Per celebrare il primo anno de L’Incendiario, abbiamo rivolto questa domanda ad alcuni scrittori che con generosità hanno dedicato il loro tempo e la loro esperienza unica alla nostra piccola e preziosa creatura letteraria, regalando ai lettori le lenti per guardare la realtà da un punto di vista inedito.
Domanda semplice, diretta, che coglie di sorpresa e lascia spiazzati, eppure necessaria, proprio per aprire una porta sugli universi rigogliosi di queste scrittrici e scrittori che continuano a credere nella letteratura, ad amarla e ad alimentarla, a nutrirsi della linfa di questa ospite particolare e indesiderata. Sì, perché la letteratura è un’invitata ingombrante; se ne sta lì in un angolo attorniata da migliaia di mostri sacri che ci rammentano il potere incredibile che possono avere il pensiero e la plasmazione della sua essenza, la parola.
La letteratura sta in disparte, non sembra partecipare alla conversazione, è tagliata fuori dalla logica dell’utile ad ogni costo, del guadagno immediato, degli effetti tangibili e palpabili su una realtà che cavalca sempre di più l’onda del successo facile, visibile, dimostrabile, e della felicità racchiusa in valigette da manager, economisti, banchieri e di immancabili ingegneri, strada sicura per il successo.
Parliamoci chiaro, la letteratura non è di questo mondo, o forse è l’unica a cui dovremmo dare diritto di cittadinanza. Essa è un portale: parte dalla realtà per catapultare il lettore, nel giro di valzer ballato da una manciata di pagine, in mondi impensabili, in atmosfere totalmente svincolate dall’asfissiante dimensione spazio-temporale. La letteratura è democratica, accoglie tutti, permette ad ognuno di oltrepassare il portale, basta solo lasciarsi guidare dal canto di questa sirena che uccide l’esistenza monolitica, e allo stesso tempo dona la possibilità di vivere molteplici vite. La letteratura, secondo lo scrittore israeliano Etgar Keret, è un animale selvatico, destinato a vagabondare e ad imbattersi in chiunque desideri incontrarlo, e l’unica via di salvezza è non opporre ad esso resistenza, ma lasciarsi sbranare proprio per fuoriuscire dalla propria dimensione ed entrare in mondi altri, inediti, nuovi, inimmaginabili.
La letteratura ha anche la capacità di appellarsi al singolo: bisbiglia nell’orecchio del neofita che, pronto all’iniziazione, si staccherà improvvisamente da una realtà che non lo appaga, che prosciuga tutta la sua linfa vitale, disperde il colore generate dalle poche sacche di entusiasmo e creatività, appiattisce e isterilisce. La letteratura offre un senso proprio a chi non vuole o non sa più riconoscersi in un recinto bidimensionale e contingente, imbrigliato nell’ottica umana troppo umana dell’utile, del profitto, della presunta felicità facilmente raggiungibile con formule e formulette che promettono a tutti il raggiungimento di un presunto successo. Basta allinearsi, vivere rispettando il canovaccio scritto e preteso da altri, fare ciò che ci si aspetta.
E forse il fascino di questa invitata così particolare, mastodontica e solitaria, fuori luogo e distaccata, è proprio la carica eversiva che continua a sprigionare. La letteratura assieme ai suoi prodi destrieri – i libri – fanno paura perché riescono a parlare alla massa come al singolo; mantengono, a differenza della grigia realtà, le promesse e anzi si spingono oltre, regalando all’impavido lettore che si è incamminato in questo sentiero sterrato la possibilità di fuoriuscire da sé, vestire i panni di un altro: un viaggio all’insegna della conoscenza. Essa ci insegna che non impareremo mai a conoscerci fino in fondo: nel cuore di ognuno alberga un segreto, uno scrigno di cui l’altro non potrà mai appropriarsi, una fonte inesauribile di scoperte e sorprese.
La parola e il pensiero di un altro ci hanno liberati dall’illusione asfissiante che sia tutto qui, che la realtà possa esaurire la ricerca di un senso che, al contrario, non dovrà mai accontentarsi di idoli e pallide copie dateci da questa dimensione ma tendere all’infinito, eccedere, rompere limiti. Questo è a mio avviso il potere della letteratura.
Questa essenza emerge anche nelle risposte dei nostri scrittori, chiamati a raccolta per aiutarci a plasmare un’entità così proteiforme e sfuggevole.
