Roberta Sciuto, una delle nostre penne incendiate (ricordiamo le sua raccolta Epistola che rinasce dalle ceneri) regala a noi dell’Incendiario in anteprima l’Incipit del suo nuovo romanzo, Anime comunicanti, pubblicato lo scorso 27 febbraio 2022 per Porto Seguro editore. Rinnovando i nostri ringraziamenti, presentiamo a voi pubblico pertanto l’incipit:
1.
Il mare sembrava vivere solo lì. In quella spiaggia desolata, tra scoglio e sabbia, orizzonte e cielo. Madre e figlia. Esisteva, si diceva, il mare calmo, tranquillo, il mare caldo, il mare accogliente. Ma non lì. L’acqua non esprimeva mai sentimenti di serenità e, anche quando era calma, sembrava agonizzare in silenzio. Quel grigio inghiottiva la terra stessa, e infatti Sael e sua madre non erano riuscite a vincere la sua gravità. Vivevano lì da un tempo indefinito, in un luogo altrettanto incolore, al centro di una prigione con sbarre mangiate dalla salsedine. − Sael!
Le iridi della bambina erano fisse sulle onde intente ad aggredire la scogliera. Sentiva che tanta violenza avrebbe portato a qualcosa. In cima, oltre le onde, a picco sul mare, c’era la sua casa. − Sael, non stare così vicina all’acqua!
Sael distolse lo sguardo dalla scogliera e guardò a terra, dove era seduta. Le sue piccole dita avevano disegnato dei cerchi nella sabbia bagnata, con l’aggiunta di qualche osso di seppia della sua collezione. I motivi cingevano il suo corpo di bambina, a poca distanza dai flutti marini. Un’onda spinse con forza i suoi contorni verso di lei; non la sfiorarono neanche, bagnando la sabbia al di là dei disegni. Il terreno sotto di lei tornò caldo e asciutto. − Devi ascoltarmi…
La madre l’aveva raggiunta, visibilmente agitata. La prese per mano e la spinse ad alzarsi. − Oggi il mare non vuole giocare con te. È pericoloso.
Sael non parlò. Il mare era pericoloso e voleva sempre giocare con lei. Un gioco dove lei vinceva sempre, e il mare rinunciava al suo corpicino di bambina, accontentandosi dei suoi ossi sistemati sulla sabbia. Seguì la madre verso casa. Si guardò indietro: i disegni erano stati divorati dall’acqua all’istante. Casa era un posto triste, e forse anche sua madre lo era. Marad si lamentava del freddo, l’umidità, il sapore eccessivo degli alimenti, l’insipidità degli alimenti, la solitudine. Spesso la infastidiva anche Sael. Lei era una bambina silenziosa, né triste né felice. Sentiva di esistere. Non soffriva mai il freddo e non le capitava mai di lamentarsi di qualcosa. A Sael non capitava niente, né di positivo né di negativo: sentiva di vivere sul fondo di un torrente, come un sasso corroso dal suo scorrere, senza provare dolore. Era sola come sua madre, con la quale condivideva gli spazi tetri della casa, e si muoveva qua e là, come un’entità spiritica. Sua madre diceva che aveva già visto troppo per la sua età, per questo era così inerte, così muta, così triste. La bambina non capiva mai se si riferisse a lei o a se stessa. Marad vestiva abiti semplici, sgualciti. I suoi capelli soffrivano lungo il volto, come alghe lasciate troppo al sole. Il viso era anonimo, piccolo, la pelle olivastra appena bucherellata dalle fessure degli occhi, della bocca, delle narici. Quando chiamava la figlia, spesso il filo di voce si perdeva risucchiato dai flutti. Non aveva età. Nessuno ne aveva lì. Non esisteva età e non esisteva tempo. Due figure immerse nella triste consapevolezza di essere sole. La bambina si era chiesta qualche volta se ci fossero altre figure come lei e sua madre, con i seni sporgenti e un’umida fessura in mezzo alle gambe. Ma non le interessava saperlo, in fondo. Davanti a lei solo acqua, sale, e il bosco che costeggiava la desolata spiaggia. Gli alberi alti e impenetrabili erano gli stessi che avevano costruito la loro casa, gli stessi che, in silenzio, la osservavano a distanza. Marad non voleva ci andasse, ma per lei era come un richiamo, a volte anche più forte di quello del mare. Sentiva che un giorno ci avrebbe vissuto. Lì, a terra, tra foglie e il fango. Il bosco continuava a chiamarla e lei avrebbe risposto, un giorno.
Le tartarughe marine non sceglievano quella spiaggia per nidificare. Il terreno era ostile e avrebbe soffocato le fragili uova nel gelo. Per questo Sael non ne aveva mai vista una, prima di quel pomeriggio. Lottando contro le onde, il grosso carapace verdastro del rettile fece capolino sul tetro bagnasciuga. La bambina respirava sul vetro di una delle finestre del salotto, appannandolo. Vagamente
incuriosita, osservava l’animale lasciare un solco profondo sulla sabbia, trascinandosi a fatica. Vedeva le sottili pinne dimenarsi per cercare un appiglio al suolo e percepiva il peso insostenibile della massa trasportata. Si chiese perché avesse deciso di uscire e abbandonare la sua casa. La tartaruga proseguì verso i confini della spiaggia grigiastra, poi entrò nel bosco. La fronte pallida della bambina si increspò leggermente. Attese a lungo che la creatura del mare tornasse alle sue acque, ma quando fu sera non era ancora riapparsa.

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