Intervista a Francesca Tamani: La formula di Jane Austen

Francesca Tamani è una docente di lingue e letteratura inglese e francese a Parma, e collabora con la Cambridge University Press. I suoi interessi spaziano dalla linguistica alla didattica delle lingue, e ha già pubblicato un’opera prima dal titolo Luoghi comuni (Kriss Editore, 2020) e un romanzo La formula di Jane Austen (Kriss Editore, 2020).

Il modo in cui ho conosciuto Francesca è curioso e sicuramente originale: mi trovavo a un evento, organizzato dal gruppo Facebook “Nel mondo di Jane Austen”, che è da anni una tappa fissa per i Janeites di Roma e dintorni: lo squisito Picnic con Jane Austen. Durante il ritrovo l’obiettivo è tuffarsi nel primo Ottocento, portare con sé cappellino e cestino da picnic e passare un pomeriggio in compagnia di appassionate/i e accompagnatori giocando a cricket o badminton. In questa occasione ho incontrato la nostra autrice Francesca, ospite speciale dell’evento dello scorso giugno: la sua ultima pubblicazione La formula di Jane Austen (Kriss Editore, 2020) unisce chiunque sia appassionato/a di Jane Austen.

Carissima Francesca, quando ti ho conosciuta non potevo lasciarti andare senza chiederti un’intervista per il nostro blog che si occupa di letteratura e su cui il nome di Jane è stato citato spesso. Ho letto con piacere il tuo libro, che ha come punto cardine una citazione poco famosa della scrittrice «Ricordate del passato solo ciò che vi fa piacere». Vorrei chiederti, come riesci ad applicare questa massima nella tua quotidianità?

La citazione di Jane Austen che riporto in modo volutamente ripetitivo nel mio libro proviene dal famoso romanzo Orgoglio e pregiudizio. Un libro letto più volte nel corso dei miei studi e che recentemente mi è stato regalato al ritorno da un viaggio a Bath da una giovane amica che me lo ha donato accompagnato da un biglietto che riportava proprio questo aforisma “Ricordate del passato solo ciò che vi fa piacere”. Frase che ha provocato in me una riflessione portandomi, poi, ad intraprendere un viaggio nella scrittura e nella mia storia personale. Vagliando a ritroso il mio percorso di vita fatto di esperienze sentimentali, lavorative e umane in genere, ho adattato questa massima al flusso dei miei ricordi, arrivando addirittura a provare una sensazione di appagamento anche nel ricordare episodi che un tempo parevano dolorosi e amari ma che con la consapevolezza di oggi risultano preziosi e talvolta piacevoli. Applicando ai miei racconti e alla mia quotidianità questa che ho voluto definire “una formula”, cerco, quindi, di cogliere il lato positivo del mio quotidiano, trattenendo solo il bello che la vita mi riserva, lasciando andare il più possibile le ombre e le negatività. Una sorta di ingenuo e salvifico fatalismo, che mi porta ad osservare gli eventi e gli ostacoli della vita come opportunità da cogliere o lezioni dalle quali trarre un insegnamento.

Continuando a parlare di quotidianità, sei un’insegnante di inglese e francese. All’inizio del libro racconti di questo tuo ruolo e di come sia a volte complicato trasmettere una scrittrice come Jane Austen agli adolescenti, a cui quel mondo sembra così lontano e nebuloso. Immaginando che ci sia Jane Austen dietro la porta e tu potessi dare una chiave ai tuoi studenti che possa incuriosirli tanto da decidere di usarla, quale sarebbe?

