La giuria e il suo inappellabile giudizio

Dopo tanti giorni di pioggia, forse oggi esce il sole. I cittadini ne sono contenti: nei giorni scorsi hanno soltanto goduto di qualche sprazzo di luce. Il sole è l’accompagnamento perfetto per quanto bisogna fare oggi. L’assenza di sole ha innervosito un po’ tutti. La moglie del mugnaio se n’è lamentata con chiunque, soprattutto con la compagna del bottegaio: 

«Ho lavato i panni e non si riescono ad asciugare.» La compagna del bottegaio s’è guardata bene dal ribattere che la querimonia urlata dall’amica con la nota e fastidiosa voce stridula l’aveva annoiata. Ha condiviso del resto questo sentimento con chiunque abbia ascoltato la lamentela. Ha simulato un grave e partecipe sì con la testa, ritornando alla memoria a quando recitava a scuola. E in cuor suo si è augurata che quanto bisogna fare oggi venga svolto al più presto. 

La contessa l’ha guardata con solidarietà. «La capisco, cara signora» ha esordito la nobildonna «ieri ho avuto un tè con la principessa ereditaria e ho dovuto mettermi la prima cosa che ho trovato.»

La contessa, magra e alta, alza l’indice. «Per fortuna la principessa è una donna di squisita semplicità e non mi ha fatto pesare la mia indegna sciatteria. Mi ha anzi trattato come se indossassi l’abito più bello che avesse visto.» La moglie del mugnaio la osserva e ne invidia la pelle ancora fresca, i capelli lucidi e forti, il portamento elegante, l’abito costoso. 

La contessa non sembra avere sessant’anni suonati. Sarà la prima a fare quanto bisogna fare, oggi. Come è stato stabilito ieri, durante la riunione nella vecchia e fatiscente scuola. Si è deciso di farlo nel bel parco cittadino, sempre tenuto in ordine.  

«Speriamo che si faccia presto» dice la moglie del mugnaio. Vorrebbe aggiungere: «Non è stata una bella idea chiamarlo, signora contessa», ma con saggezza evita. Conosce l’umbratile umore della sua datrice di lavoro e sa che una frase del genere potrebbe costarle il posto e dopotutto alla sua età non può mettersi a cercare lavoro come una speranzosa ventenne. 

Il marito della contessa è di tutt’altra pasta. Sempre gentile e sorridente con chiunque, dal nobile più importante e prestigioso al più infimo sguattero. Non fa mai pesare la differenza di ceto. Adesso, per esempio, parla con il mugnaio e con il dottore come fossero due suoi vecchi amici, cosa che in effetti sono. 

«È stata una autentica vergogna!» esclama arrabbiato il conte. A seguito del matrimonio, ha cominciato a gestire gli affari della famiglia della moglie con un successo per lui insperato e sorprendente. È la contessa, la padrona delle terre. Lui viene da fuori. 

Il mugnaio e il medico annuiscono con convinzione. Il medico dice con disgusto appena malcelato: 

«Non doveva affatto venire qui a mostrare quel brutto e volgare muso che ha.»

Il mugnaio appare esterrefatto: «Eppure pensavo che fosse abituato a gente come lui, signor dottore.» Ha accompagnato il titolo con una forse involontaria ma distinta sfumatura ironica che il dottore ha colto. 

Il dottore però lascia correre e dice sferzante: «Questi cretinoidi li considero rivoltanti. Spero vengano eliminati del tutto.» Si guarda in giro e aggiunge con tono accorato: «Ne va del loro bene.»

Sarà molto contento di svolgere il compito oggi. Il mugnaio dice: «Sì, immagino. Tanto è pure inutile tentare di curarli.»

Il conte mette le mani in tasca e chiede: 

«Chi è quell’uomo che gira intorno alla sedia di lui?» Il mugnaio si volta appena per capire di chi il conte stia parlando. Torna a rivolgersi al nobiluomo e gli ricorda con sprezzante realismo: 

«È una specie di avvocato che ha curato gli interessi del condannato durante il processo di ieri.» 

