Antonio Semproni, classe ’88, è un avvocato e scrittore. La sua opera prima, Rime in prima copia, Controluna edizioni, è uscita nel 2020, mentre del 2022 è Mercati & Mercati, seconda raccolta di poesie quasi totalmente inedite. Quest’ultima raccolta si concentra sull’economia di libero mercato e sulle sue ricadute: dalle morti bianche alla precarizzazione, per arrivare alla costituzione di quello che Marx chiamava “esercito industriale di riserva”.
Antonio, grazie per questa intervista. La mia prima domanda è: come nasce l’idea di questa raccolta, e come si collega alla tua precedente pubblicazione? Vi sono analogie e differenze?
Questo libro nasce con intenti culturali, come una presa di posizione economica e politica: il tema concettuale intorno a cui si fonda è quello del libero mercato. Il testo precedente era invece più un esercizio di stile, in cui l’unico vincolo era tenere fede alla forma, quella della rima, ma non vi era una precisa ricerca concettuale. Qui sono partito con l’intento di fare una critica dell’economia di libero mercato, partendo da alcune poesie nate spontaneamente, alle quali ho deciso di dar seguito creando un’omogeneità.
E chi è l’ispirazione di questa poesia impegnata?
Mi ha ispirato per la creazione di una poesia sociale la poetessa Laura Accerboni: ha una penna riconoscibile e riesce a smascherare la violenza sociale in maniera impeccabile. Da Jacques Prévert ho ripreso l’uso dei climax, lui è un semplificatore (e non semplicista) e lo considero molto, cosi come ho sentito le influenze di Lawrence Ferlinghetti e Gregory Corso.
Questa tua critica sociale si rivolge a qualcuno in particolare? Chi ti immagini come lettore ideale, in senso echiano, il giovane che si rispecchia nelle tue parole o l’imprenditore di mezza età affermato che sembra non volerle sentire?
Il mio lettore ideale sarebbe probabilmente un socialista (inteso in senso lato). Naturalmente mi auguro che possa essere letto anche da chi semplicemente disapprova il sistema economico in cui siamo immersi, da persone che abbiano un minimo di coscienza politica ed economica. Mi piacerebbe anche che il testo potesse instillare un dubbio nella mente di chi trae giovamento da questo sistema, come, per esempio, un imprenditore affermato. Proprio per questo mio intento di arrivare un po’ a tutti, il mio stile non è complesso: mi piacerebbe che chiunque leggesse il testo si indignasse e da qui riflettesse per poter approfondire in proprio, magari anche leggendo gli autori cui faccio riferimento (sia economisti che poeti).
Il tuo attacco principale è al mondo economico odierno. Pensi la concezione del lavoro, dei lavori di serie A e di serie B, si sia evoluta? Mi vengono in mente i continui dibattiti tra adulti e giovani lavoratori, per i quali il parametro dell’esperienza lavorativa sembra essere totalmente distorto.
Penso che l’esperienza ad oggi richiesta sia irraggiungibile: è giusto che ci sia un percorso formativo esperienziale, ma ormai siamo in perenne formazione. Questo senso di continua inadeguatezza, di non essere mai abbastanza, porta spesso al rischio di ripetuti burn-out: ogni volta che stiamo per realizzarci scoppiamo perché non vediamo mai la fine di questo processo di realizzazione del sé oeconomicus, abbiamo troppe sfide davanti. Non c’è più stabilità nella vita, in senso quasi biblico, adesso ci sono continui momenti di sfida per crescere: ci siamo mai interrogati davvero su cosa voglia dire? Paradossalmente, la crescita non è mai spirituale. Mi riallaccio a un’altra lettura La società della stanchezza del filosofo coreano Byung-Chul Han: nel momento in cui ci dovremmo sentirci realizzati in realtà saremo in burn-out perché ci accorgeremo che avremo dato troppo per sostenere le sfide.
A riguardo penso a una delle mie preferite della raccolta, In piccolo: oggi vengono richieste tante competenze per uno stipendio a dir poco esiguo per far fronte al costo della vita sempre più alto, sembra essere un circolo vizioso. Dove pensi risieda il problema, nei giovani che pretendono troppo o nella svalutazione delle semplici conoscenze a fronte della lodatissima esperienza?
