Io Incendio: Come strappare lungo i bordi
Tutti i pezzi di carta alla fine so’ boni pe scaldasse. E certe volte quel fuoco ti basta… Altre volte no…
Inizio da qui, caro lettore e caro lettrice. Inizio dalla fine, da uno dei pensieri finali di Strappare lungo i bordi, serie animata di Netflix scritta e diretta da Zerocalcare, rilasciata dalla piattaforma il 17 novembre 2021 (il link qui: https://www.netflix.com/it/title/81304528). Un finale in cui un po’ si ride, un po’ si piange, si mente, mi è entrato solamente qualcosa nell’occhio, si piange di nuovo perché si è riso troppo, si dice finalmente la verità, io sto piangendo. E grazie a quelle lacrime, Strappare lungo i bordi è un sollievo, una medicina, un conforto; è una casa, coabitiamo sotto lo stesso tetto: anche io faccio così, anche io ragiono troppo su queste pippe mentali (mi si scuserà il termine), anche io esco ore prima per un appuntamento, anche io a volte non rispondo agli amici per giorni senza motivo, anche io non capisco come possa fare sui treni, d’estate, così tanto freddo, gelo polare. Anche io, come penso anche te, caro lettore o cara lettrice, provo durante il mio tempo a strappare perfettamente il mio contorno lungo i bordi tratteggiati: delineare con cura la propria forma, e non si vogliono commettere errori, al fine di diventare quello che si vuole essere. Io voglio diventare un insegnate, io un fumettista, io voglio vincere a poker, io continuo a studiare non sapendo ancora cosa voglio fare. Ma poi qualcosa succede sempre, un errore casuale o di distrazione, e non si rispetta più il contorno, si smette di strappare lungo i bordi; e infine la presa di coscienza, è impossibile strappare lungo i bordi. Ci si ritrova sempre strappati; siamo costretti a buttare le nostre idee, le nostre immagini, i modelli ideali. A volte è necessario strappare, rendere il tutto più reale, non siamo bordi da seguire con cura. Siamo pippe mentali che gettano pezzi di carta nel fuoco per riscaldarsi l’un l’altro, per reiventarsi, per desiderare qualcosa di inaspettato, per riuscire o per fallire, per vivere l’inaspettato, per capire di essere dei fili d’erba e non dipende tutto da noi, per non smettere mai di sperare i giorni più belli.
Scrivo di Strappare lungo i bordi sull’Incendiario, una serie di animazione, caro lettore e cara lettrice, perché sono appassionato e un grande studioso di romanzi neorealisti; il Neorealismo, la tendenza letteraria esplosa nel secondo dopoguerra in cui intellettuali o improvvisati scrittori tendevano a raccontare la loro esperienza di guerra attraverso la scrittura. Si parla di un gran numero di testi e romanzi, in cui, in maniera quasi molecolare e fotografica, si raccontavano le proprie esperienze, con un’altissima attenzione al dato realistico, non dimenticando di inserire proprie visioni introspettive e memorialistiche. Una linea letteraria che fu particolarmente criticata, per non essere alla fin fine così tanto reale, proponendo protagonisti eroicizzati, stereotipi di vincitori e di guerrieri/partigiani che compivano le giuste gesta spinti da nobili morali, desiderosi di liberare l’Italia dai nazifascisti. Un realismo che non è così tanto reale, un Neorealismo che doveva essere superato, aumentando la carica introspettiva, inserendo scenari anche comici, oltre che tragici. Perché il reale è tragicomico, è ironico, è antieroico, e lo capisce benissimo Meneghello (si ricordi i suoi Piccoli maestri) che ritorna negli anni ’60, quasi vent’anni dopo l’esplosione della tendenza letteraria, a scrivere racconti di guerra, a pubblicare le sue reali esperienze di vita. E lì non esistono eroi o convinti partigiani, ma ragazzi scapestrati, che considerano il furto di forme di formaggio un atto di valore per contrastare l’azione neofascista, che vivono la loro esperienza senza strappare lungo i bordi, strappano a caso, sperando di ottenere un risultato.
A seguito di questa spiegazione, ti illustro il mio punto di vista, caro lettore o cara lettrice, delineando il collegamento tra il Neorealismo e la serie animata: Strappare lungo i bordi può essere considerato un prodotto artistico di una nuova fase del neorealismo, del nostro neorealismo, molto meneghelliano. Forse è meglio, nel nostro oggi ipercontemporeano, coniare in questo ambito un neologismo e chiamarlo iperrealismo. Perché la storia di Zerocalcare è reale, è viva e vera, in cui tragico e comico sono insieme. Perché anche noi, mentre siamo strappati dal tragico, senza motivo ridiamo, per qualcosa di insensato, improvviso, forse anche stupido. Ricalcando pensieri jokeriani, abbiamo sempre pensato che la vita fosse una tragedia, Zerocalcare ci fa vedere, invece, che è una tragicommedia. Ci fa vedere il tragicomico reale, al contrario di altri prodotti artistici, parlando non solo dell’ambito visivo, ma anche letterario, musicale, culturale. Siamo bombardati da queste opere infinitamente tragiche o infinitamente comiche; ma questo infinito è finto, falso, noi non esistiamo e non viviamo in questi infiniti, in queste emozioni esagerate poco genuine. Per spiegarmi meglio in una metafora:
Noi non progettiamo ingegnosi furti costruendo enormi case di carta. Noi ci interroghiamo continuamente su come strappare lungo i bordi, capendo alla fine che è impossibile farlo.
Presento, inoltre, l’articolo della settimana: Eleonora Bufoli recensisce Sotto il sole della Kaliformia di Ludovica Ottaviani per Edizioni Haiku: sei racconti tra il 1967 e il 1974, alla scoperta degli spazi del Sud Pontino.
E per concludere, mio caro lettore e mia cara lettrice, arriviamo alla dissacrante considerazione, quella di cui ci sbalordiamo: è irrealista un’opera d’arte con tragici o comici immaginari infiniti; è, invece, realistica un’opera d’arte in cui la coscienza è un personaggio, è un armadillo.
https://lincendiario.com/tag/io-incendio/ di Antonello Costa per La redazione dell’Incendiario