Il mugnaio rifiata. Il conte è scandalizzato: «Davvero?» Il dottore fa per dire qualcosa ma il conte prosegue: «È mai possibile che perfino a costoro si dia la possibilità di difendersi?»

Il dottore prova a farlo ragionare: «Signor conte, è la prassi, signore.»

Al conte viene una smorfia indignata: «Le leggi non sono per niente buone.» Il mugnaio annuisce e il conte si augura: «Spero proprio che il nuovo governo prenda provvedimenti in tal senso.»

Il mugnaio lo appoggia: «Ma di sicuro lo farà, signor conte. Li abbiamo sostenuti per questo»

Il conte non lo ascolta, guarda il grassoccio avvocato che sussurra qualcosa nell’orecchio del condannato. Questo gesto urta il nobiluomo che abbandona i suoi interlocutori e con agilità notevole e insospettabile per un uomo della sua età raggiunge l’avvocato. 

«Si vergogni!» gli urla contro, perdendo tutto l’aplomb e facendo ben attenzione a non guardare il per lui orrendo condannato.

L’avvocato non si capacita di questa esagitata reazione. Sembra quasi che il conte gli abbia parlato in una lingua sconosciuta: «E per cosa?»

Il conte seguita con lo stesso tono: «Per l’offesa che arreca alla sua comunità difendendo quest’aborto della natura!» Di nuovo, si costringe a non vedere il per lui bruttissimo condannato, anche se l’ha a nemmeno cinque centimetri da lui. 

Tuttavia gli occhi color nocciola del conte non possono non cadere sul volto del condannato: per un tempo che può essere infinito ma che in realtà è poco più di un istante, il conte lancia un fugace sguardo alle oblique fessure e al mostruoso piccolo mento del condannato. Il conte decide dunque di concentrarsi sull’adipe prominente dell’avvocato, che risponde: «Faccio soltanto il mio lavoro.» Ha sulle labbra un sorriso strafottente. 

Il conte ha un gesto di stizza e poi pronuncia con solennità: «La sfido a duello per domani mattina!»

L’avvocato non si scompone: «Va bene.» 

Il conte propone: «Se lei è d’accordo, preferirei una sfida con le pistole.» 

L’avvocato acconsente: «Va bene.»

Il conte dice con tono definitivo: «Si faccia trovare pronto con i suoi padrini alle otto del mattino in punto, nella piazza principale del paese.»

L’avvocato promette: «Ci sarò.»

Il conte torna dal mugnaio e dal medico. Il mugnaio commenta con mestizia mentre il conte si avvicina: «Che stupido.» Si riferisce all’avvocato. Andavano a scuola insieme, poi si sono persi di vista. Il mugnaio non ha mai usufruito dei servigi del vecchio compagno di classe e dubita che dopo oggi se ne servirà. 

Il medico osserva il cielo e sprizza felicità: «È una bella giornata.» Si ferma perché si avvede che sta venendo dal cancello della scuola il tipografo, il quale saluta tutti con calore e amabilità. 

«Scusate, il lavoro mi ha preso più di quanto pensassi» si giustifica il tipografo. Il mugnaio condivide il giudizio del medico: «Sì, il sole splende come non mai.» Il tipografo aggiunge entusiasta: «Sarà un grande giorno per la comunità!»

Il mugnaio poi ricorda con tono pratico: 

«Dopo bisognerà pulire tutto.»

Il tipografo dice: «Sì, abbiamo già comprato tutto l’occorrente.» Quindi si rivolge al conte che nel frattempo li ha raggiunti e si è messo ad ascoltare con compita educazione: «È tutto pronto?»

Il conte replica: «Sì. Ieri e ieri l’altro ho fatto spaccare i massi a quel mostro.» Il conte prende due pacchetti di dimensioni diverse dalla tasca destra dei pantaloni e li apre. Prende un sigaretto dal pacchetto più grande e un fiammifero da quello più piccolo. Prima di accendere il sigaretto, però, si ferma e si rivolge agli astanti con costernazione: «Scusate, vi faccio respirare del veleno.»

Il mugnaio parla a nome di tutti: «Ma si figuri, signor conte. Se le fa piacere fumare, fumi.»

