I traumi che viviamo guastano i nostri amori? Riflessioni sul personaggio di Jude in “Una vita come tante” di Hanya Yanagihara

Un libro che ha spopolato in America grazie ai riconoscimenti delle maggiori testate statunitensi, fino ad essere inserito dal Guardian nella classifica dei cento migliori libri del XXI secolo. Un libro che ha attraversato gli oceani diventando un best-seller internazionale per il mondo di nuda e toccante umanità che racconta. Questo articolo non intende celebrare Una vita come tante di Hanya Yanagihara in quanto capolavoro della letteratura contemporanea: troppo facile incontrare delle opposizioni, figlie dell’insindacabile gusto personale. L’obiettivo è piuttosto mettere in risalto il valore letterario del protagonista Jude, legandolo a un tema centrale del romanzo: il modo in cui un trauma può influenzare il rapporto delle persone con l’amore.

Per chi non conoscesse il libro, ricordiamo la trama con una rapida sintesi, con l’avvertenza che in questo articolo sono presenti degli spoiler. La storia segue le vite di quattro amici dai tempi del college fino all’età adulta, portando in scena le complesse trame degli affetti umani e riconoscendone la complessità. Come la superficie di una pietra grezza, dove le dita transitano scoprendo percorsi dissestati, l’amicizia fra i quattro ragazzi si srotola negli anni seguendo linee ruvide e tortuose. A dirigere questo vortice è il personaggio enigmatico di Jude, un ragazzo dall’animo buono e tuttavia inaccessibile. Non parla mai della sua infanzia, periodo nel quale gli sono accadute molte atrocità che lo ingabbiano tutt’oggi in una bolla di frustrazione. La narrazione accompagna la difficoltà di Jude a scavare nel passato e, soprattutto, a fidarsi degli altri: scopriamo la sua storia a piccoli passi tramite flashback, andando anche oltre ciò che lui stesso è pronto a rivelare. E questo è un primo, grande punto di forza di questo libro: il lettore respira insieme a Jude. Con lui affronta il passato e ne percepisce tutto il peso insostenibile.

Jude, abbandonato dai genitori, è cresciuto in un monastero dove per anni è stato violentato dai monaci. Fugge da qui con uno di loro, Fratello Luke, che gli fa credere di essere diverso dagli altri e disposto a dargli la vita che merita. Si apre un capitolo non meno terribile, in cui Jude continua a subire i più atroci abusi sessuali. Le sue pene non finiscono neanche quando viene infine affidato ai servizi sociali, perché anche con loro l’esperienza è traumatica e la fuga lo porta tra le grinfie di uno spietato serial killer: quest’ultimo gli provoca dei danni fisici che lo accompagneranno tutta la vita.

C’è chi ha accusato Yanagihara di aver calcato troppo la mano riguardo questi eventi, che renderebbero la storia poco verosimile. Ma in fondo, i fatti in sé sono solo un pretesto per approfondire cosa accade nella mente delle persone quando subiscono dei traumi: e su questo, pochi potranno mettere in discussione la sapienza della scrittrice. Per definire al meglio le caratteristiche del personaggio di Jude, cominciamo ad analizzare il tema del trauma in relazione a un aspetto della vita che ne rappresenta (auspicabilmente) la cura: l’amore.

La mia sensazione è che tutto il romanzo sia percorso da un unico grande interrogativo: se sia possibile amare dopo un trauma, e se sì in che modo e a quale prezzo. Per Jude, la grande opportunità di amare ed essere amato arriva dopo una vita di sofferenze: la porta Willem, uno dei quattro protagonisti della storia, che dopo essere stato per anni il migliore amico di Jude ne diventa l’amante. Sintetizzando, potremmo dire che Willem è un personaggio esclusivamente positivo e privo di ombre, aperto all’amore e disposto ad accogliere Jude insieme a tutto il suo bagaglio di dolore. Un personaggio che sfiora la perfezione, in quanto non lo vediamo quasi mai perdere le staffe nonostante stare con Jude richieda una pazienza e una sensibilità oltre la norma.

Yanagihara non ci mette davanti alla banalità per cui con l’amore si supera ogni ostacolo (e la ringraziamo per questo). In Una vita come tante, l’amore è certo una forza meravigliosa che paradossalmente trae il proprio nutrimento proprio dalla sofferenza: dopo una vita passata a scalare un pozzo scuro in cui ogni passo era un’umiliazione, Jude arriva in cima e la luce che lo accoglie è tanto più bella perché non l’ha mai vista. Ma non è così semplice. Abituarsi alla luce non è facile e fa persino male. Forse non è possibile abituarsi, se gli occhi hanno visto sempre e solo il buio. E una conclusione straziante che il lettore trae durante la lettura del libro è questa: forse esiste una soglia fin dove si può mettere in un cassetto la propria sofferenza e ricominciare da capo, liberi dai propri demoni. Superata quella, il dolore infesta una vita al punto da guastarla e cercare di tornare indietro è come nuotare controcorrente nel bel mezzo dell’oceano, da soli. 

Jude si impegna a vivere, ma non riuscirà mai a farlo perché tutti i suoi sforzi sono per gli altri. Non c’è terapia psicologica che lo possa convincere di essere una persona dignitosa come tutti. Non c’è amante che gli possa instillare la consapevolezza di essere meritevole di affetto. Jude si disprezza e gli unici momenti in cui è clemente con sé stesso, impegnandosi a evitare l’autolesionismo, sono dettati dalla volontà di compiacere Willem. Si può amare qualcun altro senza prima amare sé stessi?  C’è chi dice di no, ma l’amore è una tela bianca che nasce con gli amanti e ogni regola è una semplificazione. Forse, in un certo senso, i sentimenti come quello di Jude sono la quintessenza dell’amore stesso: Jude non potrà mai amare Willem per ciò che il suo compagno fa per lui. Non lo ama perché lo vede come un’ancora di salvezza, meno che mai perché gli trasmette l’amore che gli è sempre mancato. L’amore provato da una persona che odia sé stessa si colloca unicamente sul piano dell’altruismo: si ama ciò che l’altro è, semplicemente. Si ama senza le implicazioni problematiche del rapporto a due, che per sua stessa natura è contaminato dalle esigenze (seppure legittime) dei singoli. Jude si innamora dell’anima cristallina di Willem e neanche per un momento collega questo sentimento a sé stesso e ai propri bisogni: è grato dell’affetto che riceve, ma pensa di non meritarlo e se Willem cambiasse atteggiamento verso di lui, gli darebbe ragione. È un amore che si vive in solitudine, nell’accezione più profonda del termine: se Jude potesse continuare ad amare Willem e al tempo stesso ridursi, cancellarsi, sparire, lo farebbe. Un sentimento che non pretende e non rinfaccia: quello messo in scena da Hanya Yanagihara nelle oltre mille pagine di questo straordinario romanzo, è una delle forme più innocenti e limpide dell’amore incondizionato.

Alessia Martoni

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