A proposito di una Repubblica che si chiama Aida

Giovedì sarà il 2 giugno, Festa della Repubblica, e per l’occasione ad aprire la settimana c’è la vostra Collins. Il che, se avete imparato a conoscermi almeno un pochino, significa che questo lunedì ha il sapore di polemica. Sì, rompo le scatole anche per il 2 giugno, perché non mi piace che questa festa sia diventata proprietà di nazionalisti di bassa lega che, con la scusa della celebrazione delle forze armate, colgono l’occasione per sproloquiare di immigrazione e altre amenità. E non mi piace manco ricevere buongiornissimi col tricolore – che tra l’altro spesso è pure quello irlandese – da parte di chi quotidianamente si lamenta di quello che non va senza mai agire. 

Celebrare la Festa della Repubblica dovrebbe significare festeggiare la libertà, quella di voto col suffragio universale e quella politica con l’abbandono della monarchia. Però ho paura che col tempo si sia perso il punto, di questa festa e dunque anche di questa libertà, e che ci si sia seduti sugli allori come se la repubblica fosse un risultato ormai raggiunto e consolidato, come una medaglia olimpica che una volta vinta rimane in una teca di cristallo in memoria dei bei tempi andati.

A me questa repubblica che sa di reliquia sinceramente sta un po’ stretta. Mi piacerebbe vivere in una repubblica che si sporca le mani perché si sforza di cambiare – sempre in meglio, s’intende. E proprio per questo, in occasione della Festa della Repubblica, ho deciso di prendere spunto da chi il 2 giugno non deve amarlo troppo, perché nel 1981 gli è costato la carriera e la vita. 

Rino Gaetano è stato un cantautore straordinario e visionario, un uomo a cui a distanza di oltre quarant’anni, pur non avendolo mai conosciuto di persona, sento di volere un bene profondo. Ed è forse ironia della sorte che sia morto proprio nel giorno in cui si celebra una repubblica di cui ha cantato con intelligenza e occhio critico, un’italianità sempre presente nei suoi testi.

Perché era il 1974 quando Rino cantava di operai con la schiena incurvata dal troppo lavoro e di braccianti esasperati da una vita di fatica e insoddisfazione. 
E sempre nello stesso anno, Rino denunciava le migrazioni massicce che interessavano il Meridione e tutti i poveri cristi in cerca di fortuna lontano da casa.
Ad esempio, a Rino piaceva… il sud, con le sue bellezze e le sue insanabili contraddizioni.
Ed era ancora Rino a parlare di politici corrotti, di speculazione edilizia, di aumento del prezzo della benzina, di guerra, di solitudine. 
Circa dieci anni di attività ma tematiche brucianti ancora nel 2022. E con le morti e lo sfruttamento sul lavoro, con il caporalato, con un sud-Italia che si sta spopolando, con gli scandali che periodicamente interessano la classe politica, coi cantieri mai conclusi, con la crisi energetica e la guerra alle porte dell’Europa, con tutto questo e molto altro, siamo davvero sicuri di aver raggiunto il nostro traguardo nel 1946?

Allora lancio una proposta: questo giovedì, ascoltate un po’ di Rino Gaetano (se siete a Roma, potete andare al Rino Gaetano Day al Sessantotto Village, per tutti gli altri c’è Spotify) e soffermatevi sulle sue parole. Pensate a quanta strada è stata fatta fino ad ora ma soprattutto a quanta ne manca ancora. In questo vi aiuterà Aida. E a questo punto, magari, vi unirete al mio appello: basta feste che guardano al passato, per favore. Abbiamo bisogno di giornate che ci proiettino verso il futuro e che ci spingano a migliorarci sempre, anche nelle piccole cose di tutti i giorni, non che ci facciano sentire come se avessimo già dato tutto quel che si poteva. Insomma, che il 2 giugno diventi la Festa della Repubblica che verrà. Ma forse questi sono solo i miei sogni d’anarchia.

Ascolta la playlist su Rino Gaetano creata da Collins: Clicca qui
Oppure:

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