Ogni anno quando arriva il momento di entrare in classe e di parlare ai miei studenti adolescenti di Jane Austen, si ripropone puntualmente lo stesso interrogativo. Come avvicinare le giovani generazioni ad un’autrice così lontana nel tempo? Poi, mentre inizio a raccontare i fatti più salienti della sua vita, l’interesse arriva in modo spontaneo, senza forzature, provocato dall’immagine più vera e sincera che riesco a trasmettere di questa giovane scrittrice che aveva dedicato totalmente la propria vita alla scrittura. Nessun marito, niente figli, né lavoro; soltanto lei e i suoi libri. Un’immagine che paradossalmente appare come prepotentemente moderna ai loro occhi, ossia, quella di una giovane donna che si dedica completamente alla sua grande passione tralasciando tutti gli altri aspetti della vita. Successivamente però, dopo questo primo approccio, si fa avanti un altro tipo di reazione, subentra, infatti, una sorta di risentimento che serpeggia in loro quando sottopongo un’altra nota biografica. L’aspetto che ottiene lo sdegno dei miei studenti è il dato che le donne all’epoca di Jane Austen non potessero firmare i propri libri perché ritenuto sconveniente e che quindi dovessero celarsi sotto pseudonimi o nomi maschili. La stessa Jane Austen si firmava a Lady. I miei giovani studenti avvertono immediatamente lo scarto enorme tra l’estrema libertà che essi possiedono oggi e di contro lo scarso riconoscimento sociale che era riservato alle donne all’epoca della scrittrice, elemento catalizzante che racconto proprio nell’introduzione del mio libro volutamente e ostinatamente dedicato a questo tema.

Una cosa che amo da sempre del mondo austeniano sono le lettere scritte a mano, perché credo che dimostrino ancora oggi una cura nei confronti di chi la riceve che non ha eguali: leggendo il libro penso che lo stesso valga per te. A volte però non vengono apprezzate da tutti ma, come Jane Austen insegna con l’esempio della sua vita, credo sia essenziale rimanere fedeli a sé stessi. Tuttavia, soprattutto da adolescenti, sentirsi diversi dai coetanei potrebbe condizionare di più e limitare la personalità. Come pensi si possa trasmettere il valore dell’unicità a scuola?  

Il tema dell’unicità è uno dei nuclei educativi attorno al quale ruotano le attività e le proposte che la scuola, oggi, cerca di sottoporre agli studenti. Su di esso si incentra la maggior parte del dibattito e del dialogo educativo e rappresenta la sfida principale di ogni docente e di ogni educatore implicato nel cammino di crescita dei propri alunni. Non esiste una formula magica che ci consenta di trasmettere questo che io considero un valore. Esiste un lavoro quotidiano fatto di ascolto e di dialogo dedicato a stimolare l’autostima di ogni singolo ragazzo che abbiamo di fronte. Sicuramente la letteratura può venirci in soccorso e contribuire ad instillare nello studente che si avvicina ad un passaggio particolarmente significativo, una sensazione di unicità riconoscendosi nelle parole di chi ha scritto prima di noi. L’unicità è, quindi, il sentirsi speciali poiché toccati da un pensiero o da una riflessione. Unicità è il cogliere il valore di un gesto, la bellezza di una lettera scritta a mano, ad esempio, e il suo essere speciale ed irripetibile proprio come lo possiamo essere noi.

Una frase del secondo capitolo in cui racconti di un giro in mongolfiera che hai fatto da bambina mi ha ricordato le Lezioni americane calviniane e la sua idea di leggerezza «leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore». Pensi che questa frase si possa associare alla citazione di Austen, e in che modo?

Il secondo capitolo è quello al quale sono maggiormente affezionata e che mi è costato più sofferenza scrivere. Una narrazione profondamente intima che oscilla continuamente tra il peso del ricordo e la leggerezza della mongolfiera che ne diventa un simbolo. Trovo azzeccato il paragone con il concetto di leggerezza di Calvino poiché il peso della memoria, del ricordo, di una storia personale assumono una consistenza lieve come quella della mongolfiera che vola verso l’alto rendendo delicato un dolore che non è più un macigno sul cuore ma una sorta di liberazione nel riuscire finalmente ad esternarlo. Allo stesso modo, la bellezza della scrittura di Jane Austen sta proprio in questo, nell’avvolgere in una patina di leggerezza e delicatezza trame, intrecci e personaggi spesso complessi. La lievità di una narrazione che ci regala con grazia i moti dell’animo di personaggi che li sperimentano intensamente ma che ci vengono offerti con toni misurati e privi di esasperazione. La scrittrice riesce sempre a presentare al lettore una visione filtrata, leggera, ingenua e innocente ma mai superficiale o priva di contenuti e di spessore.

