L’autunno a noi
Promette primavera
A voi l’inverno.
(Macchine come me, p. 256)
Inghilterra 1982. Una sconfitta cocente offusca la patina lucente della Lady di ferro, ammaccata dalla perdita delle isole Falkland. Intramontabili inni all’amore cavalcano le onde del panorama musicale, sancendo la longevità e l’unione dei Beatles. Terremoti politici riducono in macerie la fiducia nei conservatori e spingono gli elettori tra le braccia del laburista Thony Benn, i cui piani di smantellare il binomio tagli-tasse vengono scompigliati dal terrorismo irlandese e dall’attentato in cui cade vittima. Questo stato di spaesamento e perdita di certezze, nipote dell’inettitudine primo novecentesca e padre della fluidità post-moderna, sbarca anche oltreoceano, ma viene governato da un redivivo Kennedy, sopravvissuto all’attentato di Dallas.
In questa rilettura alternativa del passato, Ian McEwan mescola vecchi ingredienti, dalle crisi politiche alle mire espansionistiche, con l’irruzione di un futuro che porta nei contraddittori anni Ottanta l’intelligenza artificiale. Le ricerche di Alan Turing si concretizzano in una ventina di robot dalle fattezze umane, chiamati ad integrarsi nella società e ad aiutare l’uomo. In un ritorno al futuro che sa di passato, per classificare gli androidi si fa ricorso alle categorie genesiache: vengono così creati gli Adamo e le Eva 2.0 e vengono messi sul mercato.
Il futuro è in vendita e questa offerta allettante spinge un appassionato di antropologia e di elettronica, Charlie Friend, ad investire il patrimonio della madre per acquistare un Adam. Trentenne dalla vita disordinata, insoddisfatto per la mancata prosecuzione degli studi, costantemente al verde per la scarsa capacità di interpretare il mercato azionario, Charlie è un inetto moderno, attanagliato nella morsa di progetti destinati a rimanere sulla carta, dal desiderio di cambiare vita, a quello di riprendere gli studi, dalla volontà di abbandonare il piccolo appartamento in cui è confinato, al sogno di una vita normale, adagiata su grigie sicurezze borghesi. Diametralmente opposta la fidanzata, Miranda, ventenne appassionata di storia, alle soglie di una carriera accademica, dedita al lavoro e corazzata dalle molteplici difficoltà che, dalla perdita della madre alla lunga malattia del padre, le hanno fatto varcare prima del tempo la soglia della maturità.
La coppia apre le porte di casa ad Adam, androide dall’aspetto umano, troppo umano, la cui artificialità viene tradita solo dalla presenza, sul torace, del cavo di alimentazione. Adam porta ordine, equilibrio, informazioni costantemente aggiornate, dedizione al lavoro, precisione. È un’enciclopedia su due gambe, un brillante conoscitore dei mercati azionari, un impeccabile governante della casa. L’opposto della volubile e disordinata umanità di Charlie e apparentemente vicino all’impenetrabilità tutta d’un pezzo di Miranda.
Eppure, questa macchina fredda, pedissequo esecutore di ordini e comandi, non è immune da un’inaspettata scintilla di umanità. Quest’ultima emerge nell’amore per Miranda e si spinge ben oltre i limiti invalicabile di un sentimento platonico. A scaldare i freddi sistemi della macchina anche la passione per la letteratura e la curiosità morbosa per il dramma umano indagato da Shakespeare e dai suoi personaggi universali, che porta l’androide alla composizione di haiku, sfornati con i ritmi serrati della catena fordiana tipica della mente artificiale, e tutti rivolti a Miranda, musa ispiratrice.
Tuttavia, questa patina lucida e perfetta è solo apparente e cela delle ammaccature che vengono svelate nel corso della storia. I contraddittori anni Ottanta rendono sempre più porosi i limiti tra opposti, tra perfezione e imperfezione, tra ricchezza e miseria, tra umanità e tecnologia. La fluidità caotica di questo mondo crea dei cortocircuiti nei sistemi perfetti delle intelligenze artificiali. Le variabili, le numerose possibilità aperte ad un uomo diventato artefice del proprio destino, figlio dell’umanistico homo faber fortunae suae, la ricchezza di un mondo plurale e le contraddizioni di un’umanità imperfetta e crudele, diventano insopportabili per le macchine: un salto vertiginoso nel vuoto per sistemi chiusi creati per risolvere problemi, per allinearsi in correlazioni binarie, e non per naufragare dolcemente nel mare magnum della realtà. L’umanità arriva ad intaccare un sistema perfetto e impenetrabile solo all’apparenza. Una realtà caotica, abbagliata dal caleidoscopio degli imprevisti e dilaniata dalle contraddizioni, conduce gli androidi in labirinti senza via d’uscita, spingendoli ad esiti imprevisti.
Adam, l’uomo del futuro, non riesce a sorreggere sulle proprie spalle il peso di un mondo che è troppo, anche per i propri serbatoi stracolmi di soluzioni e conoscenze. La scintilla di vita, racchiusa nello spazio vertiginoso che simultaneamente avvicina e divide le dita di Dio e quelle del primo uomo, viene bruscamente spenta in un gesto estremo compiuto proprio dopo aver conosciuto un’umanità crudele, arrogante, bugiarda, egoista. Un’umanità che, a cominciare da Charlie, sfrutta economicamente le abilità di Adam per crogiolarsi nel dolce far niente, un’umanità che nell’apparente perfezione di Miranda porta la bugia persino nel tempio della giustizia e imbrogliando la Corte ottiene giustizia con l’inganno. Un’umanità esuberante e disordinata, che impara sperimentando e sbagliando, come quella del piccolo Mark, bambino a cui la vita sembra dare una seconda possibilità, per risarcirlo di una sofferenza immeritata. Troppe variabili, troppo disordine, troppe storie dai molteplici finali, troppo per Adam che arriva a prendere delle decisioni in autonomia, per ristabilire ordine e giustizia. L’applicazione alla lettera del criterio della verità porta a cortocircuiti drammatici e a conseguenze importanti per gli attori di un gioco delle parti che coinvolge perfezione e imperfezione, tecnologia e umanità.
McEwan porta in scena l’incontro-scontro tra l’uomo e il suo alter ego perfetto e crea un dramma in cui tutti vengono coinvolti. L’autore porta alle estreme conseguenze i desideri di un’umanità che vuole avvicinarsi a Dio, che si arroga il diritto di creare l’uomo a sua immagine e somiglianza, e ne mostra le paure più recondite, a cominciare dal pericolo di una creazione che sfugge al controllo del suo stesso creatore e porta alla distruzione già messa in scena dall’agghiacciante immaginazione di Mary Shelley. Questa narrazione gioca con gli interrogativi atavici dell’uomo, porta in scena il bisogno di perfezionamento, la potenza di un’umanità capace di creare e di distruggere, i confini a cui può spingersi la signoria di un’intelligenza artificiale nata dalle parti più brillanti della mente umana ma pronta a sfuggire al suo controllo, come un indisciplinato Pinocchio di fronte ad un impotente Geppetto.
Il romanzo è un viaggio verso lidi quasi toccati dal veliero del futuro e abitati da una tecnologia chiamata ad un superamento costante dei propri limiti, ma è anche un monito a non dimenticare l’origine umana, troppo umana delle macchine e l’insostituibilità dell’uomo, con l’auspicio che il futuro possa appartenere a tutti, evitando che l’inverno, come ricordato dalle ultime parole di Adam, possa gelare un’umanità ormai inutile, e che il torpore di una rinascita primaverile scaldi solo le macchine.
Eleonora Bufoli