Io Incendio: Che siate alloro

Cara lettrice,

dedico questo editoriale a te. A te che ti unisci alla mia ira nei confronti di qualsiasi forma di violenza subita. A voi donne, che sarete Virgilio in questa scrittura. Ho scelto infatti delle figure femminili, che siano la lingua delle mie parole.

Parto con te Collins, con il tuo editoriale che hai scritto settimane fa; ritorno incessantemente a quel tuo Nella Russia di Putin, alle tue parole che diventano ustioni, che hai scritto concretizzando anche il mio pensiero:

Avevo scritto della nostra inettitudine, della nostra non conoscenza della guerra e dei suoi orrori, della nostra abitudine a vivere tranquilli ignari di quello che succede a qualche migliaio di chilometri da noi. E anche della necessità di diventare pompieri invece che incendiari, per spegnere quelle fiamme che stanno bruciando il nostro futuro alle porte dell’Europa.
Ma a che pro? L’impressione è che ogni parola sia vuota, superflua, scontata, inopportuna, non richiesta e non gradita. E forse non è solo un’impressione, forse è davvero così.

E io, che sono sempre incendio, mi rendo conto grazie a te di quanto sia necessario spegnere: spegnere la mia rabbia, il mio ribrezzo nei confronti di un folle che condiziona la vita di tutti, che uccide la vita di molti. Spegnere il mio io, perché siamo un noi, io sono qui per voi. Mi fai capire il mio compito Collins: non scrivere di un me eterno ed esterno autoreferenziale che osserva la scena distante; ma scrivere per chi vive la guerra, per chi davvero ha bisogno di parola e di fare rumore.

E continuo il mio viaggio con Cathy La Torre, con una donna del villaggio di Baryshivka, con Maryna e con le soldatesse ucraine. Riporto la descrizione dell’ultimo post di Avvocathy:

Quando sono entrati nel villaggio di Baryshivka i soldati russi, durante le perquisizioni tra i civili, hanno trovato nel cellulare di una donna la foto del marito, volontario ucraino, con il fucile in mano.

E tanto è bastato per decidere di punire. Punire lei. Stuprandola. In venti.

Maryna, moglie di Oleskiy Zdorovts, ex segretario della municipalità di Nova Bohdanivka, l’hanno stuprata invece davanti a suo figlio. Dopo aver ucciso il marito a sangue freddo.

Alle soldatesse, se possibile, spetta un trattamento perfino peggiore.
Dopo la cattura e lo stupro scatta l’esecuzione.

Le uccidono dopo averle violentate, di solito impiccandole e poi facendo a pezzi i corpi. Per evitare di lasciare prove. Perché lo stupro sistematico, utilizzato come “arma”, è un crimine di guerra.

Così le ammazzano. Soldatesse e donne civili. Incluse anziane. Molte delle quali suicidatesi dopo le violenze.

E no, non è propaganda. Il governo ucraino ha chiesto di investigare, con regolari indagini e regolari processi. Ma i racconti di queste atrocità sono ormai talmente diffusi e supportati da testimonianze così numerose, da ritenere difficile che migliaia di persone si siano accordate per qualcosa di così orribile.

E in fondo, quale sarebbe la novità.
Da sempre lo stupro in guerra è utilizzato come arma, al pari di bombe, carri armati e mitra.

Non è una questione sessuale. E’ una questione militare.

Lo stesso esercito russo fece dello stupro contro le donne tedesche un’arma sistematica.

E poi, più recentemente in Cecenia. E poi in Siria, in Jugoslavia, ecc.

Da quando l’uomo combatte le donne, i loro corpi, sono ora trofei, ora modi per mandare messaggi al nemico.
Nient’altro che corpi da stuprare, devastare, smembrare.

Ora accade di nuovo.

In Europa, dove credevamo che anche queste atrocità sarebbe rimaste lì, nelle più orribili pagine della nostra storia.

E invece sono il presente.

Un presente agghiacciante che ha responsabilità ben precise. Un responsabile ben preciso.

Che anche per questo, quando arriverà il momento, dovrà rispondere davanti all’Ucraina, al mondo, alla storia.

Non esistono incendi per descrivere tale male, non esistono i modi per definire queste atti di morte, di nero, di violenza. Donne che diventano prede, trofei e bottini di guerra di barbari animali, di mitomani vestiti di maschere militari, la prova vivente di quanto possa fare schifo l’essere umano. Non è necessario dilungarmi, perché ogni parola spesa conferisce un onore che a loro va tolto. Il mio fuoco è qui per loro, per le donne per cui va fatta giustizia, per cui bisogna scrivere affinché siano ricordate, perché non sono solo vittime di guerra, sono vittime della più estrema violenza umana. Bisogna leggere, scrivere, parlare, perché a loro spetta riconoscenza e gloria che meritano.

E mi rivolgo all’ultima delle Virgilie, la donna del mito che divenne gloria per sfuggire a uno stupro. Si ricordi infatti il mito di Apollo e Dafne presente nel primo libro delle Metamorfosi di Ovidio. Per sfuggire al furor amoroso di Apollo, alla sua folle ossessione di possedere fisicamente la ninfa, per eludere lo stupro, Dafne invoca il padre Peneo e gli dei affinché questi intervengano. Viene trasformata in alloro, è costretta a sacrificare il proprio corpo per non essere violentata dal dio. Quel dio che si incoronerà, per amore folle per Dafne, della corona d’alloro, diventata simbolo di gloria poetica e per estensione di gloria.

Voglio sovvertire il simbolo di questo mito, strappare ad Apollo l’appartenenza della corona d’alloro. Che la corona d’alloro ritorni a essere Dafne, che diventi il suo simbolo, del suo valore, del suo sacrificio, del rispetto che si deve nutrire nei confronti del corpo e del genere femminile. Che l’alloro diventi simbolo della gloria delle donne ucraine, di qualsiasi donna che subisce violenze verbali, fisiche, latenti o esplicite. Che si mettano da parte per un attimo le mimose, diventate troppo spesso un dono privo della consistenza e del rispetto morale. Che siate, invece, alloro, perché a voi spetta la gloria.

di Antonello Costa, per altri editoriali Io Incendio Clicca qui

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