Ciò che mi ha colpito del tuo libro sono le definizioni, impaginate a mo’ di vocabolario, che fungono da richiamo interno per il lettore nei vari capitoli. Il linguaggio e le parole sono fondamentali, anche se spesso la percezione comune sembra andare verso il pensiero opposto (mi vengono in mente le discussioni recenti su un linguaggio più inclusivo); tu credi che a scuola e fuori si possa trasmettere quest’importanza? Cosa si può rispondere a chi chiosa dicendo “ci sono problemi più gravi?”

Credo che la parola e il suo significato siano fondamentali. Li definirei veri e propri cardini del linguaggio. Non si può demandare a una semplificazione o a scorciatoie neppure in nome di una maggiore inclusività. La parola e i suoi segni sono i capisaldi del narrare e della comunicazione verbale in assoluto. La lingua è, allo stesso tempo, concetto, forma, suono, contenuto e strumento. Credo nell’importanza di trasmettere il valore del linguaggio nella sua purezza e nella sua ricchezza, poiché i messaggi che noi inviamo ai nostri studenti, ai nostri colleghi o semplicemente a persone con le quali ci rapportiamo quotidianamente assumono valore e contenuto nel momento in cui sono veicolati da una veste adeguata e corretta. Non credo che in nome di una maggiore inclusività si possa giustificare il soprassedere rispetto ad un appiattimento del linguaggio.

In qualità di studiosa della lingua e letteratura inglese, credo tu viva ogni giorno una sorta di dicotomia tra lingua inglese e lingua italiana. Nei discorsi divulgativi spesso promossi sui social, ad esempio dalla sociolinguista Vera Gheno, in molti accusano una morte della lingua italiana a causa degli inglesismi presenti. Naturalmente, a fronte di una lingua naturale in continuo movimento e dell’accoglienza di tecnicismi inglesi (soprattutto in ambito informatico), questo mutamento sembra inevitabile. Cosa ne pensi? Si va verso una deriva lessicale o c’è solo disinformazione?

Durante una mia recente lezione ho illustrato ai miei studenti come la lingua sia un’entità in continuo divenire. La lingua italiana viene spesso contaminata dalle lingue straniere, prima tra tutte l’inglese. Così come l’inglese a sua volta appare sempre più contaminato da altre lingue quali ad esempio il coreano. Ne è prova l’inserimento nell’Oxford Dictionary di numerosi neologismi. Ho dedicato recentemente proprio un articolo a questo argomento sottolineando questa importante fase ed analizzando la commistione che ha generato questi nuovi vocaboli inclusi nel prestigioso e storico dizionario britannico. Credo che questo processo di interscambio sia sempre più inevitabile, proprio perché la lingua è il risultato dell’evoluzione di una serie di componenti. Le lingue storicamente sono state oggetto di una modificazione naturale, lenta e progressiva, dettata da fattori storici, politici, geografici e sociali. Questo, tuttavia, non significa che si debba forzatamente andare incontro ad una vera e propria deriva linguistica. Penso, invece, che sia necessario, soprattutto in ambito scolastico, da una parte accogliere questi nuovi elementi linguistici ed imparare ad adeguarsi ad una lingua che muta continuamente, ma dall’altra sostenere e difendere la bellezza della nostra lingua italiana e attraverso la lettura e la conoscenza dei grandi autori, evidenziare la ricchezza del nostro patrimonio letterario e linguistico.

Una domanda più personale: cosa ti fa battere il cuore quando leggi i romanzi di Jane? E cosa pensi che possano ancora trasmettere a chi decide di approcciarsi per la prima volta a questa autrice?

