L’anello

“L’anello” di Tarek Komin

Si tolse la camicetta e il reggiseno, mise il pigiama e in un attimo si infilò sotto il piumone in cerca di calore. Lui era ancora in cucina, a finire il suo bicchiere di porto. All’inizio le piacevano quelle sue piccole manie. Il porto della domenica sera Giorgio se l’era inventato dopo il viaggio a Coimbra. Prima di andare a dormire se ne versava due dita e si metteva alla finestra, scostando di tanto in tanto la tenda ambrataper guardare verso l’orizzonte, oltre la chiesa e il campetto da calcio, in atteggiamento di meditazione. Prima ancora c’era stata l’infatuazione per l’ippica, per fortuna di breve durata. Qualcosa entrava nei riti quotidiani, altro attraversava la loro vita di coppia come una meteora, lasciando talvolta qualche traccia ghiacciata, un gesto, una frase, un oggetto dimenticato. Quando saremo sposati vorrei essere coinvolta un po’ di più nelle tue decisioni o anche in queste tue fissazioni improvvise. Forse era quello che lo spaventava, il parziale sacrificio di libertà. Ma come poteva temerlo, col suo lavoro totalizzante che lo portava via quando lei meno se lo aspettava?
Passi nel corriodio. «Vado in bagno e arrivo».
«Sbrigati, non senti freddo?».
Lui chiuse la porta e presto arrivo lo scroscio. Davvero si illudeva ancora che non lo sentisse pisciare dalla camera da letto, o peggio? Forse anche quello lo infastidiva, la privacy sacrificata, ma se già convivevano da un po’? Si rigirò sotto il nido di copertementre lui tirava lo sciacquone. E poi arrivò il ronzio dello spazzolino elettrico, pena che aveva imposto anche a lei. Come il filo. E quella non era una mania passeggera.
Chiuse gli occhi. Ora fingo di dormire. Magari mi evito il pippone sul pigiama di seta. Due mesi che ne parla ma non lo compra perché costa troppo. Però per ildipinto con l’amazzone nuda che ingombra il salotto non ha badato a spese.
Sbadigliò mentre lui entrava nella stanza.
«Dormi, amore?».
«Quasi. Tu leggi?».
«Un po’».
Ok, niente pigiama di seta, stasera. Spero spenga la luce presto. Chissà se gli piacerà il cachemire che gli ho preso per Natale. Chissà che mi ha regalato.
Scivolò nel sonno.

**

Jingle bell rock riempiva il bar, quasi soffocante, era già la terza volta che ripartiva a loop dagli altoparlanti sopra il bancone. Il cameriere era un ragazzino, senza un pelo in faccia e dalle gote rossicce, come se fosse imbarazzato a servire da bere a due donne come loro. Ma la colpa era di Silvia, troppo scosciata per un aperitivo in inverno a metà settimana.
«Ditemi se volete altre patatine», disse dopo aver poggiato i drink sul tavolino nero.
«Grazie».
Lei aspettò che il cameriere si allontanasse: «Silvia ma non senti freddo, vestita in quel modo? Senza calze?».
«Quando passo a fare gli auguri ai clienti e a consegnare le strenne mi piace vestirmi elegante».
«Sei stata anche in azienda da Giorgio? Non mi ha detto niente».
«Non ancora, ma non aspettarti un granché come pacco di Natale. Quest’anno è un po’ più magra».
«Hai risparmiato per quelle scarpe, in compenso» rise, «Sai che ti prendo in giro Silvia, stai benissimo».
L’amica prese il negroni e lo sollevò in alto: «Allora Nicole, a cosa brindiamo?».
«A questo pezzo che non finisce mai», fece tintinnare i bicchieri e bevve un sorso, «Forte, ma buono. Silvia, devo raccontarti una cosa». Una piccola pausa per coltivare la curiosità.
«Dai, parla».
«Ho trovato una cosa. Una busta di Giorgio, aveva chiuso male la sua parte d’armadio. Stava nascosta dietro un guanciale».
Silvia avvicinò il bicchiere alle labbra e commentò: «Si fa interessante».«Sai di chi era? Una bustina di Barfolotti».
«No, il gioielliere?».
«Sì» appoggiò il cocktail sulla superficie liscia del tavolino e scandì piano: «Ho trovato un anello».
«Oddio, Nicole».
«È stupendo, un solitario con un diamante a cuore! Credo ci siamo. Non mi sembra vero».
Silvia sorrise e alzò di nuovo il drink: «Dovremmo ordinarne un altro».
«Già» mormorò. Si accorse di avere il tono tremolante. Era la prima volta che lo diceva a voce alta. Le avrebbe chiesto di sposarla. Adesso Silvia era testimone, non era un sogno. Era tutto vero.
«Barfolotti! Che colpo Nicole. Quando te lo darà secondo te?».
«Manca poco a Natale, mi piacerebbe una dichiarazione sotto l’albero. Lui ci tiene a questi riti».
Silvia finì il suo negroni: «E se ne va così uno degli ultimi scapoli decenti di questo paesino del cazzo. E brava la mia amica!».
Nicole sorrise: «Se continui a vestirti così sarai sommersa di proposte».
Silvia chiamò con un cenno della mano il cameriere. Jingle bell rock ripartì per l’ennesima volta.
Mentre il ragazzo si avvicinava si sporse verso di lei, la camicia vaporosa lasciava intravedere il push up: «E che ti fa pensare che non l’abbia già ricevute?». Strizzò l’occhio.
«Cosa? Dimmi tutto!».
«Non prima di un altro giro. Scusami, tesoro ce ne porteresti altri due?».

