polizia con un ginocchio piantato sul collo. Tutto inizia in Premier League quando, proprio dopo la morte di Floyd, seguita e preceduta da innumerevoli altre che hanno generato avversione contro il sistema poliziesco statunitense, molti giocatori hanno cominciato ad inginocchiarsi alzando il pugno al cielo. Già in NBA era successo e per di più i Milwaukee Bucks avevano boicottato l’inizio di gara 5 dei playoff 2020 contro gli Orlando Magic. Subito il gesto si è diffuso fino a diventare virale. Gli sportivi, di colore e non, sentono ancora forte la disuguaglianza e la componente razzista che aleggia negli stadi, nei palazzetti, ma anche al di fuori di questi, quindi decidono di protestare a modo loro e in maniera più o meno omogenea.
Altro passo indietro: dove nasce questa pratica? Nella stagione di NFL 2016-2017, Colin Kaepernick si mise in ginocchio durante l’inno nazionale statunitense, protestando contro il cosiddetto racial profiling della polizia, lo stesso che ha portato alla morte di Floyd. L’atto mandò su tutte le furie l’ex Presidente Donald Trump, sostenitore dei metodi adottati dagli agenti; dopo tre anni l’inginocchiamento è tornato alla ribalta e, come anticipato, è diventato il leitmotiv dell’Europeo in corso.
Tutte le nazionali hanno preso la propria decisione a riguardo, optando per una linea comune per calciatori e staff tecnico in panchina. Tutte, ma c’è un’eccezione.
Stadio Olimpico di Roma, 20 giugno 2021, ore 21. Monetina lanciata dall’arbitro: palla o campo? Squadre schierate. I giocatori gallesi si inginocchiano prima dell’inizio della partita decisiva per il girone A. Cinque calciatori italiani fanno lo stesso anche se in ritardo, sei no. Perché? Non è dato sapere e forse non è fondamentale.
Il capitano Giorgio Chiellini (assente per quella partita) dichiara che per i turni seguenti gli Azzurri avrebbero imitato il comportamento degli avversari in campo, per rispetto della loro decisione e così è accaduto prima della vittoria contro il Belgio. Scenario pessimo. «Cercheremo di combattere il nazismo in un altro modo, con iniziative insieme alla Federazione nei prossimi mesi», dichiara. Ovviamente gli impietosi uomini senza errori che praticano giornalismo o attività simili non perdonano allo juventino la gaffe che ricorda il desiderio di Orietta Berti di cantare con i Naziskin. “Quali altre sono le forme?”, ci si domanda.
Il 29 giugno, per Rivista Undici, Francesco Gerardi pubblica un articolo intriso di riferimenti letterari e cinematografici, citazioni dirette e semicitazioni storiche declinate in forma ironica per distanziarsi dalle parole di Chiellini. La ricca analisi spazia su vari fronti, riportando opinioni di sportivi celebri nel mondo del calcio, anche se a tratti sembra una caccia alla strega, un’accusa verso chi non compie il gesto coperta dalla facciata “facciamolo tutti insieme o non facciamolo tutti insieme”. Al di là di ciò, il focus generale va su uno spunto di riflessione interessante: Gerardi mette in evidenza “l’opera buffa” che caratterizza i movimenti dei nostri connazionali rispetto al tema. Queste modalità, troppo spesso, sono ciò che caratterizza il nostro paese quando si tratta di affrontare temi importanti, non tanto perché risulti diviso, quanto perché appare sempre impreparato a trattarli in maniera appropriata. Lo scenario da tragicommedia lascerebbe l’amaro in bocca finale anche a Torquato Tasso.
Gerardi riporta le parole di Manuel Neuer, portiere e capitano della Germania, durante un’intervista per la testata giornalistica Kicker: «In Bundesliga e in nazionale non abbiamo questo tipo di manifestazione, ma ne parliamo». Ma ne parliamo. Ecco cosa è necessario: parlarne, discutere e approfondire il tema, che si condividano o no le forme. Più se ne parla e più si capisce che un gesto può avere un enorme valore, ma è la discussione, il dialogo e soprattutto l’esempio a fare la differenza e a penetrare con forza. I tedeschi, poco amanti della forma ma molto della sostanza in campo, a detta di Neuer, lo sono anche fuori. Se il portiere non avesse fatto questa dichiarazione, la nazionale di Loew sarebbe stata inclusa in questo vortice di polemiche? Chi lo sa.