L’approccio che nel corso degli anni ho un po’ sempre avuto nei confronti dei romanzi di Jane Austen è quello di una continua ricerca. Contrariamente ad alcune analisi che mi capita di leggere su vari testi di critica letteraria, credo che non sia semplice fermarsi ad una prima lettura e limitarsi a racchiudere in una definizione netta e finita la scrittura di Jane Austen. La convinzione che i romanzi di Jane Austen siano affascinanti proprio perché estremamente inafferrabili è maturata nel corso di diversi momenti della mia vita fino a divenire una vera e propria certezza. Credo che questa percezione provenga dal fatto che la scrittura di Jane Austen sia di una ricchezza infinita. La complessità dei personaggi, la ricchezza psicologica e interiore attribuita ad essi, le innumerevoli sfaccettature di ogni carattere pongono il lettore di fronte a un complesso scenario che non si può cogliere appieno se non dopo svariati approcci. Tuttavia, dovendo rispondere alla domanda circa l’aspetto delle opere di Jane Austen che più di tutti suscita ancora oggi, dopo svariate letture, le mie emozioni sicuramente affermo essere la profondità del mondo interiore dei personaggi. La bravura nel dipingere l’animo femminile e la cura e il pudore nella definizione dei sentimenti più profondi.

Infine, chiudiamo ogni nostra intervista con il chiedere quale libro vogliono consigliare ai nostri lettori e alle nostre lettrici e perché (facciamo che non valgono i libri austeniani!)

La scelta di un titolo da consigliare ai lettori appare piuttosto ardua. Avendo gusti che toccano i generi più svariati e amando profondamente più di un autore, proporre un solo testo è davvero complesso. Per questo motivo ho deciso di ispirarmi alla citazione che mi è stata offerta durante l’intervista e, riprendendo il concetto di leggerezza di Calvino, suggerire alcuni titoli che evocano per certi aspetti una narrazione apparentemente leggera e disimpegnata ma che in realtà sottendono a tematiche complesse e importanti. Il primo, un testo ironico e originale, è Ho servito il re d’Inghilterra di Bohumil Hrabal. Un romanzo mirabolante e ricco di avvenimenti che ruota tutto attorno al protagonista che attanagliato dalla sua bassa statura, si muove tra le vicissitudini della vita con sarcasmo e irriverenza. Un altro romanzo che vorrei consigliare è La luna e sei soldi di William Somerset Maugham, la storia di un uomo che ad un certo punto della vita, abbandona moglie e figli e decide di intraprendere una vita da bohèmien. La storia di un artista raccontata sul filo di una scrittura ricca ed ipnotica. Infine, un romanzo pubblicato recentemente, Eleanor Oliphant sta benissimo di Gail Honeyman, la storia di una giovane donna che dietro ad un aspetto apparentemente anonimo e una vita banale e ripetitiva, nasconde un mondo interiore complesso e dai tratti drammatici. Al termine di questa carrellata di titoli che hanno come filo conduttore la citazione Calviniana, non posso non fare riferimento anche ad un racconto di Pirandello che da sempre mi affascina per la precisione dell’impianto stilistico e narrativo utilizzato per raccontare con leggerezza, ma allo stesso tempo, toccando note profondissime la crisi di un individuo. Si tratta del racconto dal titolo Il treno ha fischiato, contenuto nella raccolta Novelle per un anno. In questo testo si coglie la bellezza della scrittura di Pirandello, il suo linguaggio asciutto e preciso attraverso il quale egli costruisce un procedimento umoristico sottile, mostrando il serio nel ridicolo, la comicità nella follia, la leggerezza nella tragedia dell’alienazione mentale.

Cogliamo l’occasione per ringraziare ancora Francesca Tamani per l’intervista, che ci ha regalato un’intervista poliedrica con tanti spunti di riflessione sulla letteratura, sulla scuola e sulle lingue.

Link diretto all’articolo di Francesca Tamani citato durante l’intervista: https://www.mlaworld.com/blog/k-english-come-la-cultura-orientale-influenza-sempre-gusti-e-linguaggio/

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Gloria Fiorentini

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