** 

Giorgio appoggiò le chiavi di casa nel portaoggetti sul mobile tv, vicino all’ingresso: «Dai, sbrigati Nicole». Quindi si tolse il piumino e la sciarpa, gettandoli sulla poltrona. «
È quasi mezzanotte. Non possiamo scambiarceli domani?».
«Ma è più bello la sera della vigilia. Vado a prendere la busta».
Non rispose che avrebbe preferito la mattina di Natale, come da bambina. Si sfilò il cappotto e lo ripose sul divano vicino alla libreria del salotto, riverberata a intermittenza dalle luci colorate dell’albero. Almeno mi darà subito l’anello. Chissà se si inginocchierà?
Prese il regalo per Giorgio sotto l’abete. Lui nascondeva sempre quello che le acquistava perché non voleva che lei ne intuisse il contenuto dalla forma del pacchetto. Quell’anno però era riuscita a scoprire la sorpresa. Fu indecisa se andare in bagno per prepararsi al momento storico ma Giorgio rientrò in salotto.
«Eccomi. Allora, prima io o te? O insieme?». La busta non era quella di Barfolotti. Pensava di fregarla? Forse aveva architettato qualcosa.
Gli diede il suo regalo e lui apprezzò il cachemire. Quindi, obbedendogli, chiuse gli occhi e attese. Si aspettava di scoprirlo genuflesso invece si ritrovò in mano un pacco rettangolare, più grande e pesante di quello di un anello.
«Dai, scarta».
Spacchettò facendo cadere la carta sul parquet: «Un MacBook».
«Ho pensato che ti avrebbe aiutata per il lavoro, per la grafica e… cos’hai? Non ti piace?».
«Ma certo, certo che mi piace».
«Non si direbbe. Hai una faccia».
«Macché», sorrise «Solo che non me lo aspettavo. È troppo».
Dammi l’anello, adesso.
«Mi faceva piacere, Nicole» le si avvicinò e le diede un bacio.
Se me lo dai ora è perfetto.
Giorgio si scostò e indicò i pacchi vicino al vaso che profumava di resina: «Apriamo quello di Silvia?».
Che blateri?
«Perché no? Anche se ha detto che quest’anno è più piccolo».
Forse ora che si abbassa tira fuori l’anello.
«Lo ha detto anche a me. Avresti dovuto vedere come si è presentata vestita in azienda, ha fatto girare la testa ai ragazzi del magazzino».
Che fai?
«Silvia è così» rispose incerta.
«Dai appoggiamolo sul tavolo in cucina». Giorgio scomparve in corridoio, la sua voce la raggiunse: «Li porta bene i suoi anni, va ancora in palestra?».
«Come?».
Che cazzo fa? Forse me lo ritrovo in ginocchio vicino al frigo.
Invece stava armeggiando con un coltello per aprire il pacco.
«Dicevo se è sempre ossessionata dal fitness. Mi fa ridere perché ogni anno ci porta la roba più grassa. Guarda qua: salume di cinghiale. Sugo d’oca. Pecorino, buono».
Lo osservò estrarre anche una bottiglia d’olio, una di vino e un panettone, restando in silenzio.
«Altro che più piccolo, è stata gentile anche quest’anno».
«Con tutto il lavoro che le dai», si accorse di avere un tono aspro. Gli occhi di Giorgio si posarono su di lei, forse senza intuire.
«Nicole testiamo il Mac e magari ci facciamo un porto? Preparo i bicchieri. Prendimi il maglione che voglio provarlo».
Lei scomparve in salotto senza rispondere.

