Acqua

Racconti oltre i margini: Acqua

  • Credevo che il mio stato fosse solido. Simile alla roccia o al legno lavorato. Mi sbagliavo. Sono liquido. Come una tinozza d’acqua che, senza il suo recipiente, potrebbe andare ovunque.

Quella mattina a lavoro mi sentivo strano. Mi formicolavano le mani, i piedi. Perfino la punta del naso.

“Giacomo, va tutto bene?”

Smisi di aprire e chiudere i palmi e restai con i pugni serrati. Quasi a voler bloccare la fuoriuscita di qualcosa. Mi voltai verso il mio capo, stampando un sorriso cordiale sul volto.

“Tutto regolare”

“Sicuro?”

A fatica, sbloccai il pollice che saettò verso l’alto.

“Affermativo”

“Perfetto, aspetto quei moduli”

“Arrivano”

Mi voltai nuovamente verso lo schermo del computer. Gli arti tremavano, in attesa dell’esplosione imminente.

Consegnai i documenti della giornata, poi rincasai. Mentre camminavo verso l’autobus, inciampai, improvvisamente sprovvisto di un appoggio solido.

“Va tutto bene?”

Due grandi occhi azzurri truccati si avvicinarono a me, sbarrati per lo spavento.

“Sìsì, va tutto bene. Grazie”

Poggiai la mano a terra e cercai di fare leva sulla punta del piede destro. Non ci riuscii.

“Le do una mano”

“Nono, ce la faccio”

Ero caduto in una piccola pozza d’acqua. Sentivo l’acqua bagnare rapidamente la scarpa di tela.

“Ecco, grazie”

Ero in piedi, eppure continuavo a sentirmi instabile. Zoppicai fino all’autobus, accusando con leggero fastidio l’acqua che scorreva lungo la pelle calda del piede.

Mi tenni con forza ai cappi pendenti del mezzo, respirando a fatica. Osservai a terra la pozza d’acqua che si allargava dalla superga bianca.

Arrivato a casa, salii le scale, ansimando. Il piede destro sfiorava appena terra, accompagnato da un tonfo umido di acqua che impregna gli indumenti. Feci scattare la chiave nella serratura ed entrai. Casa era buia e fredda, quasi come l’acqua che bagnava il mio piede destro.

Strisciai gli arti inferiori fino alla camera da letto, accesi la luce e stramazzai sul materasso. Afferrai la scarpa destra dal tallone e tirai. La scarpa atterrò al suolo e il piede restò alto.

Il calzino grigio, trasudava liquido trasparente che scorreva fragoroso a terra. L’arto sembrava tronco. Spaventoso, con una strana protuberanza di lato. Feci scivolare via il tessuto incollato al piede e osservai sgomento le piccole dita.

L’alluce era scomparso. Dal grosso foro laterale, zampillava senza tregua un fiotto d’acqua cristallina. Frugai nel calzino e recuperai il dito inerte.

La testa girava e crollai di nuovo sul materasso, lasciando che la mia acqua scorresse libera nell’appartamento.

Mentre mi sgonfiavo, mi chiesi se avessi lo stesso aspetto dei palloni sgonfi. Quelli che avevo adocchiato ogni tanto, negli angoli dei giardini. Probabilmente sarei scivolato anche io lì, tra le pieghe della città.

Chiusi gli occhi e lasciai scorrere.

di Roberta Sciuto

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