Le prime mani che corrono in aiuto e si uniscono alle nostre per dar forme a questa presenza-assenza sono quelle di Nadia Terranova. La letteratura è per l’autrice di Addio fantasmi un portale che ci permette di rimanere in contatto con chi non c’è più, con chi vuole staccarsi da questo mondo, con chi non si sente soddisfatto e appagato e si rifugia nella ricchezza di altre dimensioni: i “sopravvissuti” che nonostante tutto si rifugiano nel sollievo che solo un libro può dare. La letteratura è un andirivieni, stacca e unisce, proprio come lo stretto che separa la Sicilia, terra d’origine della nostra scrittrice, dal resto d’Italia. La letteratura ci rende orfani e cittadini, ci sradica da un’appartenenza tutta contingente, per regalarci altri mille passaporti. È liminare proprio come Messina, città di Nadia Terranova. La letteratura, così simile sia alle radici che allo slancio che fa allontanare da esse, diventa sinonimo stesso di vita:
“Diceva Carla Lonzi “Scrivere è un gesto all’altezza della mia essenza. Non l’ho mai voluto ammettere perché temevo che sarebbe stato come confessare che vivere non lo è altrettanto” (Scacco ragionato). Per me la letteratura è l’essenza della vita. Non potrei rinunciare ad una buona lettura, alla scoperta di un libro che mi capovolge. Non potrei rinunciare a ciò che mi tiene viva e mi fa scoprire mondi nuovi ogni giorno.”
Nadia Terranova
Altre mani si uniscono per aiutarci a plasmare la letteratura e sono quelle di un’altra grande scrittrice, Donatella Di Pietrantonio, entrata con il suo Borgo sud nella cinquina dell’ultima edizione del Premio Strega. Il suo portale catapulta il lettore nella terra d’origine, l’Abruzzo, regione ricca di affascinanti contraddizioni, dai tratti spigolosi di un entroterra che custodisce gelosamente le tradizioni ataviche alla calda brezza marina che proviene da una costa gioiosa, rumorosa, accogliente. Ed ecco che la letteratura si nutre di queste contraddizioni, si insinua tra le crepe dei palazzi rovinati dalla salsedine come tra le ferite delle protagoniste del romanzo. Ma allo stesso tempo offre una via di fuga alla scrittrice e, di riflesso, al lettore: la letteratura sradica per radicare, svincola per appartenere:
“La letteratura, il mezzo di trasporto per andarmene dal luogo di nascita portandolo con me.”
Donatella di Pietrantonio
Portale, treno, ma anche specchio che porta allo scoperto i mostri che pensavamo di celare e quelli che gli altri vorrebbero nasconderci. Questa è la letteratura per Licia Troisi, regina italiana del genere che più di tutti regala voli pindarici nell’orbita dell’immaginazione: il fantasy. La letteratura scortica, scava, leva la patina di una perfezione superficiale e mostra la vera essenza di noi stessi e della realtà. Il vaso di pandora viene scoperchiato e l’illusione di una tranquillità tutta apparente viene travolta dal potere della parola, della scrittura, di un pensiero lasciato a briglia sciolta, libero, eversivo:
“Difficile per me dire cosa sia la letteratura; più facile dire cosa fa. Credo che debba scavare nell’esperienza umana, e mostrarci tutto ciò che ci spaventa e vorremmo tenere nascosto. Soprattutto, deve mostrarci l’altra faccia della medaglia quando il potere ci racconta un’unica versione della storia.”
Licia Troisi
Proprio la libertà della letteratura la rende eterna. Questa la visione di Pino Imperatore, scrittore camaleontico, che spazia dalle atmosfere poliziesche a quelle umoristiche, fino ai palcoscenici teatrali. La sua è l’attività di un artigiano: i romanzi diventano botteghe in cui sperimentare senza limiti, toccare lidi inediti, trattare tematiche importanti come la camorra e condirle con l’immancabile ingrediente dell’umorismo. Per immergersi e cercare di sbrogliare il groviglio della realtà si appropria del genere del giallo: i suoi personaggi calcano il palcoscenico di una Napoli colorata, rumorosa, scissa tra il calore dei cittadini e le ombre della malavita, e diventano specchio delle contraddittorietà tutte contemporanee. La letteratura si trasforma così nella lente attraverso cui scandagliare una realtà complessa e nella bussola che ci fa orientare nel labirinto:
“La letteratura è vita. È tutta la mia vita. È parola che si fa materia. È incanto, gioia, sogno. È emozione e riflessione, è riso e pianto, allegria e brivido. La letteratura dà conforto e sostegno, è un elisir per la mente e per il cuore. Ci insegna a essere migliori e a combattere i mali del mondo. La letteratura è un universo che non ha un inizio e non avrà mai una fine.”