**

Giorgio aveva perfino il coraggio di russare, indifferente, mentre lei non riusciva a dormire. Non era la destinataria dell’anello, era evidente. Non gliel’aveva dato la sera di capodanno e nemmeno fatto trovare nella calza. Poi era andato con uno dei suoi agenti nel varesotto, all’improvviso, lontano per due giorni. Al dieci di gennaio l’anello era ancora al suo posto, nella busta dietro al guanciale. Almeno non se l’è portato via, quella troia non è in Lombardia, la storia dell’agente era vera. Scarna consolazione, Nicole era convinta che avesse un’amante. Era tornato, troppo stanco per sfiorarla, troppe ore di macchina. Una scusa? Perché ha dovuto fare un salto in ufficio al rientro? Non poteva aspettare domattina? Si rigirava nel letto senza riuscire a prendere sonno mentre lui ronfava, un suono vibrante e intenso che si univa di tanto in tanto a quello delle auto che si trascinavano blande lungo la strada. Dagli scuri filtrava debole la luce del lampione e formava sulla cassettiera un’ombra a mala pena visibile, forse il velo lattescente delle tende.
Chiuse gli occhi ancora, stanca di soffermarsi sui dettagli per cercare di distrarre la mente. I pensieri vagavano, imprevedibili e a diversa velocità, emergevano come bolle gassose in un bicchiere, da un pozzo tetro, per esplodere in superfice e darle il tormento.
L’anello.
Era lì, nell’armadio, oltre il corpo di Giorgio, a meno di tre metri da lei. Ma non era per lei. Giorgio emise un mugolio e si girò su un fianco. Smise di russare ma respirava emettendo un rumore strascicato e nasale.
Di colpo Nicole spalancò gli occhi. Non poteva essere ma trovò logica e plausibile quell’intuizione: Silvia.
La sua cara amica Silvia, grazie a cui si erano incontrarti, che stampava per l’azienda listini e brochure di merda, che si presentava mezza nuda a fare il giro delle strenne e che si era rattristata quando aveva saputo dell’anello.
Chi altro poteva essere sennò l’amante? Che attrice. Quel discorso sullo scapolo decente. La prendeva per il culo. Già si pregustava l’anello. E se invece lei non c’entrava nulla? Non sopportava quella tensione né l’incertezza. Ma non poteva tradirsi, doveva controllarsi, cercare di indagare, di capire.
Diede un calcio al polpaccio di Giorgio sotto le coperte.
Lui si svegliò di soprassalto: «OH!».
«Scusami Giorgio, stavo sognando. Rimettiamoci a dormire».
«E che sognavi? Mi ha dato una botta! E mi batte il cuore».
«Sono stanca, scusami, dormiamo».
Bastardo!

