Sui diversi media nazionali impazzano le immagini degli scontri di Roma tra no-vax e forze dell’ordine, culminati nell’assalto della compagine di estrema destra della sede della Cgil. Si tratta di immagini forti, che portano seco una notevole carica simbolica, per alcuni degli opinionisti del web assimilabili agli eventi di Capitol Hill dello scorso gennaio. Sicuramente, si fa riferimento a un atto di negazione, che in un certo qual modo, va a intercettare una sorta di celebrazione nostalgica di un qualcosa che, almeno nell’immaginario comune era relegato a uno spazio storico ormai vecchio, ritenuto superato e combattuto, seppur spesso troppo superficialmente, nella retorica del “non ripetere gli stessi errori”. Uno sguardo alla stampa nazionale mette in evidenza le varie opinioni contrastanti, ricalcando un po’ quelle che sono le tendenze di interpretazione maggiori presenti nel nostro Paese: alcuni parlano di attacchi di neo-fascisti, altri tendono a sminuire la cosa, con titoli che, ancora una volta, vanno a caccia di colpevoli. A fare da eco a questa diversificazione interpretativa, i vari interventi dei leader di partito, da Letta (PD) che invoca lo scioglimento di Forza Nuova, i cui esponenti erano parte attiva dell’assalto alla sede dello storico sindacato, a Meloni e Salvini che condannano la violenza, ma difendono entrambi la “libertà di manifestazione”. Il dibattito tra gli attivisti è abbastanza diviso, tra persone che gioiscono dell’attacco alla Cgil, la cui attività, specie nel frangente pandemico, è ritenuta (anche a buona ragione!) inadeguata, e altri che invece condannano ogni forma di violenza, non nascondendo una certa preoccupazione per l’azione di stampo fascista che si è consumata in Corso Italia.
Resta l’ambivalenza, la doppiezza, ormai normalizzata, degli esponenti del centro destra italiano, che si esplicita mediante parole che da una parte condannano, ma dall’altra giustificano l’accaduto, il che consente loro di salvare, in parte, le apparenze democratiche, ma che, di fatto, sta progressivamente palesando le reali linee politiche di pensiero che animano le rispettive narrazioni partitiche. Tutto ciò, se analizzato alla luce delle recenti elezioni amministrative del 3 e 4 ottobre, restituisce ancora la visione generale di un popolo che politicamente si polarizza, celando sempre di meno la tendenza a una narrazione di estrema destra, dimostrata dalla crescita spropositata di Fratelli d’Italia. Inoltre, anche al vaglio della recente inchiesta di Fanpage.it, ormai viene alla luce l’innegabile realtà che nella base elettorale del partito di maggioranza del nostro Paese (fonte: sondaggio dell’8 ottobre 2021 di Supermedia Youtrend) esiste una forte e convinta compagine di estrema destra, a tratti veri e propri nostalgici del fascismo. Ecco, dunque, che gli eventi di Roma acquisiscono un valore ancora più simbolico. Landini, segretario della Cgil, discute, in queste ore, di attacco alla democrazia. Per me si tratta di un qualcosa di già visto, normalizzato, il che rende il tutto ancora più preoccupante. Il fascismo non ha bisogno di presentazioni, pertanto non è necessario ripercorrere i suoi modus operandi, facendone ancora più retorica di quanto già non si faccia. È necessario, però, ricordare che l’esercizio della violenza da parte di esponenti di estrema destra sta sdoganando progressivamente il valore folkloristico che, sino a pochi anni fa, ricopriva nella narrazione complessiva politica. Complice di questa progressiva conquista di legittimazione, sicuramente sono l’indifferenza e lo sminuimento da parte di tutti gli altri. Un’operazione che si è consumata proprio nella tendenza, negli ultimi dieci anni, nella fattispecie dall’ingresso del Movimento 5 Stelle nello scenario della politica nazionale, a negare il binarismo destra-sinistra. Ciò costituisce un’opera di semplificazione che, tuttavia, carica di significato la narrazione individualistica a spere, banalmente, anche della collettività partitica. Se ciò è letto in continuità con la trasversalità di certe narrazioni politiche, ecco che la polarizzazione diventa inevitabile, restituendo linfa a ideologie ritenute superate.