D’altra parte, va riportata anche l’opinione di un gigante del calcio italiano: Carlo Ancelotti. L’allenatore appena ingaggiato dal Real Madrid si è espresso in maniera chiara e senza troppi orpelli: «Non è fondamentale inginocchiarsi per qualche secondo. Non si risolve la questione. Il tema vero è educare le nuove generazioni alla questione del razzismo che è ancora presente nelle nostre società», afferma in un’intervista per Il Giornale. Questo è forse il punto. Per quanto il significato dell’inginocchiamento sia senza dubbio condivisibile, è uno dei tanti modi per dare risalto al tema. L’educazione, lo stimolo a capire e a far capire, quindi a diffondere un messaggio, sono la base per la corretta penetrazione e messa in atto dello stesso. Con questo non si vuole negare che un gesto, considerando quanta diffusione può avere al giorno d’oggi, sia rilevante, ma se rimane fine a se stesso e non analizzato ha poco valore, per questo è corretto affermare che ci sono altri modi, magari meno palesi, per combattere il razzismo. Che poi per essere accusati di razzismo basta non convocare giocatori di colore in nazionale (basta chiedere agli amici francesi cosa pensano delle nostre convocazioni ariane).
Tra i numerosi articoli, tuttavia, non mi è parso di trovare quello che ritengo il vero valore che si cela dietro all’agire o al non agire in un determinato modo: il sentimento. Condanne sì e anche tante. Un gesto compiuto senza sentimento è ipocrita. Agire solo se lo fanno gli altri è penoso e di cattivo gusto. L’ipocrisia non risiede tanto nel messaggio che si trasmette – ancora una volta, assolutamente condivisibile – quanto piuttosto in quello che passa, perché non si crede in ciò che si fa o in quel metodo. Se tutti, potendo scegliere in maniera libera, mettono in pratica azioni importanti che non sentono proprie, ciò che si intende è che lo si fa tanto per fare e il “basta che venga fatto” non è sufficiente. Il messaggio è totalmente sbagliato, alla faccia dell’esempio da dare a chi sta a casa. Al di là della discussione sulle altre forme (educazione, esempio, dialogo e immersione diretta nelle problematiche altrui), si deve far capire che un gesto compiuto senza sentimento svaluta l’atto in sé, svuotandolo del suo significato e avvicinandolo piuttosto all’idea di moda. Se un gesto diventa moda, è la fine del suo scopo originario: la protesta, in questo caso.
Non inginocchiarsi non è una colpa, non è sinonimo di razzismo o menefreghismo, almeno non in tutti i casi, e non è nemmeno da liquidare con “non ci ha pensato”, magari, come Belotti e compagni, si tarda qualche istante in quel caso: è una scelta consapevole e sentita. Si può non condividere la forma, ma farlo con la sostanza, si può insegnare senza gesti plateali e in maniere che nemmeno immaginiamo. Non si può condannare un gruppo di ragazzi perché alcuni si inginocchiano e altri no, perché alcuni hanno maggior sentimento in tal senso e altri no, perché non lo fanno in maniera compatta. A possibilità di scelta corrispondono scelte individuali differenti, ed è giusto così.
Il razzismo si deve combattere come meglio si sente.
Esordisce per noi questa settimana Simone Sanseverinati, proponendoci una silloge di cinque poesie inedite ricche di immagini, metafore e similitudini accompagnate speso da un ritmo martellante e scaturito da abili allitterazioni. Un percorso vario attraverso sessualità, scoperta del sé e inversioni che si sublima in una materialità sempre deformata dalla percezione individuale.
Lorenzo Buonarosa continua la nostra serie di interviste alle librerie indipendenti. Questa volta ci siamo recati alla libreria Coreander, nata nel 2016 all’incrocio tra il Celio, l’Esquilino e San Giovanni. Una piccola realtà sorta dall’unione di tre volontà comuni: avere una propria libreria e gestirla come meglio si crede, attraverso iniziative intese ad includere i lettori il più possibile.