Giallo bianco verde limone
Fuso asprigno solingo
sul fondo di un cassetto
scorza ispessita al sole
in eclissi all’oscuro
sotto spore polverose
enfiata di ponfi serici
fra impunture porose
in un drappo tricolore
di velluto sepolcrale.
Cinque haiku
Quell’orchidea
all’aperta persiana
si disponea
ridisegnandosi
come un’ikebana
ma senza zelo:
lei sapeva
inarcare lo stelo
e accresceva
un altro volto
a ritmo alternato
di viola e vuoto
su di un lato
e sull’altro del ramo
nella misura
di un haiku.
La riserva di pesca
Si è fatto scuro e sono sfatta,
mi spinge la fame più che la gola
a cercare avanzi in una latta,
un barattolo o una stagnola.
Apro la porta del frigo e là dietro
s’illumina un acquario di vetro,
un lago di pesca con l’etichetta
dove nuota il cetriolino murena.
Serpeggia salmastra la mia cena
finché la fiocino con la forchetta
e s’acquieta nel suo guizzare.
La isso all’asciutto per la schiena
dalla salamoia che sa di mare
con un po’ d’aceto e lo stesso sale.
Tirami su
Sei la prima
esperienza dell’adolescente
sei ancora prima
del caffè fumante il caffè freddo
sei il dopocena
sei il preludio del letto
sei il sensale leggendario del bordello
sei l’evasione di facile esecuzione:
aprire il guscio
montare il grasso
prendere aria
bagnare dita di dama
poi sovrapporsi
unirsi
rigirarsi fra le creme
affondare il cucchiaio
sollevare alle labbra schiuse
cuscini di spugne e di spume
sinché non restano
che rimasugli rilassati
di un biscotto dopo il bagno.
In ordine di lucore
Dell’ultima estate che è stata
su una tovaglia alba di bucato
non ho visto il colore
ma ancora mi rincorrono chimere
tutte esposte in ordine di lucore
nel mezzogiorno dell’Assunzione.
C’è la fiaschetta verde dell’olio,
c’è la bottiglia piena all’orlo
di cedrata sfaccettata,
colpita allo zenit del sole
irraggia una raggiera dorata.
C’è lo champagne che brilla
di scintille ascendenti a galla
e qualcuno che brinda
verso il mio braccio di zinco.
C’è un vassoio di porcellana
e totani stesi smaltati di bianco
freschi anelli di pesca.
In questo inverno nucleare
ogni regressione sensoriale
è annientata in un istante
alla polvere di fosforo abbagliante.
Pedine
Per sette anni
le hai tramandato
l’educazione per la vita
le regole dello Stato
i legami di famiglia.
Oggi
come la spieghi
la guerra
a tua figlia?
Oggi sopra di lei
non vale più alcuna regola.
Hanno scompaginato le istruzioni,
vale tutto:
la fame, i massacri, le distruzioni,
e voi siete dentro:
il fante, la donna, la bambina.
Come pedine
per un tiro di dadi
un lancio di bombe vi trascina
proprio mentre il suo primo uomo amato
resta a fare il soldato:
è papà che oggi va a scuola
e lì se ne sta rincantucciato
sotto il banco dietro la finestra
abbracciato al fucile suo nuovo compagno.
Non glielo dirà,
ma mette paura questa maestra
se non sei preparato.
Hanno tirato un altro dado.
Avanti di una casella.
Come la spieghi
a tua figlia
la guerra?
Sono un furetto
La topografia degli odori
disegna la mappa dei luoghi
dalle minime estensioni
sulle le orme di chi si sposta
tra case piccole, posate e bottoni.
E io sono un animaletto,
uno di quelli che fanno la tana
sotto il sottobosco,
io sono un furetto.
Esploro all’altezza della terra
e dove raggiungo le superfici,
con le zampette
poi con le narici
arrampicandomi
fin sulle tue camicie,
fin sulla barba e sui ricci,
da dove sta attraendomi
quel tuo odore che mi dice
dove si annidano
le mie fiducie.
Rimare col mare
Chi viene per mare
riesce prima a immaginare
l’infinito oltre la marina.
Vive dove la rima
annoda la cima.
Là è semplice rimare
col mare
e veleggiare
fino a giungere al largo
dove sono versi a largheggiare.
Il soggetto singolare
Espormi a tutta quella gente
che mi rievocava all’ufficio
di evidenziarmi esistente,
sai che mi costava sacrificio.
Rischiavo di slogarmi la mente
per discorrere in equilibrio
sul filo d’un discorso sul niente.
Solo quando resto
sola e padrona
mi risento infine
il soggetto singolare,
la prima persona
di azioni intransitive.
di Elisa Malvoni