A G.P.
Limitare
Su me non cada pioggia di dolori
Né di lamenti, che i miei illustri avi
Rese già lieti d’anelare allori.
Coi loro fili tesso questo volto
Che mi dipinge in petto ogni altro affanno
E in questo canto vado sospirando
Le colpe che s’intrecciano al telaio.
Solo di pianto è piena la mia mente
E di rimorso quella fonte muta
Dove meschina questa voce ha morte.
Così cantando spargo fra le valli
I miei sospiri e lascio a questo vento
Un pentimento che pregando pecca;
ed io mi perdo nella mia sorgente
e mi rammenta il mio destino il viso:
nacqui poeta e tornerò Narciso.
Con variatio su: https://losbuffo.com/2016/03/25/limitare-dun-velo-dacqua/
La pellegrina
Las silenciosas letras de mi nombre,
viajero, leeràs en el reflejo
en que se volverà mi oscuro canto
cuando seré dichoso, cuando el tiempo
serà piadoso en olvidar mi sombra.
Pourtant l’âme brûle encore dans l’ombre
Ce soir et coule et rêve au son d’un nom
Que la mémoire éfface et que le temps
Oublie, et qui priant du fond d’une glace
Remonte mêlé à cet honteux chant:
“Viandante che indulgi a questo canto,
È dolce ed è lussuria pianger l’ombra
Della Croce riflessa nello specchio
Di sangue dalla brama. Senza nome
Spiri irredenta una voce nel tempo”.
Assim o meu viajar serà sem tempo,
A viagem na tua voz e na canção
Que o meu castigo deixarà sem nome:
arde o desejo ao represar a sombra,
arde uma cara na falta do espelho.
Ar lo desirs soven me del miralh,
Soven me la folor, l’amour, lo temps
Lanquan fo doutz gaitar ma fera ombra.
Ieu chantarai son bel fallir e chante
Lo joi de perdre e d’oblidar mon nom.
Dai Monti della Duchessa
Era la nostra estate. Immensa
S’intuiva dalla piana. Punta Trento,
alle tue spalle, era già altrove; forse
dove ancora non gravava minaccia
alcuna, dove solo premoniva
qualche segno…
Oblio dell’ombra
I viaggi la morte
Con l’ultima sua perla in veste ambrata
O circonfusa d’ombra d’amaranto
Il fulgido diffuso manto d’oro
Il suo declino spande
E l’estremo vermiglio
Sfuma d’indaco dolce il suo commiato.
E si volge in perso
L’immensità d’Oriente, e l’oltremare
Dissolve l’imbrunire all’orizzonte,
alle soglie del Vespro, e intanto cresce
la notte e come in un lungo sospiro
attende il primo pallido candore,
e per inargentare le sue spoglie
solenne la luna avanza.
Taceva un tempo ovunque la campagna
Nelle ore di soffusa madreperla
E il mondo nel silenzio rivelava
Al poeta il segreto del suo passo;
e pur ancora a volte mi sovviene,
fra lampi di ricordo, il senso opaco
d’una quiete assente in questa mia notte;
e mentre il rammentare mi dissolve
il ritmo incessante della via
si posa nella mente mia un’altra
luna e s’ode dolcemente di lontano
levarsi la vertigine d’un canto
che mi perde nel viluppo del tuo gorgo:
«Sono notturni i segreti sfilati
dalla collana che l’amore ti fece
e come perle o promesse d’amante
lasciasti cadere sulle mie labbra».
Ma il primo albore brucia
Lo stampo arrugginito sopra ai tetti
Delle banderuole antiche, e riemergo
A questo tempo: un giro di volante
D’autocarro frastorna il dipanarsi
Della memoria; e come un nastro impazzito
Riavvolge un infinito annullamento.
Verso l’esilio
Diffuso nella polvere del vespro
straziava lancinando la bassora
un richiamo irrequieto di sirena:
sagrati ferruginei tra lesene
Di cerasa nel languido crepuscolo
Italiano.
Da un impianto dismesso
E interminate moli all’orizzonte
Le ombre si spandevano alle rive.
Un barlume di schermo, al rincasare,
Mandava una squillante litania
Di notizia alla tenebra dei vani.
