Randagi è il romanzo di un gruppo di sbandati, che non riesce a trovare il suo posto del mondo. Randagi è un romanzo che s’impone violento al suo lettore, urla dentro con la sua musica: io sono come te, sto parlando della tua quotidianità, sto parlando delle tue insicurezze. Randagi (Bollati Boringhieri, 2021) è il romanzo di Marco Amerighi candidato al premio letterario Strega 2022. Marco Amerighi apre una rubrica dell’Incendiario, in cui vi proponiamo interviste ai candidati del premio Strega di quest’anno.

Ti do il benvenuto Marco Amerighi tra le nostre pagine e ti annuncio che questa sarà un’intervista un po’ diversa. Nella prima parte, ti farò delle domande per presentarti ai nostri lettori, domande immediate che sottoporrò anche ai tuoi compagni e colleghi della dozzina che hanno accettato di essere qui sull’Incendiario, ad andare a costruire dei ritratti delle vostre personalità autoriali. Una seconda parte di domande si concentrerà invece sui tuoi Randagi, sul tuo romanzo proposto al Premio Strega scegliendo una modalità di intervista diversa per ognuno dei romanzi.
Partiamo, quindi, dalla prima parte, dalla tua presentazione incendiata:
Nome:
Marco.
Cognome:
Amerighi.
Nome del personaggio della letteratura in cui ti identifichi:
Vorrei poterne dire tanti, da Don Chisciotte a Massimo de Luca di Ferito a morte di Raffaele La Capria, ma dirò invece Reuben Land, l’undicenne protagonista e voce narrante di La pace come un fiume di Leif Enger. Perché nasce mezzo spacciato, per via di un grave problema d’asma, quindi umiliato, preso in giro, ultimo, destinato al fallimento. Eppure invece di darsi per vinto è convinto dal padre di essere toccato da un miracolo e con questa rassicurazione va nel mondo: impreparato, ridicolo, e romanticamente umano.
Tre aggettivi per descrivere te come scrittore.
Vario: perché quando scrivo attingo all’alto e al basso, alla cultura letteraria nella quale mi sono formato ma anche a quella popolare. Perché mi piace scrivere storie con tanta trama, ma non per questo rinuncio alla qualità della lingua e di uno sguardo letterario.
Generoso: perché non costringo i miei personaggi a fare un bel niente, piuttosto li studio, li accompagno e quando non è più il momento di stare loro accanto, li lascio. E perché contano solo loro, non io.
Libero: so da dove vengo e dove devo andare, ma non so qual è la strada che percorrerò per farlo. E questo non è un problema, anzi. Penso che mi dia modo di esplorare temi e forme che ancora non conosco. Come essere umano e come scrittore.
Tre aggettivi per descrivere il tuo romanzo candidato allo Strega, Randagi.
Sano, schietto e casto.
Che poi è la definizione che Malaparte dà della letteratura che vorrebbe scrivere. Nel mio caso casto è sinonimo di pudico, di una letteratura che fa i conti con la vergogna, che rifiuta di affondare il coltello nel dolore solo per provocare una reazione nel lettore, ma cerca al contrario il giusto posto da cui osservare, senza disturbare.

E per chiudere questa prima presentazione: Qual è il tuo Strega? A quale romanzo italiano avresti conferito il Premio Strega e perché?
Il libro che avrei voluto che vincesse lo Strega? Ultimo parallelo di Filippo Tuena. Perché è perfetto, non riuscirei a definirlo in altri modi.