Il conte accende il sigaretto: «Fa schifo come uomo, ma è un lavoratore instancabile. Ha spaccato i massi che gli sono stati portati dall’alba al tramonto di entrambi i giorni!» Non può non nascondere l’ammirazione che in almeno in questo caso prova per quel mostro. 

Il medico commenta pensieroso: «Quindi procederemo di lapidazione.»

Il mugnaio dice con un pizzico di nostalgia: «Il metodo usato dai nostri nonni.»

Il conte gusta una boccata: «Sì, niente robe fredde e meccaniche come fucilazione o impiccagione.»

Il tipografo mette a terra lo zaino a tracolla con cui è venuto, lo apre e ne tira fuori qualcosa di forma tondeggiante avvolta in un pezzo di carta. Scarta il foglio e rivela un panino imbottito con prosciutto e formaggio. 

«Scusate, questa vicenda mi mette fame.» Addenta il panino e racconta: «Ho sentito che in America…» Si ferma, mastica e riprende: «Sapete come sono là, amano le nuove invenzioni.» Il mugnaio e il conte annuiscono: il primo con più ammirazione del secondo, che non ha mai amato quei rozzi e chiassosi repubblicani. «Ebbene, ho sentito che hanno creato in America una macchina che permette di uccidere i condannati con l’ausilio dell’elettricità.»

Il mugnaio domanda curioso: «E come fanno?»

Il tipografo prima mangia e poi spiega: «Fanno sedere il condannato su questa sedia, gli legano mani e piedi con dei braccioli, gli fermano la testa con una specie di corona collegata a un filo attraverso il quale passa l’elettricità. Una volta che lo sporco ladro o il fottuto assassino è fissato alla sedia, si abbassa una leva che fa partire l’elettricità.»

Il tipografo si ferma e prende dallo zaino una piccola bottiglia di vino. La stappa e beve una lunga sorsata: «Cinque minuti e l’uomo è morto senza nemmeno versare una goccia di sangue.»

Il mugnaio appare felice di essere venuto a conoscenza di questo nuovo ritrovato: «Rapido e indolore.»

Il dottore confida: «Anche io mi sono dilettato a creare una macchina simile.» Tutti gli astanti lo ascoltano e lui si prodiga a fornire dettagli: «Però nella mia, che è grande quanto una bara, chi deve essere ucciso viene steso supino e un ago calato dall’alto scrive sul corpo del condannato la colpa di cui è accusato.»

Il mugnaio ha ascoltato tutto con eccitazione: «Fantastica quella invenzione americana. Là sanno cosa è il progresso!» Più tardi si scuserà col medico per non aver degnato di una parola l’invenzione di lui. 

Il conte non è d’accordo e minimizza acido: «Mi pare una robetta primitiva che soltanto lì poteva prendere piede, come quell’altra vergognosa scemenza delle immagini in movimento.»

Il conte non confessa che la prima idea era proprio di mostrare uno spettacolo di immagini in movimento. Invece ha voluto chiamare quel sedicente artista che li ha inquietati subito, appena è apparso sul palco nella piazza. 

Il gruppetto è sorpassato dalla contessa, che si incammina verso il piccolo teatro del parco. La donna si ferma però e domanda con sollecitudine al marito: 

«Caro, ci vuole ancora molto?»

Il conte risponde con energia e sicurezza: «No, affatto, cara. Ancora qualche minuto e saremo pronti.» Ha finito il sigaretto e ripone il mozzicone nel pacchetto, accanto agli altri. 

La contessa annuisce soddisfatta e riprende la strada verso il teatro. Quando è dentro, si dirige verso il bagno. Vi trova la moglie del bottegaio: la donna lavora con il marito. L’attività va a gonfie vele ed è in effetti un successo meritato, giacché nella bottega i due vendono prodotti di qualità eccelsa. I bottegai hanno deciso di fare un passo ulteriore: apriranno a breve un ristorante, nella piazza principale del paese. I lavori procedono di buona lena e pertanto nel giro di qualche giorno il ristorante aprirà le sue porte ai clienti. 