Pino Imperatore
La letteratura scava e plasma, crea e distrugge identità, leva il superficiale e fa arrivare all’essenziale. Anche per Michele Catozzi, autore di grandi successi come Muro di nebbia, la letteratura opera proprio come lo scultore michelangiolesco, leva, elimina, distrugge per liberare, dona bellezza e sollievo. La letteratura regala lenti per guardare la realtà in maniera nitida e ogni volta ha il potere di mostrare nuovi scorci mai notati prima, proprio come gli angoli bellissimi e nascosti che appaiono all’improvviso aggirandosi per le viuzze di Venezia. La letteratura è come questa città: unica, fragile, da proteggere, labirintica, magica, piena di superfici su cui rispecchiarsi, su cui riflettere immagini altrui per riflettere su se stessi. E la narrativa, per Catozzi, ha proprio questa valenza demiurgica:
“Confesso che, alla domanda “che cos’è, per te, la letteratura?”, un riflesso pavloviano mi ha fatto scoppiare in una risata fragorosa. Un momento: non vorrei sembrare irriverente, per cui mi spiego meglio. Qualche anno fa, in occasione dell’uscita di un mio romanzo su Italia Noir di Repubblica, un video operatore venne da me per intervistarmi (la mia prima volta). La domanda che dava il la era: “Che cos’è, per te, il noir?”. A parte il fatto che io scrivo gialli, e non è la stessa cosa, mi misi comunque d’impegno, provando e riprovando l’attacco fino allo sfinimento, ripetendo, con voce impostata e seriosa, la domanda: “Che cos’è, per me, il noir?”. La faccio breve: a prescindere dal risultato, ampiamente opinabile, diventai lo zimbello dei miei figli che ancora oggi, non appena echeggia, ovunque, una frase del tipo “Che cos’è, per te…” partono con il coretto “…il noir!”. Cose che ti segnano per sempre. Bene, mi rendo conto che tutto questo divagare potrebbe sembrare una scusa per sottrarmi a una domanda difficilissima. Non è vero. Cioè la domanda lo è sul serio, difficile, ma… Vabbe’, ci provo. Da romanziere, mi sentirei però più a mio agio restringendo il campo al sottoinsieme della narrativa. La narrativa dunque è, per me, costruire mondi fittizi in cui rispecchiare, con dettagli di volta in volta amplificati, omessi o deformati, la realtà della condizione umana. È un faticoso lavoro di escavo, cernita, riforgiatura e assiemaggio a partire dalla materia informe, ridondante e banale del quotidiano per giungere alla frugalità essenziale dell’universalità. La narrativa è la vertigine del creatore di mondi. Certo, riuscirci è un altro paio di maniche.”
Michele Catozzi
Ecco aggiungersi anche le preziose mani di Lidia Del Gaudio per dar forma al suo concetto di letteratura., Questa scrittrice ha avvolto i suoi romanzi nelle affascinanti vesti del genere noir, da Il delitto di via Crispi n.21 a Il delitto di vico San Domenico Maggiore. Il commissario Sorrentino presta ai lettori la propria lente per scandagliare la città partenopea, aggrovigliata nella matassa di misteri. I suoi personaggi sono spugne, assorbono le atmosfere che trasudano da maestri senza tempo dell’horror, da quello portato sul grande schermo da Hitchcock, a quello che infittisce i romanzi di King. La grandezza della letteratura risiede proprio nel filtro che pone tra la dimensione virtuale e fluttuante dei pensieri e la concretezza eterna di parole che piombano sulla pagina, mozzano il fiato, materializzano la potenza della fantasia, danno testimonianza scritta, duratura, dell’esistenza di un punto di vista, di una visuale unica e irripetibile:
“si tratta dell’espressione artistica di pensieri che si concretizzano nella parola scritta a testimonianza di un determinato modo d’essere e di sentire.”
Lidia Del Gaudio
Le mani hanno plasmato, ognuna a modo suo, curve uniche, linee irripetibili. Ecco delinearsi per questi scrittori la letteratura. Ma non preoccupatevi, la sua essenza non si lascia imbrigliare in forme circoscritte, la natura libera la porterà tra le mani di ognuno di voi, basta esser pronti ad accoglierla nella propria vita, a dedicarle spazio e tempo, a darle la forma provvisoria che meglio credete.
Sporcatevi le mani. Vedrete, non potrete più farne a meno.
di Eleonora Bufoli per La Redazione dell’Incendiario