**

Nicole uscì dalla sala giochi Arcade2000 al crepuscolo. I lampioni si erano accesi e il cielo aveva ancora tinte viola e blu ceruleo. Alzò il bavero del cappotto, il vento preannunciava una serata gelida. Odiava gennaio, lungo e noioso, quando le giornate si allungavano lente, quasi lo facessero di nascosto.
Attraversata la strada, si voltò. Oltre le luci del semaforo lampeggiante che non aveva mai funzionato l’insegna della sala giochi crepitava. Non era cambiata molto, eppure erano trascorsi più di vent’anni dall’ultima volta che ci aveva messo piede. L’ambiente meno fumoso ma sempre abbastanza buio, qualche cabinato in meno però il solito biliardino al centro della stanza. E lo stesso storico gestore senza età, baffi e capelli bianchi simili alla foto sul manifesto elettorale che lei si ricordava così bene perché la finestra della sua stanza da bambina dava sul muro delle affissioni. Roba da Prima Repubblica.
Riprese a camminare verso l’auto, a passo svelto. Se quella bambina che con la fronte al vetro osservava l’attacchino avesse potuto vedere se stessa nel futuro in quel preciso momento che avrebbe pensato? Stupore o vergogna?
In sala giochi non era andata come se lo immaginava. I ragazzi erano molto più schivi e intimoriti di quanto fossero stati i suoi compagni di scuola che frequentavano quel posto orribile. O forse era lei ad essere cambiata e perfino a far paura. Aprì la portiera e si infilò in macchina. Poco importava, in qualche modo ce l’aveva fatta. Un messaggio di Giorgio fece vibrare il cellulare. I tre di Silvia continuavano a giacere senza risposta. «Sì, sono viva e sto bene», mormorò.
Sarò a casa per le otto, scriveva il bastardo.
Aveva tempo.
Aprì la porta dell’appartamento e lanciò le chiavi nel portaoggetti con troppa veemenza. Scivolarono a terra e decise di lasciarle lì. Chiuse l’uscio dietro di sé e gettò il cappotto sulla poltrona. Andò in cucina e stappò il porto. Due sorsi direttamente dalla bottiglia: «Che schifezza». Scolò la metà che ne restava nell’acquaio, la stanza si riempì per un istante di un odore fruttato e dolciastro.
Andò in camera, aprì l’armadio e buttò a terra il guanciale che stava accucciato dentro come a guardia. La busta di Barfolotti era ancora lì, Silvia non se l’è ancora goduta. Tirò fuori l’anello dalla scatola e se lo rigirò tra l’indice e il pollice, il diamante bianchissimo riverberava la luce dell’abatjour. Si rimise in piedi, andò in bagno e lo lasciò scivolare nel water. Tirò lo sciacquone senza esitare e lo vide sparire nel vortice.
Quindi andò in salotto, si mise sul divano e accese la tv.
Giorgio rientrò poco oltre le venti, perché il tg era già iniziato.«
C’è nessuno? Ehi, che è successo in cucina?».
«Sono di qua» rispose Nicole, spegnendo il televisore.
Emerse in salotto, stranamente si era tolto il giaccone ma indossava ancora la sciarpa e teneva in mano la sua borsa.
«Eccoti qua. Ti è caduto il porto? La bottiglia era sul lavello».
Lei si alzò in piedi: «Non è la cosa più interessante che è capitata oggi».
«Che stai dicendo?» sciolse il nodo della sciarpa, «Sono sfinito».
«Ah be, vorresti cenare come se niente fosse», gli si avvicinò di un passo. Lui le lanciò uno sguardo stupito.
«Senti Nicole, io proprio non riesco…».
«Tu non riesci a capire. Allora te lo spiego io che è successo oggi di interessante. La prima cosa è che sono stata in sala giochi. Ho preso uno di quei ragazzotti che se ne stanno tutto il giorno senza fare niente e l’ho convinto a seguirmi in bagno».
«Che stai dicendo?» ripeté ancora Giorgio.
«Devono essere questi cellulari che li rimbecilliscono. Noi alla loro età eravamo più svegli. Perfino tu, Giorgio. In ogni modo ha capito quel che stavo facendo mentre gli slacciavo i jeans. Gli preso in mano il suo bel cazzone e poi gliel’ho succhiato per bene. È stato divertente»,
«Mi stai prendendo per il culo? Senti non ho voglia di scherzare».
Gli si avvicinò e a due mani gli diede una spinta improvvisa sul petto. Giorgio barcollò, si appoggiò al divano e quasi non finì sul parquet.
«Oh, che cazzo fai? Sei pazza?!» urlò.
«Non sto scherzando!» gridò più forte Nicole mentre lui si rialzava, «So tutto di te e Silvia!».
«Cosa?».
«Già, so tutto anche dell’anello. Ma non l’avrà perché la cosa ancora più soddisfacente di oggi, ancor più del pompino a quell’adolescente, è stato gettare nel cesso il tuo anello di merda».
Lui strabuzzò gli occhi: «L’anello? Tu ti sei bevuta il cervello. Che hai fatto con l’anello?».
«Vai, va a vedere nell’armadio. E fanculo anche Barfolotti!».
Dallo sguardo che le lanciò intuì che doveva aver capito, finalmente. Era pallido. Si precipitò in camera mentre lei tornò a sedersi sul divano. Qualche secondo dopo arrivarono le urla: «No! Non c’è, dov’è? Quasi 5000 euro di anello! È sparito!».
«Te l’ho detto, è nel cesso!».
Giorgio tornò in salotto trafelato, il viso acceso. Tremava dalla rabbia: «Nicole! Che cazzo?!». Non riuscì a dire altro.
«Bastardo, quando volevi darlo a Silvia?» gli rispose senza alzarsi, voleva dargli l’impressione di essere tranquilla, per provocarlo ancor di più.
«Idiota, demente! Che c’entra Silvia?».
«Inutile che menti, è la tua amante!».
«La mia amante? Idiota, cretina. Tu non capisci un cazzo!».
Lei rise e non rispose
«Aspetta» Giorgio estrasse il portassegni e tirò fuori due biglietti che le scagliò contro. Uno la colpì in faccia e l’altro sulla spalla.
«Leggi, imbecille! Ho prenotato il volo per Parigi il 7 febbraio. Volevo chiederti di sposarmi per il nostro anniversario!» urlò.
Lei deglutì. Sentì le gambe indebolirsi, fece spola un paio di volte con lo sguardo dalla scritta Air France al suo nome stampato sul biglietto. Alzò la testa verso Giorgio: «Amore», provò a dire. Ma le parole non le uscirono.

Racconto di Tarek Komin

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