Il fenomeno Bridgerton è esploso con la prima stagione uscita nel 2020 in piena era pandemica: chi non ha visto una serie leggera, frizzante, che ti trasporta in un’altra epoca e che contiene anche qualche scena osé? In molti hanno urlato all’ennesimo capolavoro di Shonda Rhimes, famosissima sceneggiatrice di Grey’s anatomy, e ancora di più sono stati quelli che hanno associato la serie ai capolavori di Jane Austen.
È uscita da poco la seconda stagione, incentrata sul primogenito della famiglia Bridgerton il quale, da vero eroe rubacuori, gioca il ruolo del cuore di ghiaccio infreddolito a causa di una brutta perdita familiare che ha fatto convergere tutte le responsabilità della famiglia sul giovane rampollo mai intenzionato a sposarsi. Ebbene, proprio quando l’ennesima scure della responsabilità familiare gli impone di trovare moglie, gli si presenta un’unica donna in grado di scalfire il gelo che da anni attanaglia il suo cuore: un’affascinante straniera, coraggiosa e impertinente, che ovviamente non lo vuole. Inutile dire quanto il gioco dell’odi et amo sia oramai banale per le trame moderne, tuttavia a molti spettatori diverse scene hanno ricordato l’Orgoglio e pregiudizio austeniano.
Da appassionata conoscitrice dell’autrice inglese devo ammettere di aver visto questa imitatio da parte della Rhimes, sia nella scelta dei protagonisti (lui orgoglioso e tenebroso, lei spirito libero e incurante delle regole della società inglese) sia nella replica di alcune scene (lui che esce dall’acqua con la camicia bagnata ricorda molto bene la famosissima scena di Colin Firth nella serie tv targata BBC Pride and Prejudice del 1995). Purtroppo però già in molti gridano al capolavoro proprio per via di questi parallelismi. A questo punto chiedo: dove sta il limite tra ciò che appartiene – e deve rimanere – alla letteratura classica e il nuovo che gli spettatori richiedono? Altra domanda sorge spontanea: quanto aumenteranno le vendite o le riproduzioni in streaming di Orgoglio e pregiudizio dopo la seconda stagione di Bridgerton? Quasi esponenzialmente, così come era già successo dopo il rilascio della prima stagione.
Ciò che, a parer mio, distingue il pilastro letterario della Austen dalla brutta copia firmata Shondaland è la verosimiglianza della storia al secolo che viene rappresentato: se non si guarda Bridgerton con il giusto occhiale critico si rischia di pensare che l’epoca Regency inglese sia tutta pamphlets scandalistici e visconti fisicati. Lo sguardo semplicistico della serie non vuole essere superficiale: al contrario, è creata per intrattenere lo spettatore odierno poco abituato alla lentezza tipica del XVII secolo. In questo viene in aiuto la letteratura inglese coeva: i libri di Jane Austen danno un quadro più realistico della società inglese, anche se fotografano una diversa classe sociale (medio-alta in Austen e solo alta in Bridgerton). Pensare di conoscere un’epoca solo perché si è vista una serie tv al riguardo è come credere di poter prendere la laurea in “Storia” solo guardando tutte le puntate di Piero Angela.
Gloria Fiorentini per la redazione dell’Incendiario