Come ti avevo annunciato, per questa seconda parte di domande, ho pensato a un percorso esclusivo per ognuno di voi. Ho riscontrato nel tuo romanzo una forte componente sonora: Pietro Benati è un chitarrista, suonare è l’unica cosa che gli piace fare, l’unica cosa in cui è inizialmente riconosciuto come un genio. La condivisione attraverso l’uso della parola è il mezzo con cui i tuoi personaggi si fanno ascoltare. Ho scelto quindi dei periodi del tuo romanzo, parole che il loro suono ha rimbombato nella mia mente, parole in cui, secondo me, significanti aprono le orecchie a intimi significati. Ti riporterò questi periodi, e ti chiedo di raccontarmi la storia di questi, la loro nascita, il loro legame con i personaggi e cosa scatenano in te il suono di queste parole:
“Ti capita mai di sentire che, per quanti sforzi tu faccia, invece di avanzare fai soltanto passi indietro?» Pietro si chiese se doveva rispondergli, o se suo fratello non avesse ancora finito. Nel dubbio restò in silenzio.”
All’inizio del romanzo Pietro è a un bivio: accomodarsi a vivere una vita che non lo soddisfa ma che lo tiene al sicuro dai dolori e dai possibili fallimenti (in una famiglia troppo ingombrante e fatta di uomini straordinari), o partire per un altrove senza dubbio più stimolante ma al tempo pericoloso, perché magari foriero di incognite, insidie e sbagli.
Questa maledetta paura, ecco cosa tiene Pietro fermo ai blocchi. E lui al dubbio risponde con il silenzio, come strumento di rimozione, di medicina a ogni dolore. “Se non lo rammento, questo dolore non potrà sfiorarmi”. Ci metterà un bel po’ a capire che non si può rimuovere tutto. Per quanto ci si possa sforzare di ignorarla, la vita viene sempre a stanarci.
“Andrei sbadigliò. Si portò l’indice alla tempia e finse di spararsi un colpo. Erano quasi le tre. Balzò sul palco e gli sfilò la Telecaster dalle mani, si sedette sull’amplificatore dandogli le spalle, poi prese a sbattere le nocche su un accordo di Sol gridando:
Mi hai detto che il punk ti fa schiii-fo,
Mi hai detto che la birra ti fa schiii-fo,
Mi hai detto che il sesso ti fa schiii-fo,
e ora hai rotto il caaa-zzo!”
Andrei a la muerte è stato una promessa della musica punk. Ha aperto i concerti ai Clash, a Nico, a Nick Cave. La gente quando lo incontrava, vestico come un quinto Ramones (giubbotto di pelle, RayBan, jeans e sneakers) lo venerava come un santo. Ma trent’anni dopo, quando Pietro lo conosce, è ancora lì, impatananto nelle stesse acque dell’eterna promessa mai sbocciata. Ad alcuni potrebbe apparire patetico e fuori dal tempo. Ma Andrei è anche l’ultimo dei romantici: l’unico che ha tenuto fede a un’idea di musica e di società, che non deve per forza evolversi o progredire, come continuano a dirci tutti quanti, ma può restare sempre uguale a se stessa. Ed è questo che fa Andrei: resta uguale a se stesso, sfidando tutto e tutti, solo per preservare quel suo magico granello di purezza e di autenticità.
“Ascoltò un po’ di musica, giusto per non sentire le voci dei suoi familiari, alcuni secondi prima della mezzanotte si affacciò alla finestra.
Alle 00:02 lo schermo del suo cellulare si illuminò:
Spero che qst nuovo anno t porti quello che stai cercando, 1abbraccio”
Ancora musica e ancora rimozione.
La musica è l’altrove, il luogo dove rifugiarsi, nel quale immergersi come un fiume per scordare tutto quello che ci turba. Una ricerca che qui suona come un augurio del tutto speciale. Perché arriva per mano di un sms, (riprodotto con il font del Nokia che tanto ha influenzato le nostre vite negli anni Novanta e Duemila). Messaggi scritti rapidamente, spesso tutti attaccati, per non sprecare spazio e non dover spendere per un altro messaggio. Messaggi che ci hanno forgiato alla sintesi, quindi. Ma anche alla speranza. Perché quello era un tempo in cui gli sms erano come i messaggi nella bottiglia dei naufraghi: si inviavano ma non c’era garanzia che ci tornasse indietro una risposta. E non è un caso che in Randagi, assieme agli sms, ci siano telegrammi, cartoline, e-mail… perché era un tempo profondamente romanzesco, dove eravamo costretti ad aspettare e aspettando ci struggevamo, sbagliavamo, dimenticavamo; insomma, vivevamo in attesa di una risposta che, quando arrivava, suonava come il più inatteso dei miracoli.
“«Di cosa avrei bisogno?»
Dora gli cercò la mano ma Pietro la tirò via e scosse la testa.
«Di passare una notte con te ogni tre anni? In nome di quello che siamo stati?»”.
Dora e Pietro si incontrano in un momento sbagliato della loro vita ma non per questo si perdono. Adorno diceva che l’amore era trovare il simile nel dissimile. Ecco, non esistono persone più distanti di Dora e Pietro. Eppure, entrambi percepiscono qualcosa nell’altro, come una scintilla, una musica. Ed è per questo che non si dimenticano ma, anzi, quando il destino li rimetterà uno di fronte all’altra, si riconosceranno come simili, come animali di uno strano branco di sbandati che si sente inadatto a qualunque cosa, ma che si ama, come diceva Adorno, perché si riconosce.
Per chiudere e per salutarci ti pongo l’ultima domanda, che facciamo a ognuno dei nostri intervistato:
Consiglia un testo ai nostri lettori, un testo a tua scelta che secondo te è necessario leggere oggi.
È sempre necessario leggere la Grande letteratura: Flaubert, Conrad, Woolf, Plath, Joyce. Lì c’è tutto e ci sarà sempre tutto. Tutti i temi, tutte le belle parole che spesso per pigrizia dimentichiamo, come lettori e come scrittori. Ma poi dobbiamo anche esplorare: qualunque cosa, saggi, romanzi, forme ibride, tutto quello che le nuove generazioni partoriscono in questi tempi strani. Loro sono l’occhio che io non ho, e che mi aiuta a orientarmi, a interrogare il mondo, a togliermi di dosso la polvere dei miei anni.
Ringraziando Marco Amerighi per questo dialogo, e facendogli gli auguri per il futuro, un saluto da
Antonello Costa
Per leggere l’intervista a Fabio Bacà, autore di Nova, candidato al Premio Strega 2022: Clicca qui
Per leggere l’intervista ad Alessandra Carati, autrice di E poi saremo salvi, candidato al Premio Strega 2022: Clicca qui
Per leggere l’intervista a Marino Magliani, autore di Il cannocchiale del tenente Dumont, candidato al Premio Strega 2022: Clicca qui
Per leggere l’intervista a Jana Karšaiová, autrice di Divorzio di velluto, candidato al Premio Strega 2022: Clicca qui
Per maggiori informazioni su Randagi e per la pagina della casa editrice Bollati Boringhieri: Clicca qui
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Grazie.sata il mio prossimo acquisto!
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