Il caso di Doc: La fiction inquinata dalla realtà
Sogno o son desta.
Il Covid ha invaso anche i confini della fiction italiana. Dagli avamposti dei talk show e dei telegiornali si è spinto fino ai recinti della finzione: il territorio del piccolo schermo è sotto assedio.
E così il tema del Covid ha fatto la sua apparizione anche nella fiction Rai di prima serata, tra le storie di medici milanesi raccontate dalla seconda stagione di Doc – Nelle tue mani. Scelta scontata ed inevitabile, secondo alcuni, modo per rimanere ancorati alla realtà o per omaggiare nel modo più veritiero possibile il grande sacrificio che da due anni a questa parte continua ad esser fatto dai nostri medici e infermieri in carne ed ossa. Questa soluzione tuttavia mi ha spinta a delle riflessioni sul confine che secondo me dovrebbe continuare a sussistere tra il mondo della finzione e quello della realtà.
Raccontare storie è sempre stato un bisogno atavico dell’uomo, un modo per, a partire dai miti antichi, esorcizzare paure, cercare delle spiegazioni, attingendo al serbatoio inestinguibile della fantasia, cercare conforto e rifugio da una realtà che ci delude o che non ci basta più.
Vedere in una fiction Rai un medico che non sopravvive al primo tsunami del Covid, oltre alle complicanze date da una crisi respiratoria, alle mascherine, a bombole dell’ossigeno e disinfettanti diventati parte integrante della scenografia, è sì un profondo e presumo sincero tributo alla realtà, sì un modo per far immedesimare il più possibile lo spettatore e una tirata di orecchie agli scettici a colpi di immagini e temi forti, ma anche a mio parere un’ingiusta incursione del nemico nel regno della fantasia.
Da due anni siamo immersi nella narrazione accentratrice del Covid e per quanto riguarda il mondo dell’informazione è giusto che sia così: a mio avviso parlare di questo argomento, se fatto da esperti, è un modo per dare un volto il più riconoscibile possibile al nemico, per cercare di guardarlo in faccia, per conoscerlo e comprenderlo, per illuminarlo con la luce della consapevolezza e della razionalità e per sottrarlo dalle pericolose e deformanti zone d’ombra dell’ignoranza. L’informazione aggiornata, quotidiana e seria è il mattoncino lego imprescindibile per la costruzione di un cittadino responsabile. Per questo motivo è giusto renderlo protagonista di talk show e programmi di attualità purché a mio avviso non lo si lasci in balìa dello sproloquiare di tutte quelle persone che sono al di fuori di una conoscenza scientifica dell’argomento.
Tuttavia non ho sentito, in qualità di spettatrice e cittadina responsabile, lo stesso coinvolgimento e senso di sicurezza nel vedere la realtà che ci attanaglia da oltre due anni gettata tra il cast di una serie televisiva. L’effetto che personalmente ho percepito è stato quello di stranezza, di essere fuori luogo, di tradimento al regno dell’onnipossibilismo e della finzione. Mi sento molto più appagata e raggiungo maggiore consapevolezza di fronte a film o serie televisive che rispondono a logiche e universi creativi propri, che riescono a parlare della realtà più attuale, a scavare nei meandri dell’uomo più contemporaneo possibile, a sintonizzarsi sui suoi problemi pur senza prendere in prestito e quasi scopiazzare tematiche e personaggi dalla realtà.
Comprendo la portata gigantesca di quello che stiamo vivendo; credo tuttavia che noi spettatori non necessitiamo di ciò ma di storie che sappiano parlare di noi e della realtà senza accaparrarsi di quest’ultima così spudoratamente. La magia dello storytelling risiede proprio nel catturare lo spettatore, per strapparlo dalla realtà e catapultarlo in una dimensione totalmente altra. Solo così possiamo continuare a vivere in due mondi, quello della realtà, del regno della logica, e quello dell’onnipossibilismo, della potenza creatrice delle parole e dell’immaginazione, dell’arricchimento inestinguibile di punti di vista.
Il treno per riportarci alla realtà è sempre in movimento, possiamo prenderlo da un momento all’altro ed è giusto e responsabile che sia così. Ma d’altro canto non vogliamo che ci vengano preclusi i binari alternativi, vogliamo che sia sempre possibile immergerci in storie, che sia tra le pagine di un romanzo, tra le modulazioni della voce di un narratore, tre le sequenze serrate e avvincenti di un film. Vale tutto, basta che continui a tenere aperta una via di fuga dalla realtà, una valvola di sfogo che ci ricordi come la vita non possa essere monodirezionale e come il palcoscenico debba continuare ad essere calcato da un cast numeroso e vario, non dallo stesso monologo che rischia di diventare cantilena non più credibile.
Le molteplici e vive possibilità offerte da una storia sono al centro del racconto di Luca Cassarini che presentiamo questa settimana. È tutto provvisorio, recita il titolo di un inedito spiazzante, in cui i confini della logica vacillano e tutto diventa possibile. Con un periodare incalzante, il nostro raffigura la potenza perturbante che solo una storia riesce ad avere, per offrire la sua personale via di fuga e ospitare il lettore nel suo regno, dove i confini tra realtà e finzione si mescolano.
Eleonora Bufoli per la redazione de L’Incendiario