In piccolo
In piccolo da “Mercati e mercati” di Antonio Semprioni
Faccio dieci o quindici lavori
ma tutti molto in piccolo
altrimenti non starebbero in un monolocale
tante personalità diverse
se solo potessi permettermi un attico
per buttarne qualcuna di sotto
In quel testo il lavoratore di cui racconto vorrebbe arricchirsi per sbarazzarsi di tutti i piccoli lavori che è costretto a svolgere e che gli impediscono di vivere tranquillamente. In questo senso, per me tutti andrebbero pagati il giusto affinché sia garantita un’esistenza dignitosa, perciò trovo sempre più pressante la necessità di fissare un salario minimo. Bisogna gestire il lavoro full-time e quello part-time, senza cercare di creare una sfida tra i due, né classificare i lavori come di serie A e B.
Questo senso di continua sfida, secondo te, nasce fina dai banchi di scuola?
Certamente. Non frequento più da un po’ il mondo della scuola, ma credo che sia fuoriuscito dai suoi intenti educativi. Prendiamo l’alternanza scuola-lavoro: penso che non faccia bene, perché i ragazzi vengono semplicemente buttati in mezzo alla mischia, a volte anche a rischio e pericolo della loro sicurezza, mentre dovrebbero solo fare visita nei luoghi di lavoro per capire come funziona un certo lavoro e se può interessar loro.
Com’è invece il tuo rapporto col mondo del lavoro? Te lo chiedo perché so che sei laureato in Giurisprudenza, ma nella raccolta ti riferisci a tanti lavori partendo dal cameriere, un lavoretto part-time soprattutto svolto da studenti, per arrivare all’operaio padre di famiglia che non riesce a mantenere la sua famiglia. La raccolta nasce anche da un bisogno personale di rabbia contro quello cui ti sei scontrato?
Nasce naturalmente da un mio bisogno, fortunatamente ho avuto una situazione abbastanza tranquilla a lavoro. Anch’io ho fatto il cameriere mentre studiavo e so come ci si sente a fare dei “lavoretti” spesso sottovalutati e sottopagati. Il libro nasce da uno spirito di osservazione: ho voluto creare una cronistoria, una sorta di racconto corale del mondo del lavoro e dei lavoratori in particolare.
Pensi che la poesia, la letteratura possano ancora cambiare il mondo/i giovani?
Io mi sono reso conto che la poesia può essere interdisciplinare: la poesia può essere il respiro dell’atmosfera del tempo in cui viviamo, e, con l’ausilio di altre discipline anche scientifiche (come il mio campo economico-giuridico) la poesia diventa una condensa dei vapori che rimestano nel pentolone dei campi del sapere. Il poeta deve essere non solo un buon lettore di poesia per poter trovare la propria voce, ma deve essere una cassa di risonanza per ciò che poesia non è.
Concludiamo con l’ultima domanda che rivolgiamo ai nostri intervistati: quale libro/podcast/serie consigli ai nostri lettori?
Te ne consiglio diversi: innanzitutto le poesie di Laura Accerboni in particolare Acqua acqua fuoco; la rivista socialista online La fionda, che critica del sistema dominante offrendo contributi e spunti sempre interessanti. Come saggio consiglio Realismo capitalista di Mark Fisher; edito in italiano da NOT, una collana di Nero Editions, infine George Orwell e Jack London a cascata.
Cogliamo l’occasione per ringraziare il nostro Antonio per l’intervista, invitandovi a leggere la sua raccolta Mercati & Mercati edita per Transeuropa, 2022, di cui vi lasciamo di seguito un breve estratto.
I medici del lavoro avvicinano lo stetoscopio
Medicina del lavoro di Antonio Semproni
alle mura della fabbrica
quanti starnuti?
quanti colpi di tosse?
quanti rantoli al minuto?
si devono stilare statistiche
che non guardino in faccia nessuno
Se si accasciano sui pomodori
Braccianti di Antonio Semproni
la scena non è attrezzata per il sangue
nemmeno finto
vanno raccolti all’istante
trascinati nei casolari
senza risciacquo
nella pubblicità non compare la faccia
nella passata non va la pelle
Se i bulloni fossero stati
Morti bianche di Antonio Semproni
immacolati come i bottoni sullo sparato
sigillati come il feretro
forse sarebbero venuti ad applaudire
ma avrebbero trovato i loro eroi troppo indaffarati
preferiscono statue silenziose, la solennità di un museo