E levandosi una voce di conforto
Offese condolendo il senso atro
Del dolore:
«Morandi…»
E mai non fu più corso
dalla luce
e dal greto impalcato
lo spacco
nel silenzio
e compresso
nel silenzio
sfacelo
e presagi
da latenza ominosa
e strallo
e strada
e gorgo di travolti.
Ancora dai Monti della Duchessa
Febbraio ‘20
Così non oggi. Oggi
La minaccia ristagna fra quei massi.
È tardi per il gelo
e la speranza
Non spira più costante dalla piana:
Oggi non torna ai nostri greppi. Sola
Una bruma diffusa mi confonde
Lo strazio delle valli:
sempre più tardi
arrivo a immaginarti,
e lontano, sempre più lontano.
***
Estate ‘20
Eppure non è affanno in questa valle
E non è quiete: la gioia
Esplode dal riverbero di biacca
Delle vette lanciate nell’azzurro.
La Giullaresca
Rallegra le tristezze altrui il Bagatto,
Come pur vi promette la malia
Del lagrimoso figlio di Talìa.
E voi fuggite la malinconia,
fuggite l’uggia e il tedio, miei compagni,
trovatevi in brigata d’allegria,
andate lieti in villa, animi magni,
mutate in vini e in cortesie i guadagni;
e persi nell’incedere d’un gatto,
cullatevi, faceti e senza impaccio,
nel caldo grembo di mamma Boccaccio!
Allora giungerà come un dispaccio
Del Principe Galeotto un canto a ballo,
Che sciolga i convitati d’ogni laccio,
E faccia una corona di corallo
D’ogni sorriso ebbro, e di cristallo.
Come un giullare, poi, di fianco al Matto,
trarrà la danza in trionfo barocco
L’audace ingegno del primo tarocco.
Farà l’incanto il Mago in un sol tocco
E ognuno avrà buon tempo di piacere
A stanar le beghine dall’arrocco;
e di poi, goda almeno mille sere,
o duri quanto dura un mio bicchiere!
Ma è l’ora del congedo, da contratto,
ché mi spinge alla volta dei gonnelli
l’aitante ascendente dei Gemelli.
Venne alla porta, ora son pochi giorni
Venne alla porta, ora son pochi giorni,
un creditore ad esigere il costo
delle speranze impegnate col mosto
dei miei vent’anni. Gli antichi risparmi
di fantasie più non valgono a darmi
utile pegno per la mia stagione.
La vecchia età di gratuita illusione
Senza guadagno è sperare che torni.
Quel po’ di corso del conio d’affetti
Non vale al cambio un rame di vantaggio;
anche l’amore, con tutti i rispetti,
m’è soggetto a manovre d’aggiotaggio.
Perciò è un lusso il verso di chiusura:
di quanto t’amo si taccia la misura.
L’Ammazzaeruditi
Fatti, misfatti, caprioli, cerbiatti,
galline, faine, fagiani, croissant
alla crema che mi mangio a Le Mans,
brindando ai peli caduti dei gatti
del numero zero di via dei Matti;
matto è chi sceglie di rimare in –an
ma le rime non ha e frigna: “Maman!
Mi aiuti a finire i versi non fatti?”.
“Matto è il verso con accento di quinta!”.
“Lo so, embè? Mica mi pare più giusto
il resto del sonetto”. “C’entra il gusto
con ciò che dici: la disputa è finta”.
“Ma è giusto il gusto di aver fra le mani
versi un po’ tocchi in metri shakespeariani?”.
Con variatio su: https://losbuffo.com/2016/09/09/lammazzaeruditi/
Il riso del Gaudente
“Qui se pare chi è fijjo de bona mamma”
Anonimo romano, Cronica
Se mai parrà che seppi dire in versi, in metro audace o senza alte pretese,
in vesti di zendado o lana inglese; se mai raccoglierò spiccioli persi
in strada, in rete, o, gloria! fra i riemersi dai lidi dopo feste lunghe un mese;
se mai saprò rientrare delle spese, farò debiti coi vini più diversi.
Diversamente sarò soddisfatto solo della conquista dell’annoso
Trofeo che sogno già nel mio ritrovo; e gongolando fra il Napoli e il Gatto,
li loderò, a campionato chiuso, e quel cantar si chiamerà Stilnovo.
di Edoardo Panei