Deontologia trasformista

Camila Giorgi ha vinto, domenica 15 agosto, il WTA Master 1000 di Montreal battendo in due set (6-3, 7-5) Karolina Pliskova n. 7 del seeding ed ex numero 1. La notizia, per appassionati e non, può suscitare un moto di gioia, un piccolo interessamento, dato che arriva a pochi giorni dalla stupenda incetta di medaglie dell’Italia Team alle Olimpiadi di Tokyo e dalla vittoria di Jannik Sinner sul cemento di Washington. 

 Ma la questione è un’altra: Camila Giorgia è una tennista di 29 anni che finalmente arriva alla conquista di un torneo importante dopo essere stata considerata per molti anni un astro nascente che, però, non ha mai brillato. Il suo gioco ha da sempre suscitato lunghe polemiche da parte dei giornalisti e dagli “esperti” del tennis: la Giorgi gioca sempre all’attacco, o chiude in breve tempo o è inutile che gioca, sempre avanti, sempre alla ricerca esasperata del punto. Questo gioco non le ha mai permesso di esprimersi con continuità: la sua carriera è sempre stata un saliscendi fra grandi prestazioni e deludenti sconfitte. Inoltre, e non ultimo, Sergio Giorgi, il padre, il suo allenatore. Un fumantino e non di poco, più volte si è reso protagonista di diatribe con arbitri, federazione, fisioterapisti e chiunque provasse ad entrare nei meccanismi atleta- figlia e padre -allenatore. Ad attirare ancor di più le polemiche la madre Claudia che crea gli abiti per i suoi tornei ed è il suo manager. Un clan chiuso che solo da poco si è aperto all’ingresso di qualche “straniero” che viene da fuori la porta di casa.  

Negli anni alla Giorgi, schiva e quasi distaccata al contrario del padre, le sono piovute addosso centinaia di critiche: è stato accusato il padre, la madre, la federazione che non ha saputo portare dalla sua parte un atleta così talentuosa fino ad aggredire la stessa atleta, accusata di essere una manipolata, circuita da un clan che non le da ossigeno e modo di esprimersi. Tutti esperti, tutti psicologi.  

Gli ultimi tempi non sono stati rosei, a gennaio la Giorgi aveva postato sul suo profilo Instagram delle foto in intimo e c’è chi, genio incompreso assumetelo come allenatore, ha deciso di commentare con queste belle parole, che sono anche le più carine: «Ormai dati i scarsi risultati in circuito e non essendo più una promessa, mi sembra giusto poter affermarsi nel campo della moda data la sua bellezza eccelsa.»; o ancora «E vabbè, è partita la stagione del tennis WTA ad Abu Dhabi, le altre azzurre sono là e tu te ne stai sul letto in intimo a far le foto, mi chiedo quanta voglia hai ancora di giocare a tennis visto che il tempo passa e i tuoi anni aumentano».  

Poi sono arrivati gli Internazionali d’Italia e li si è messa in moto la macchina mediatica del fango: il padre Sergio inizia a litigare dalla sua seggiola con l’arbitro, secondo lui reo di alcune chiamate discutibili. L’arbitro si mette paura del suo tono, peraltro senza ombra di minacce, e fa chiamare la sicurezza per allontanarlo. Subito dopo la partita uscirono articoli di pura psicologia clinica sui disagi mentali occorsi alla povera Camila sotto la gestione del padre, accusandolo di averla sfinita, di aver sprecato il talento della figlia e averla consegnata ormai, a 29 anni, ad una lenta discesa verso la pensione sportiva. 

Arrivano poi le olimpiadi, Camila batte in sequenza delle atlete molto quotate, almeno per quanto dice il ranking, ed esce ai quarti, quindi facendo bene i conti, esce da top eight del mondo. Vola a Montreal, inanella una sfrenata sequenza di vittorie, vince il torneo perdendo solo un set. I titoli dei giornali cambiano, tutti la amano, gli haters non ci sono più, nessuno critica più il suo gioco, il suo clan, la sua vita. Ora, ognuno di questi psicologi dello sport, atleti, allenatori cambia rotta e sale sul carro dei vincitori. 

Data la situazione storica che stiamo vivendo, non mi sorprendo più per gli scemi social, mi sorprendo più per i giornalisti, i professionisti del mestiere che dovrebbero fare informazione più che opinione, ma questa ormai è una moda che va avanti da tempo. Mi sorprendo ancor di più per il trasformismo senza ritegno con cui si può infangare una persona pochi mesi prima e scrivere altrettante cose belle oggi, dopo la vittoria.  

Lo stesso episodio mi fa ricordare il problema di Naomi Osaka al Roland Garros, accusata di non aver rispetto per il contratto e per i giornalisti dopo che aveva deciso di non partecipare alle conferenze stampa. La Osaka, quindi, fu costretta a fare “coming out” e dichiarare la sua depressione che magari voleva tenere per sé. Da quel momento uscirono un po’ dovunque dei sani messaggi di cordoglio per il suo problema con eccellenti articoli sulla dolente condizione degli atleti costretti a subire vagonate di pressione della competizione. 


Mi pare, però, un po’ strano che un atleta, come la Osaka, o la Giorgi (oggi numero 34 del mondo) subisca la pressione della competizione. Se come professione si è atleti, la competizione è scontata, agli atleti piace la competizione, mettersi in gioco, vincere, perdere, fa tutto parte dello sport.  Lo sport però è diventato spettacolo, i giornalisti raccontano questo spettacolo, esaltano le vittorie demonizzano le sconfitte, lo sport non è più competizione, diventa ossessione.  La stessa Osaka disse, dopo aver dichiarato la sua depressione, di non reggere le conferenze stampa, dove si è davanti a centinaia di giornalisti che ti fanno delle domande, ti provocano, cercano di suscitare la tua reazione. Credo che questa sia la pressione (con l’articolo) e non la competizione sportiva. 

Al netto dei miei giudizi resta solo la parte oggettiva, nessuno chiede scusa, non lo fanno i professionisti, i politici, perché dovremmo farlo noi? Questa la domanda, la risposta è impenetrabile, ma forse qualcuno sa già per noi la verità: è tutta colpa di Sergio Giorgi. 

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