Ieri c’eravamo tutti su quel campo. Ieri, 11 luglio del 2021, sul campo di Wembley c’eravamo tutti quanti, a soffrire per 120’ minuti, ad assecondare le maledizioni verso il cielo di Jorginho a cui viene parato il rigore decisivo. C’eravamo tutti nel cuore e nella testa di Gigio Donnarumma che vola sul tiro di Saka, e lo butta a terra. Quasi non ci crede, non esulta, ha fatto l’impresa, l’Italia è campione d’Europa.
Per le strade, nelle piazze, file interminabili di macchine, tutti fermi nel gorgo di motori che borbottano e sembrano voler assecondare il canto di centinaia di migliaia di persone che ieri si sono sentite vicine ad una nazione a cui molto spesso non viene data la giusta fiducia. Si, perché ieri, dopo il rigore sbagliato di Belotti, già un po’ ci eravamo rassegnati: “ma si dai va così” “ci andiamo sempre vicino e poi perdiamo” “non bisogna sperarci mai”, eppure ce l’abbiamo fatta. Ieri i nostri eroi, gli eroi di Mancini, hanno portato a casa un incredibile vittoria dopo una serie di partire spalmate in un mese di gioie, di speranze, di timori, di chissà se: se vinciamo, se perdiamo, se se se. Gli eroi di Roberto Mancini, condottiero freddo e risoluto, hanno vinto per noi.
E questa vittoria arriva in un momento storico molto particolare: l’Italia vince dopo un anno e mezzo di sofferenze che continuano ancora oggi e Dio solo sa quando finiranno, ma ieri tutti i nostri pensieri sono volati via. È stata un’esperienza mistica, fuori da ogni tempo. Nella notte ci siamo dimenticati di tutto, ingoiati dal vortice di una vittoria che sa di epopea non scritta. Un poema che racconteremo ai nostri figli, ai nostri nipoti: racconteremo di un Italia che dopo mesi di dolori per il Covid, dopo una qualificazione ai Mondiali persa poco più di 3 anni fa, si è rialzata, e ha portato a casa una coppa che mancava da 53 anni. Racconteremo intorno al fuoco, in una fresca serata di fine estate, come se fosse una storia di genti e terre lontane, degli eroi scesi in campo l’11 luglio 2021.
Racconteremo di Federico Chiesa, che, come Enea, ha preso sulle spalle il padre Anchise, l’Italia intera, che stanca vacillava sotto i colpi degli spagnoli prima e degli inglesi poi. Racconteremo di Giorgio Chiellini, il nostro Aiace Telamonio, grande e forte che resiste agli attacchi di Kane e agli scatti di Sterling. Racconteremo di Lorenzo Insigne, il più piccolo degli italiani ma anche il più furbo nell’accarezzare il pallone e inventare passaggi calcolati, neanche fosse l’Ulisse dei giorni migliori. Racconteremo del nostro condottiero Mancini che stamattina ha fatto svegliare tutti noi col sorriso, portando a casa, a Roma, un trofeo impensabile e dispendioso; il nostro Agamennone, solo più umile, più preciso, più tecnico, che non si affida alle abilità dei singoli ma costruisce un’affinità di gruppo.
Nella nostra nazionale non c’è Achille, non ci sono i suoi affondi individuali, il suo carisma sopra le righe, la sua arroganza. Non c’è, semplicemente perché Achille è perito a Troia, infilzato da una freccia nell’unico suo punto debole. L’Italia invece ha vinto, ha infilzato, e non è morta.
Questa settimana presenteremo due testi, il primo di Marco Ferrucci è un racconto in prima persona che prende le mosse da un articolo di cronaca. Un pensionato settantenne che decide di togliersi la vita in una calda mattinata di agosto, quella dove tutti sono al mare. Chissà, forse anche lui, in quel momento, credeva di compiere un atto eroico, non per gli altri ma verso sé stesso. Non lo sapremo mai. Il secondo testo è invece il terzo capitolo del saggio di Lorenzo Valerio sul suicidio, di cui le prime due parti sono state già pubblicate per noi nelle settimane precedenti.
BUONA SETTIMANA!
Lorenzo Buonarosa per la Redazione dell’Incendiario.