Le mie vene pesano come macigni.
E passi.
E rumore, di storie che vanno.
Ho un corpo, ma è disteso.
Schiacciato, alzato, vecchio e nuovo.
Dove sono io?
A pezzi.
Grossi pezzi che muoiono, e che nella morte vivono. Attraversati, fotografati, immortalati dalle immagini di vecchi film.
I tuoi li ho visti spiando attraverso le crepe della mia pelle, oltre le mura delle mie ferite.
Là, dove dimorano come batteri gli umani, la luce danzava e il tuo lavoro scivolava.
Parlava anche di me.
E io sono grande, forse troppo per essere raccolta. Eppure ecco che rivedo le mie strade, e il mio sangue che zampilla dai crateri delle fontane.
Ecco che, nei silenzi delle tue immagini, sento la mia voce.
Dei tuoi passi, mi ricordo.
La tua voce ancora risuona tra le mie ossa.
Il tuo circo balla, nelle fessure del mio cuore.
Nel tuo sguardo, riesco a vedere l’immagine di me.
Una città che non può usare uno specchio. E si cerca dove può.
Tra le vetrine dei negozi, gli occhi di chi la osserva.
Addio Maestro Fellini,
per te, sono ancora senza colori e ricca di contrasti. Come solo tu mi hai saputa raccontare.
Dall’Eterna che hai fatto diva. Silenziosa e presente.