La negoziante sta lavando le mani dopo essere stata al gabinetto. 

«Sei bellissima» la saluta la contessa. Vorrebbe sfiorarle i lunghi e lucenti capelli neri ma si trattiene. 

«Grazie, anche tu sei stupenda» dice la negoziante. Una volta, si era in estate, costeggiando il lago poco lontano dalla città la negoziante ha visto la contessa nuda. Il corpo pallido e ancora fresco, i bellissimi seni pieni e materni, il triangolino nero ben curato tra le gambe, le natiche sode e dure come pietra, l’assenza di smagliature e di peli sulle gambe, attorno ai capezzoli, sotto le ascelle e sulle braccia hanno lasciato a bocca aperta la negoziante. 

Questa donna ha davvero sessant’anni suonati? 

Un rumore cattura l’attenzione della contessa e della negoziante. Proviene dall’ultima porta dei bagni di fronte agli orinatoi. Le donne si avviano alla porta con circospezione: i rumorini dietro la porta continuano imperterriti. Quando vi sono davanti, si scambiano un’occhiata. 

La negoziante spalanca la porta con un calcio. Quello che vedono suscita in loro una negativa meraviglia: la figlia del dottore sta a cavalcioni sul nipote del parroco. Sono tutt’e due seminudi: il nipote del parroco non porta i pantaloni, la figlia del dottore ha le mammelle scoperte. I loro abiti sono gettati sul pavimento. 

La contessa indugia sul corpo perfetto del nipote del parroco. Un sedicenne stupendo. «Che stavate facendo?» sbraita. 

La figlia del dottore ha il viso sudato: alcune ciocche di capelli sono attaccate alla fronte. Tenta di spiegarsi: «Stavamo…» 

La negoziante scopre soltanto ora il frustino che la ragazza, coetanea del ragazzo, teneva in mano. La interrompe furiosa: «Silenzio!»

La contessa ordina: «Rivestitevi!» 

La figlia del dottore si allontana dalle gambe del nipote del parroco. Entrambi prendono i vestiti dal pavimento e se li rimettono, mesti.  

La contessa e la negoziante li lasciano e tornano nello spiazzo. 

Il sole caldo e bellissimo le investe quando escono dal teatro. La contessa si avvicina al marito. Mentre le due donne erano nel bagno, qualcuno ha portato le ceste con le pietre nello spiazzo. 

«È tutto pronto?» chiede la donna. Il marito si limita a far un cenno di assenso con la testa. 

Hanno posto anche il condannato con la sedia al centro dello spiazzo, sotto un albero. Nel frattempo è giunto anche il parroco. Il tipografo gli chiede con insolita premura: 

«Vuole benedirlo, padre?» Gli altri lo prendono in giro, non visti, per il tono affettato che ha usato. 

Il parroco si sofferma sul volto del condannato. Spalanca gli occhi per lo spavento e il ribrezzo che quel volto grosso come un pugno gli provoca. 

Il religioso con parole strozzate dice: «No, costui è figlio del demonio e nessuna benedizione potrà essergli utile.» Dalla bocca del parroco esce qualche rivolo di saliva. 

«Come vuole, padre.»

Il mugnaio urla contro il condannato: «Tra poco avrai quello che meriti!» Si produce in una esasperata imitazione del condannato e tutti ridono. Il conte si spancia proprio dal ridere, più di chiunque altro. 

Il conte torna serio e urla: «Hai smesso di portare in giro il tuo osceno spettacolo!»

Il medico va vicino a una delle ceste, guarda dentro e comunica con gioia: «Ce n’è abbastanza per tutti!» Prende le pietre e le passa ai concittadini.

L’ultima a ricevere la pietra è la contessa. 

Il conte prende l’orologio dal taschino, controlla l’ora e comanda: «È il momento. Iniziamo!»

La contessa inizia il linciaggio, seguita dagli altri. 

Il condannato inerme è colpito dalla messe di pietre. Il suo corpo viene squarciato. I cittadini continuano fino a quando le pietre non finiscono. È buio e loro festeggiano per poi tornare a casa.

 

FINE

di Gennaro Saviano

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