Ecco che il fascismo, nella sua declinazione più violenta e anti-istituzionale ritorna, prendendo d’assalto una sede simbolica (solo simbolica) della democrazia italiana, che in questo senso diventa immagine dell’anti-fascismo italiano. Complice la timidezza della compagine politica, manifestatasi nella tolleranza di atti come quello di Roma, troppo spesso interpretati come atti di disubbidienza civile. Ma si è in un quadro che supera la teoria arendtiana della parziale negazione del sistema che afferma la sua interezza. Qui si è andato oltre, in una narrazione che intercetta di nuovo la storicità che vede protagonista un popolo stanco e confuso, che viene da due anni di bombardamento mediatico sulla pericolosità di un virus, prima, di un vaccino, poi. Sicuramente la politicizzazione di ogni decisione che riguardasse il Covid-2019 non ha aiutato la situazione generale, ma adesso si è in una condizione nella quale non è più possibile respingere una forma di manifestazione violenta. Una negazione orizzontale, che trascende il puro argomento sanitario, divenendo, ancora una volta dominio politico e, dunque, territorio di scontro. È curioso, a questo punto, andare a vedere chi sono i protagonisti di questo scontro, con una sinistra istituzionalizzata, quantomai più lontana e sconnessa dalla realtà, incarnata dal PD, e una destra che avanza nella sua forma più reazionaria e nazionalista, intercettando l’orizzontalità, in uno scenario che rovescia definitivamente la definizione data dal binarismo tradizionale. Esemplare di ciò l’iniziativa di Santori, leader delle Sardine, che in piena campagna elettorale per le comunali a Bologna, ha lanciato per il 25 settembre 2021 l’iniziativa del “Nascondino in centro”, contemporaneamente al comizio di Meloni, che invece discuteva di lavoro e no-green pass. Eventi che, in un primo momento, non possono che suscitare il sorriso, che tuttavia lascia progressivamente spazio alla rabbia, dal momento che si palesa come un ulteriore sminuimento di un movimento politico che ha una tradizione tematica ben diversa, in una rinnovata ironia pirandelliana, di cui, tuttavia, non resta un dramma critico, ma solo ira reazionaria, da parte di coloro che davvero hanno, almeno per un bel pezzo della loro vita, creduto in determinate idee.
Lo smarrimento è sintomo di crisi, lo smascheramento è necessario; l’ammissione delle colpe è tanto inevitabile quanto superflua. Lo spirito fascista italiano è palese, nella sua forma 2.0, al di là della semplicistica associazione fascismo-antisemitismo, superando anche la visione pregiudiziale che il Ventennio porta con sé. Sdoganandosi dal folklore, ecco che la narrazione di estrema destra si manifesta di nuovo, nell’esercizio della violenza come forma di legittimazione e auto-legittimazione. A nulla serve la retorica proveniente dai leader politici, che giustamente si sentono minacciati da questa avanzata. Dunque, c’è ancora il simbolico, che rimanda alla narrazione ancestrale del totem, da intendersi come un oggetto che incarna l’identità, nel senso di Zižek, ovvero come sub-cultura. Ciò restituisce l’immagine di un popolo italiano che non è fascista nel senso più stretto del termine, ma che si lascia trasportare dalla tendenza dei tempi, tollerando in nome del quieto vivere finché non si può più tornare indietro. Certo il parallelismo con quanto accadeva cento anni fa è evidente e, in un certo qual modo, diventa significativo, specie al vaglio della storia politica dell’ultimo secolo nel nostro Paese.
Ammettendo che l’opposizione al nostro governo non è mai stata davvero un’opposizione, ecco che ci palesiamo come uno Stato di centro-destra, dove partiti filo-bancari come il PD sono presentati come sinistra; la polarizzazione inevitabile dopo un momento di crisi come quello in cui stiamo vivendo, non può non tendere all’estremismo, pertanto, in assenza di una vera narrazione alternativa, ormai relegata in gruppi autocelebrativi su Facebook, ecco che si diffonde di nuovo il potere dell’affermazione violenta: ecco che ritorna il fascismo. Se tutto ciò è letto in continuità con l’opera di screditamento della cultura, divenuta mainstream con l’ideologia pentastellata e affermatasi definitivamente nel mercato del lavoro, la possibilità di un contrasto serio viene meno. A questo punto, persino il rilancio della politica delle piccole cose diventa superfluo, innestando un’esigenza di contrasto ormai non più estinguibile nel puro e democratico dialogo. Il voler professare la non violenza diventa un ostacolo per sé stessi, verso la strada per l’autoaffermazione, pur consci che si starebbe combattendo non per una visione generale, bensì per evitare che qualcun altro vada ad innestarsi in luoghi di rappresentanza significativi a livello politico.
Dunque si palesa una contraddizione significativa, probabilmente la più decisiva nell’ottica interpretativa della storia contemporanea italiana: si vuole combattere una narrazione senza una contro-narrazione. Ciò produce una disfunzionalità di base, che falsa in principio qualsiasi forma di scontro. A questo punto, serve davvero a poco l’autoanalisi e l’autocolpevolizzazione, perché di responsabili ce ne sono e sono già stati giudicati dalla storia, da intendersi qui come la massa votante che, per l’appunto, premia le destre. Non resta che compiere una scelta significativa, facendosi carico del fardello derridiano della responsabilità che ne consegue. Si potrebbe attendere l’implosione dei movimenti fascisti e negazionisti per vie giuridiche (analogamente per quanto accaduto in precedenza per realtà come M5s e Lega), oppure rispondere alla violenza con la violenza, ripristinando scenari di guerriglia urbana.
Una terza opzione, mi viene da aggiungere, cercando di preservare un gusto autoironico dal sapore pirandelliano, vale a dire il seguire l’esempio di Felice C., celebre personaggio del teatro di Salemme [Lo strano caso di Felice C., Italia 1996], e “richiedere la pensione di invalidità civile perché è fallito il comunismo”. Perché per chi, come me, non vuole scendere a compromessi con la coscienza e rimanere nella ferma posizione del no alla violenza, non resta che l’ironia, nel gusto che si legge nelle scritte sui muri a Bologna, augurandoci, come recita una di queste, che “chi vuole morire per la Patria, faccia in fretta”.
Bologna, 10.10.21
Lorenzo Valerio